Il corriere non si ferma mai. Il corriere sfreccia come un camionista, è gentile come un poliziotto, fidato come il barista, sorridente come il bagnino di una serie tv americana.
La gente apre le braccia, prende i pacchi e mi chiude la porta in faccia, ma io, il corriere, sono felice lo stesso, perché poi origlio da dietro la porta e sento «è arrivato il pacco?». Che siano mutande maglioni telefoni semi vestitini per la sacra comunione, credetemi, ormai capisco cosa c’è nei pacchetti senza aprirli, beh, ecco, qualsiasi cosa sia, la gente mi aspetta e dopo che sono passato è felice. Io porto gioia.

Come sempre alle 15 mi scende l’abbiocco e con esso anche il buonumore. Il cielo è del solito color topo slavato. Cerco di convincermi che il mio lavoro non è quella merda che pensano tutti, mi dico che no, non mi stressa all’inverosimile e ignoro volutamente il fatto che la notte sogno di consegnare pacchi su pacchi, e quindi, in pratica, non stacco mai. MAI. Non posso lamentarmi. Me lo dice mia mamma al telefono, il venerdì, dopo la moschea. In Italia si sta bene. Sei fortunato. Non come da noi. Hai mandato i soldi? È sempre questa l’ultima cosa che dice.

Il corriere non si ferma mai, nemmeno durante la quarantena, nemmeno a orari ridotti, il corriere è essenziale come gli avvocati, i farmacisti e i medici. Accelero. Le strade della prima periferia sono peggio di quelle del centro. Un’accozzaglia di macchine di ogni tipo parcheggiate ambo lati, specchietti che saltano. Eppure oggi è un giorno speciale, perché finisce il mio periodo di prova. Dopo sei mesi finalmente sarò assunto a tempo indeterminato e oggi sono in pari con le consegne. Il mio monitor lampeggia quando sono in in ritardo ma ormai sono diventato una iena: parcheggio in terza fila, lancio i pacchi dentro, ignoro i divieti. Tanto, la verità è che nessuno mi rivolge la parola, guardano il pacco, mica me. Ma chi se ne importa. Un lavoro è un lavoro. Lo dice mamma. Lo ripeto io.
Cosa importa se ho studiato letteratura alla Kabul University. Nel mio paese non vedevo prospettive. E così sono venuto qui. Se ci penso non mi riconosco. Ma cosa avevo per la testa? Non avevo idea di cosa fosse uno SI (schedule integrato), un PT (piano traffico), un CEG (calcolo di efficienza giornaliera), un terribile LSS (livello di servizio scadente) e una innovativa TMTA (tabella di marcia telematica e autoaggiornante). Ero un pivello. Ed era solo due anni fa. Adesso ho pure la barba. E qualche capello bianco.

Insomma mi accingo a fare la mia ultima consegna e sono felice. Sono solo le 15.30, ho iniziato prestissimo oggi, alle 6 ero in deposito, alle 8 la prima consegna a una tizia in camicia da notte, ma avanti tutta, il commercio non si ferma, e pensare che una volta stavo a osservare gli uccelli al laghetto del campus. Idiota. Avanti tutta! Ma una spina mi si è conficcata nel cuore, sempre così quando ricordo. Avanti Omar, sono un Italiano vero. E continuo le consegne. Avanti tutta! E poi l’ingorgo. La strada bloccata a due numeri dal 19, che è il mio TDG (target della giornata), lo dice la mappa che prende a lampeggiare. La giornata va in frantumi. Ma sono ancora in anticipo sul PGOCSR, il piano giornaliero ottimizzato e centralizzato controllato dal software remoto. Il sistema si preallerta. Ma io aspetto. Ho tempo. Accendo la radio, solo musica classica. A tutto volume. Mi riempie le orecchie. Vedo arrivare un’ambulanza dall’altro lato. Seguita dai vigili del fuoco. Questo significa una cosa sola. Scappa!

Ma io non scappo. Finisco il mio dovere, consegno. Lo faccio per l’Italia. I pompieri arrivano saltellando in fila. Il primo della fila ha in mano una mannaia, gli altri una lunga scala. Io esco dal furgone, senza nemmeno chiudere la porta. Apro il portellone del vano posteriore, prendo il pacco per una tale Wilma non so che. Scendo. I pompieri spaccano la porta in un attimo, pezzi di legno come ossa frantumate nell’ingresso. Una nube scura fuoriesce simile a uno spirito arrabbiato. Mentre i pompieri spariscono nel condominio, io mi infilo dietro di loro cercando di non respirare il fumo. E allora che una mano mi preme sulla bocca e mi tira di lato.
«Ehi tu! Quanto ci hai messo ad arrivare! Non ti muovere. Ho uno spray al peperoncino. Vieni con me su da Wilma. Veloce!». Ero già stato interrogato dalla polizia, la prima volta che avevo provato a scappare dal mio paese. Riconosco chi ci sa fare. Lei ci sa fare. Non le avrei mai detto di no.