Sara
Prova a uscire se riesci
Ho dato una martellata al modem. Ho infilato una gomma nella presa dell’antenna. Col cavolo che gli faccio vedere le notizie. So che ha finito i dati sul cellulare. Se la fa sotto ad uscire per comprare le ricariche. Tanti muscoli e così tanta paura dell’ospedale. In pratica, pensa che la quarantena continui. La dispensa è piena. Lui è seduto sulla poltrona. Mancherebbe solo un bambino a correre per casa. Stringo il grembiule.
– Biscottino?
Lui fissa il telefono.
– Un tè?
– Mmm
– Ma che dico tè, tu sei tipo da caffè! Faccio subito. Caffè con panna. E una pallina di gelato alla vaniglia. E quella scatola di biscotti che ho preparato ieri. E una fetta di quel dolcetto con le mandorle e le uvette e il rum e il pane vecchio e le pere e le gocce di cioccolato… ti basta?
Dice qualcosa, pare un rimprovero, un rimbrotto gentile, no, aspetta, forse c’è qualche parolaccia, ma bene!, reagisce, è un uomo vero, un uomo scurrile quando si arrabbia, sboccato, maleducato, lo vorrei così anche di notte, immagino di sedarlo con dei biscotti e lanciarmi su di lui, ne ho tutto il diritto, è mio marito, eppure lui non mi tocca, provo a insultarlo, a coccolarlo, ma non funziona nulla. Sta lungo nel letto come una carota, un cetriolo, una zucchina, un porro appassito, nulla si muove. Si nasconde dietro la scusa del contagio. Ma a me del virus non mi frega nulla. Se è il suo virus, io lo voglio. E comunque sono sicura che qui dentro non è entrato un virus nemmeno piccolino. Ho fatto una spesa da 350 euro due settimane fa. Ho disinfettato tutti i vasetti, indossato guanti usa e getta, fatto un bagno in acqua e alcol. Per qualche giorno ho avuto una reazione leggera alla pelle. Ma è tutto passato. Allungo l’orecchio mentre passeggio lentamente verso la cucina, la brava moglie, lascio che il grembiule ondeggi mentre gli scivolo davanti, io, io, io, solo io. Ascolto bene. È un po’ più di un rimbrotto, è una parolaccia celata, deglutita. Sta male. Poveriiiinooo. Mi viene da ridere. Cosa fa il cucciolotto? È in gabbia. Suda persino, la fronte imperlata di goccioline. Sei a casa mia. Prova a uscire. Dove vai? Non vai. Tu resti, resti qui sempre.
Gli faccio il caffè perché è un uomo vero. Spio il braccio nerbortuto, sissignore, questo è il termine per due braccia così, con vene che corrono come radici su braccia forzute e glabre. Io non gli ho mai chiesto di depilarsi. Sinceramente i suoi peli mi piacevano. Quindi deve averlo fatto per l’altra. Ma cresceranno, o se cresceranno. Vedo già qualche pelo spuntare dalla pelle. Diritti come quelli delle mie gambe due settimane dopo la ceretta. Abbiamo molte cose in comune mio caro. Solo che non ti sei mai degnato di scoprirle. Adesso hai tutto il tempo di farlo.
– Sicuro che non vuoi uno dei miei biscottiniii?
Non risponde. Sguardo alla finestra. Ho pazienza. Almeno due settimane di infinita pazienza. Risponderà. Alla fine risponderà.
– Torta salata, focaccia rustica, patate al forno, pizza al farro?
Sento un grugnito e mi indirizzo verso il frigo. Sono passati due anni dal matrimonio e ancora non ci conosciamo bene. Perché il mio cucciolotto non era mai a casa, ma andava in giro con quella poco di buono. Riflessa sulla portella del microonde, provo a sorridere. Non sono niente male. Col mollettone, gli orecchini pendenti e il rossetto che davano con la rivista, beh, 39 anni e non dimostrarli. Apro la scatola dei biscotti e li conto. Sono 145. 144. 143. Apro il forno. Il canovaccio è bello gonfio. La pasta lievita da tre giorni. La pasta non deve prendere freddo. Non può uscire. Come noi. Come mio marito che ora resta. Sempre. Con me. Che poi è solo come sarebbero dovute andare le cose. Se quella donna con denti da cavallo e seno alto da rinforzata non si fosse messa in mezzo. Sono le due del pomeriggio. Caffè e non tè. Era ovvio. Salato non dolce. Pure questo era ovvio. Guardatelo, guardiamolo tutte. Un uomo è seduto sulla poltrona di casa mia. Casa nostra. Un uomo sgualcisce i cuscini e stritola il rivestimento di plastica col suo peso da scimmia alfa. È mio marito.
– È un colpo di tosse quello che ho sentito?
– No.
– Beh, meglio proprio che non esci.
Non risponde. Lo sa anche lui. Dove vuoi che vada. Non c’è nessuno fuori per lui. Quella sarà tornata al suo paese. Appoggio il vassoio sul tavolino vicino ai suoi piedi. Resto in piedi accanto alla poltrona mentre un documentario sulle gare di Formula Uno di inizio secolo lampeggia davanti a noi. Sento le ginocchia piegarsi verso di lui, il mio corpo vorrebbe sprofondargli addosso. Ha un tremito. Una scossa. Tira su col naso. I piedi traballano pericolosamente vicino al tavolino. Fa che questo tempo non finisca. Prenderò coraggio. Uno di questi giorni, mi siederò sulle sue ginocchia. Imparerà ad amarmi. Dimenticherà quella puttanella slovacca in ciabatte. È questione di tempo. E noi finalmente ne abbiamo tantissimo. Appena vedrà il biscotto a forma di bambino resterà estasiato e non andrà più via. Sarò madre. In un modo o nell’altro.