Oliver y Olivia
I cecchini
Non puoi dire di essere una coppia affiatata finché non ti trovi chiuso in casa insieme per giorni. Son sincera. Non avrei scommesso su noi due. Non che immaginassi lanci di piatti o sfuriate, per carità, siamo persone adulte, abbiamo superato la pensione e tre figli, abbiamo imparato a scivolarci di dosso l’uno con l’altro, ad esserci senza esserci, a ignorarci senza sentirsi in colpa. Avevamo ritmi diversi, io mattutina, lui serale-notturno. Lui tv. Io radio. Quelle differenze enormi e incolmabili che rendono anche le migliori coppie delle statuine appoggiate in un presepe ormai dismesso. Ma costrette a restare in quella capanna, senza altro luogo dove andare.
Non più. Chi lo avrebbe detto che avremmo scoperto di avere molto di più in comune.
L’ho capito due mesi fa. Dovevano essere ancora i primi giorni. Quelli di speranza, libri condivisi sul pianerottolo e parole di incoraggiamento sulla chat di famiglia. Erano i giorni dei primi decreti, le regole venivano ribadite al telegiornale e ormai la tv era un notiziario senza fine. Vedo Romano alla finestra che dà in strada. Il corpo fisso e privo di movimento come sempre, immobile, una statua davanti alla finestra. Ha sviluppato negli anni, gli ultimi dieci anni soprattutto, quando i figli se ne erano andati di casa e lui aveva perso qualsiasi motivo per uscire e fare movimento, una corporatura quasi orientale, parallelepipedica, senza rientranze e sporgenze, una scatola, non un corpo umano, i cui i fianchi le anche e le spalle si trovavano tutti sulla stessa linea retta. Insomma era sempre lui, il nuovo marito, quello che mi aveva dato in dono la vecchiaia, solita posizione, eppure, ho notato un fremito. Indice e medio si univano ritmicamente, l’unghia del pollice che insisteva sull’indice con durezza.
Mi avvicinai scivolando sulle pattine per lucidare i pavimenti, attività in cui il tempo, la mia linea temporale, mi aveva reso una professionista. Guardo oltre le sue spalle, supero quella trincea di carne e mattoncini sovrapposti, e vedo. I bambini del secondo piano, che giocano in strada. La madre che grida al telefono in strada. La loro palla che rotola in strada. I bambini accaldati e sudati che si appoggiano alla porta di ingresso con le mani aperte, prevedibilmente sudate, appiccicaticce. Ho un brivido. Gli metto una mano sulla spalla. E sento il suo di brivido. Oh, non chiedetemi come ho fatto ad accorgermene. Le coppie di vecchia data avranno anche imparato ad ignorarsi e farsi gli affaracci propri ma sentono assieme, se solo lo lasciano accadere, hanno vasi comunicanti che le coppiette di primo pelo non hanno mai nemmeno immaginato. Senza accorgermene avevo aperto un varco, la mia mano sulla sua spalla ci aveva messo in contatto. Lui non si gira, ma so che gli è costato molto dirlo.
— Maledetti, disse.
— Maledetti, fu la mia risposta.
E da quel giorno è cambiato tutto. Ci diano i turni. Facciamo le ronde. In casa certo, perché noi, le regole le rispettiamo. Ma segniamo tutto e ci prepariamo a raccontare tutto alla polizia. Tutt’al più che ora ci sono le sanzioni. Non avete scampo vicini.
Ci siamo divisi in turni adatti al nostro ciclo circadiano. Io mattina, lui sera e notte, insieme il pomeriggio. Non sento nemmeno più il bisogno di sbuffare quando dorme troppo. Le nostre differenze hanno smesso di sembrarmi dei torti del destino o abissi da colmare, so che abbiamo uno scopo comune e questo mi basta. Può dormire quanto vuole, so che appena si alza guarderemo insieme i miei appunti e lui dirà qualcosa, gli piace sentirsi stratega e io glielo lascio fare, trovo che gli si adatti, che gli faccia bene, anche se non so se ci sia proprio portato. Eppure adesso, se lo fisso in controluce, nella sua posizione al lato della finestra, invisibile da fuori, ma con un’ottica prospettica notevole, quasi un 150 gradi di visione investigativa, scopro un portamento diverso, sì scatola era e scatola resta, non ho 20 anni e non credo nei miracoli, eppure, qualcosa svetta, il mento alto, il busto leggermente meno incassato esce dalla zona digestiva in cui si era incassato e si eleva verso l’alto, sostenendo diversamente la cassa toracica. Ho un moto di orgoglio che trattengo. Non è tempo di tornare a fare i piccioncini. Abbiamo un compito, un paese da salvare e un condominio da mettere in riga.
Preferisco osservare il giardino interno la mattina quando la gente si sveglia e pare dimenticarsi tutto. La distanza. I divieti. Le regole, per Dio! Le prime ore sono tutto un muoversi a destra a sinistra. Pensano che nessuno sappia che hanno centellinato l’umido solo per poter scendere tre volte. Vigliacchi, senza midollo. Sono nata dopo la guerra. Da piccola non ce ne era uno che avesse passato normale. Erano ancora tutti terrorizzati. Non sono stati tanto a lamentarsi. E invece questi.
La mattina presto scendono a volte i bambini. Con la scusa della spazzatura si fermano a guardare i fiori, ne hanno anche fatto un mazzettino, cosa proibita da sempre, mica solo in quarantena. Erano lì che rimbalzano sul posto, doveva essere sembrata loro un’idea fenomenale. Dal labiale ho letto mamma, sì, quella povera donna, lasciata dal marito, non vede l’ora di avere il vostro mazzetto di fiori pisciati dai cani. Ho aperto la tenda, e coperta dalla finestra, come un cecchino invisibile, ho gridato «BA!».
I bambini hanno mollato i fiori e sono scappati. Un brivido mi ha percorso mentre immaginavo di brandire uno strumento medioevale contundente di metallo con una punta o una palla chiodata in fondo. Per un attimo un altro mondo severo e ordinato mi si è dipinto davanti. Era lì che averei dovuto essere. Non in questa demenza anarchica senza controllo. Giorno dopo giorno, io e mio marito stiamo perdendo la nostra autorevolezza. Quanto si stava meglio quando tutti stavano chiusi in casa. Allora sì che eravamo dei veri mastini da guardia.