Un progetto di scrittura e illustrazione per raccontare metaforicamente quello che sta succedendo in questi tempi di Covid-19, fuori e dentro di noi. Condominio-19 è una raccolta di micro storie che ritraggono gli inquilini di un condominio immaginario, dopo quasi due mesi “dentro”.
Debolezze, paranoie, slanci: i dodici personaggi usciranno allo scoperto giorno dopo giorno e, forse, ci parleranno un po’ di noi.
Ciascun personaggio è raccontato da Leonora Sartori, “ritratto” da un illustratore diverso, italiano o internazionale. Il progetto è a cura di Bas Bleu Illustration.
Nina
— Forse è morta, dice Nina.
Sono giorni che la vecchia del piano di sopra non si sente. Ma suo fratello non la ascolta. Ha la testa scombinata come la madre, che li ha chiusi in camera da giorni perché deve sterminare il virus. Terrorizzata da tutto quello che c’è fuori.
Nina invece non ha paura. Sente un suono da sopra: allora la vecchia è viva, forse ha bisogno di aiuto. Ora però sono le 14 e lei deve andare da Giorgio, di sopra. Apre la finestra, percorre il cornicione. Passo passo senza guardare giù, ci sono tre piani sotto di lei. Col cuore che accelera, perché l’amore fa fretta. Solo qualche altro passo fino alla finestra della scala e poi su di un piano. Ma la finestra oggi è chiusa. Giorgio è già in terrazzo, ha pianto di nuovo. Ha bisogno di lei: rientra in casa, prende una corda e gliela lancia. È allora che sente la sirena dell’ambulanza.
Leggi la storia lunga
Nina
L’amore fa fretta
Forse è morta.
— Forse è morta, dico a voce alta.
Quell’idiota di mio fratello sembra non sentirmi. Ha preso da mia madre. Hanno entrambi la testa scombinata. Riescono a fare una cosa sola alla volta. Lui adesso è nel far west dei cowboy e nulla lo tirerà fuori di lì. Sono giorni che è perso in un mondo di Playmobil, deve essere il fatto di non uscire mai. Fa solo quello e si fissa. Altra cosa che ha in comune con mia madre. Ma lui non è ancora al livello di quella.
— Non si sente da giorni.
Niente. Sta sistemando dei micro bicchieri grandi come mezza unghia di mignolo sopra ad un tavolino in finte assi di legno. Per farlo uscire dal suo mondo serve un urto violento.
Gli do un calcio al fianco. Barcolla col personaggio del ladro in mano. Si guarda intorno con faccia ebete e occhi lucidi da pesce. Fa un colpo di tosse. Deve essere il suo modo per passare da un mondo all’altro e tornare alla realtà.
— La vecchia.
— E allora cavallino? Eh, prendi la tua sella e vai alla prigione.
— La vecchia. Sono giorni che non si muove.
— Quale vecchia?
— Quella di sopra.
— Cavallino cavallino ecco il bandito…
— Ma che ti parlo a fare…
— Oh no! Il cow boy…
— Sei una compagnia pessima.
Potrei mangiarmelo mio fratello. È così mollo che la carne dovrebbe essere tenera. Come certe mucche che vengono lasciate macerare in stalle minuscole, senza potersi muovere, già morte prima di essere uccise. Lo ho visto in un documentario. Fratello con contorno di patate al forno. Un pasto pericoloso, perché di sicuro mi strozzerei con un mini pezzo di Playmobil. Un bicchierino del pub dei pirati, il laccio di una sella, un fiorellino del balcone del saloon.
Mio fratello smette di giocare per un attimo. Si guarda intorno con occhi da pesce. Qualcosa trema dentro di lui. Allora non ha dimenticato che mamma chi ha chiusi dentro. Che ci passa solo il cibo. Che sta combattendo il virus da giorni ma con metodi assurdi. L’odore di alcol passa anche da sotto la porta.
È allora che sento il colpo sul soffitto. Non è un colpo particolare, mio fratello nemmeno si gira, due cavalli si inseguono abbrancati alle sue mani, fa anche un rumore di zoccoli che sbattono per terra, idiota. È un colpo niente di che, ma sono giorni che non si sente nulla da sopra. Quindi è un segno. La vecchia non è morta. Potrebbe avere bisogno di aiuto. Ma chi non ne ha bisogno in questo momento? Metto le cuffie. Almeno non sento cloppete cloppete cloppete. Che vecchio mio fratello. Tutto mia madre. Mica fanno cloppete i cavalli. Forse una volta.
Il lettore mp3 mi dice che sono le 14. Ancora niente pranzo. Mamma non sta pulendo, eppure la sento camminare da stanza a stanza, attraverso la porta il suo respiro si fa frequente, come di una che corre. Ma dove corre? Non vuole uscire. Ormai quello che c’è fuori le fa paura. A lei. A me no. Tolgo le cuffie. Apro la finestra e esco. Mio fratello nemmeno se ne accorge. Giorgio mi aspetta. Eravamo entrambi alla finestra quando ci siamo visti la prima volta. Non abitava qui fino a quando non è iniziata la cosa del virus. Adesso sta col nonno, il signor Viraldi, parente, pronipote o una cosa del genere di chi ha costruito questo stupido palazzo che cade a pezzi. Non avevo mai pensato che un palazzo come questo potesse avere una qualche storia. Eppure pare che un architetto parente del Viraldi un centinaio di anni fa avesse immaginato che questo palazzo sarebbe diventato un esperimento sociale, una casa popolare ma di lusso, con richiami alle villette dei ricchi, ma semplificata. Quindi decorata ma non troppo, con qualche volta, alcuni stucchi sulle scale, ma senza troppi fronzoli, con due o tre statue di cani all’ingresso, ma non lungo il perimetro. Me lo ha raccontato papà, quando abitava con noi. Sapeva sempre queste stupidaggini, lui le chiamava curiosità.
La madre e il padre di Giorgio sono in ospedale, lui e il fratello stanno qui dal nonno. Cioè lui sta qui, il fratello che avrebbe dovuto fare la maturità quest’anno, sta sempre sul tetto, sulla terrazza comune. Io lo so perché sento la sua musica e lui che canta. Dopo pranzo il nonno fa il riposino. E io e Giorgio ci troviamo sul suo terrazzo. Lo vado a trovare e per farlo devo camminare lungo il cornicione sporgente che segue il perimetro dell’edificio. Fuori da ogni finestra scorre un cornicione largo come due delle mie scarpe messe in riga per lungo.
L’idea era quella di unire gli appartamenti con una “linea immaginaria, un segno architettonico” che unisse tutti pur restando separati. Il vecchio nonno architetto l’aveva vista lunga e io non posso che ringraziarlo. Non credo che un adulto ci passi con facilità ma io ho ancora il 35. Passo passo, senza guardare in basso perché ci sono tre piani sotto di me, passo passo cammino con tutta l’attenzione che posso. Seguo il lato nord della casa, il muro è freddo e il cornicione ha delle chiazze verdine che sembrano licheni. Poi giro a destra, l’angolo è difficile e devo abbracciare la casa e far scivolare il sedere dal lato nord a quello a est. Quando arrivo al sole il cuore inizia a battermi perché siamo innamorati io e Giorgio e l’amore fa questo effetto qua. Fa fretta. Ora devo solo fare qualche altro passo e poi infilarmi nella finestra della scala e salire di un piano. Ma la finestra è chiusa. Da quando è iniziata la quarantena, l’amministrazione ha appeso all’ingresso un cartello scritto a computer “Per la salute di tutti, lasciare la finestra della scala aperta per permettere di arieggiare”. Ora qualcuno non ha a cuore la salute di tutti. E io sono bloccata. Proseguo. Arrivo fino a sotto il balcone di Giorgio. Lo chiamo. E lui è lì. La faccia tra le sbarre della ringhiera. Ha pianto. Di nuovo. Sempre per via della madre malata e poi il fatto che non le può parlare e il padre che sta ancora peggio, per quello che ho capito sono entrambi in terapia intensiva.
Giorgio ha bisogno di me. Mi guarda e fa quella faccia come se vedesse tramonti e orde di elefanti in corsa nella savana. Non ero mai stata innamorata prima e quindi per me è una sorpresa. Ma anche una responsabilità. Giorgio sarà anche triste e paralizzato dal dolore per la madre ma è un tipo sveglio che ha visto un sacco di film d’azione, super eroi, Indiana Jones, gente che sa risolvere problemi. Rientra in casa e ne riesce con la corda. Me la lancia. È quando sono con i piedi puntati al muro, un attimo dopo aver lasciato il cornicione sporgente, aver trattenuto il fiato e espirato per essere più leggera, che mi torna in mente la vecchia. La finestra accanto all’appartamento di Giorgio è la sua. È aperta. Giorgio può aspettare dieci minuti. Gli sorrido. Entro un attimo e controllo se è morta. Se no stanotte non riesco a dormire per via dei fantasmi.

Nina
– Forse è morta, dice Nina.
Sono giorni che la vecchia del piano di sopra non si sente. Ma suo fratello non la ascolta. Ha la testa scombinata come la madre, che li ha chiusi in camera da giorni perché deve sterminare il virus. Terrorizzata da tutto quello che c’è fuori.
Nina invece non ha paura. Sente un suono da sopra: allora la vecchia è viva, forse ha bisogno di aiuto. Ora però sono le 14 e lei deve andare da Giorgio, di sopra. Apre la finestra, percorre il cornicione. Passo passo senza guardare giù, ci sono tre piani sotto di lei. Col cuore che accelera, perché l’amore fa fretta. Solo qualche altro passo fino alla finestra della scala e poi su di un piano. Ma la finestra oggi è chiusa. Giorgio è già in terrazzo, ha pianto di nuovo. Ha bisogno di lei: rientra in casa, prende una corda e gliela lancia. È allora che sente la sirena dell’ambulanza.
Leggi la storia lunga
Nina
L’amore fa fretta
Forse è morta.
— Forse è morta, dico a voce alta.
Quell’idiota di mio fratello sembra non sentirmi. Ha preso da mia madre. Hanno entrambi la testa scombinata. Riescono a fare una cosa sola alla volta. Lui adesso è nel far west dei cowboy e nulla lo tirerà fuori di lì. Sono giorni che è perso in un mondo di Playmobil, deve essere il fatto di non uscire mai. Fa solo quello e si fissa. Altra cosa che ha in comune con mia madre. Ma lui non è ancora al livello di quella.
— Non si sente da giorni.
Niente. Sta sistemando dei micro bicchieri grandi come mezza unghia di mignolo sopra ad un tavolino in finte assi di legno. Per farlo uscire dal suo mondo serve un urto violento.
Gli do un calcio al fianco. Barcolla col personaggio del ladro in mano. Si guarda intorno con faccia ebete e occhi lucidi da pesce. Fa un colpo di tosse. Deve essere il suo modo per passare da un mondo all’altro e tornare alla realtà.
— La vecchia.
— E allora cavallino? Eh, prendi la tua sella e vai alla prigione.
— La vecchia. Sono giorni che non si muove.
— Quale vecchia?
— Quella di sopra.
— Cavallino cavallino ecco il bandito…
— Ma che ti parlo a fare…
— Oh no! Il cow boy…
— Sei una compagnia pessima.
Potrei mangiarmelo mio fratello. È così mollo che la carne dovrebbe essere tenera. Come certe mucche che vengono lasciate macerare in stalle minuscole, senza potersi muovere, già morte prima di essere uccise. Lo ho visto in un documentario. Fratello con contorno di patate al forno. Un pasto pericoloso, perché di sicuro mi strozzerei con un mini pezzo di Playmobil. Un bicchierino del pub dei pirati, il laccio di una sella, un fiorellino del balcone del saloon.
Mio fratello smette di giocare per un attimo. Si guarda intorno con occhi da pesce. Qualcosa trema dentro di lui. Allora non ha dimenticato che mamma chi ha chiusi dentro. Che ci passa solo il cibo. Che sta combattendo il virus da giorni ma con metodi assurdi. L’odore di alcol passa anche da sotto la porta.
È allora che sento il colpo sul soffitto. Non è un colpo particolare, mio fratello nemmeno si gira, due cavalli si inseguono abbrancati alle sue mani, fa anche un rumore di zoccoli che sbattono per terra, idiota. È un colpo niente di che, ma sono giorni che non si sente nulla da sopra. Quindi è un segno. La vecchia non è morta. Potrebbe avere bisogno di aiuto. Ma chi non ne ha bisogno in questo momento? Metto le cuffie. Almeno non sento cloppete cloppete cloppete. Che vecchio mio fratello. Tutto mia madre. Mica fanno cloppete i cavalli. Forse una volta.
Il lettore mp3 mi dice che sono le 14. Ancora niente pranzo. Mamma non sta pulendo, eppure la sento camminare da stanza a stanza, attraverso la porta il suo respiro si fa frequente, come di una che corre. Ma dove corre? Non vuole uscire. Ormai quello che c’è fuori le fa paura. A lei. A me no. Tolgo le cuffie. Apro la finestra e esco. Mio fratello nemmeno se ne accorge. Giorgio mi aspetta. Eravamo entrambi alla finestra quando ci siamo visti la prima volta. Non abitava qui fino a quando non è iniziata la cosa del virus. Adesso sta col nonno, il signor Viraldi, parente, pronipote o una cosa del genere di chi ha costruito questo stupido palazzo che cade a pezzi. Non avevo mai pensato che un palazzo come questo potesse avere una qualche storia. Eppure pare che un architetto parente del Viraldi un centinaio di anni fa avesse immaginato che questo palazzo sarebbe diventato un esperimento sociale, una casa popolare ma di lusso, con richiami alle villette dei ricchi, ma semplificata. Quindi decorata ma non troppo, con qualche volta, alcuni stucchi sulle scale, ma senza troppi fronzoli, con due o tre statue di cani all’ingresso, ma non lungo il perimetro. Me lo ha raccontato papà, quando abitava con noi. Sapeva sempre queste stupidaggini, lui le chiamava curiosità.
La madre e il padre di Giorgio sono in ospedale, lui e il fratello stanno qui dal nonno. Cioè lui sta qui, il fratello che avrebbe dovuto fare la maturità quest’anno, sta sempre sul tetto, sulla terrazza comune. Io lo so perché sento la sua musica e lui che canta. Dopo pranzo il nonno fa il riposino. E io e Giorgio ci troviamo sul suo terrazzo. Lo vado a trovare e per farlo devo camminare lungo il cornicione sporgente che segue il perimetro dell’edificio. Fuori da ogni finestra scorre un cornicione largo come due delle mie scarpe messe in riga per lungo.
L’idea era quella di unire gli appartamenti con una “linea immaginaria, un segno architettonico” che unisse tutti pur restando separati. Il vecchio nonno architetto l’aveva vista lunga e io non posso che ringraziarlo. Non credo che un adulto ci passi con facilità ma io ho ancora il 35. Passo passo, senza guardare in basso perché ci sono tre piani sotto di me, passo passo cammino con tutta l’attenzione che posso. Seguo il lato nord della casa, il muro è freddo e il cornicione ha delle chiazze verdine che sembrano licheni. Poi giro a destra, l’angolo è difficile e devo abbracciare la casa e far scivolare il sedere dal lato nord a quello a est. Quando arrivo al sole il cuore inizia a battermi perché siamo innamorati io e Giorgio e l’amore fa questo effetto qua. Fa fretta. Ora devo solo fare qualche altro passo e poi infilarmi nella finestra della scala e salire di un piano. Ma la finestra è chiusa. Da quando è iniziata la quarantena, l’amministrazione ha appeso all’ingresso un cartello scritto a computer “Per la salute di tutti, lasciare la finestra della scala aperta per permettere di arieggiare”. Ora qualcuno non ha a cuore la salute di tutti. E io sono bloccata. Proseguo. Arrivo fino a sotto il balcone di Giorgio. Lo chiamo. E lui è lì. La faccia tra le sbarre della ringhiera. Ha pianto. Di nuovo. Sempre per via della madre malata e poi il fatto che non le può parlare e il padre che sta ancora peggio, per quello che ho capito sono entrambi in terapia intensiva.
Giorgio ha bisogno di me. Mi guarda e fa quella faccia come se vedesse tramonti e orde di elefanti in corsa nella savana. Non ero mai stata innamorata prima e quindi per me è una sorpresa. Ma anche una responsabilità. Giorgio sarà anche triste e paralizzato dal dolore per la madre ma è un tipo sveglio che ha visto un sacco di film d’azione, super eroi, Indiana Jones, gente che sa risolvere problemi. Rientra in casa e ne riesce con la corda. Me la lancia. È quando sono con i piedi puntati al muro, un attimo dopo aver lasciato il cornicione sporgente, aver trattenuto il fiato e espirato per essere più leggera, che mi torna in mente la vecchia. La finestra accanto all’appartamento di Giorgio è la sua. È aperta. Giorgio può aspettare dieci minuti. Gli sorrido. Entro un attimo e controllo se è morta. Se no stanotte non riesco a dormire per via dei fantasmi.
Il condominio
Non praticano lo yoga. Non scambiano la pasta madre. Non cercano di far germogliare sederi di carote infilzandoli negli stecchini. Non ascoltano audiolibri. Poca musica. Alcuni hanno la tv sempre accesa. Altri no. Alcuni gridano. Altri sono chiusi in un silenzio anomalo e glaciale. Non so chi faccia più paura.
Non li ho invitati. Non li ho cercati, figuriamoci, in giornate come queste solo i documentari su balene e delfini possono aiutarci. Sono venuti fuori da soli. Ho cercato di respingerli. Distrarli. Distrarmi. ma niente da fare. Sono la cosa peggiore che si potesse immaginare. Gli esseri umani più spregevoli. Beh, magari non tutti. Qualcuno si salva.
Qualcuno si salva sempre.
L’agenzia
Bas Bleu Illustration è un’agenzia creativa che sviluppa progetti grafici e di comunicazione per raccontare la scienza e la cultura.
L’autrice
Leonora Sartori, giornalista professionista, collabora con D – la Repubblica e coordina la redazione di Houzz Italia da Berlino, città dove vive.
Ha pubblicato: Ustica (Beccogiallo, 2010) e La forma incerta dei sogni (Edizioni Piemme, 2011).
L’illustratrice
Zane Zlemeša è un’illustratrice della Lettonia, attualmente vive e lavora a Berlino. Ha ottenuto un master in incisione all’accademia d’arte di Riga e un post-dottorato in illustrazione all’Accademia di Belle Arti di Lipsia.
Acquista l’illustrazione
I ritratti dei personaggi sono in vendita e il ricavato sarà devoluto alla ong Medici con l’Africa Cuamm per contrastare il coronavirus in Africa.
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