Pranzi d’autore: le ricette della grande letteratura raccolte da Oretta Bongarzoni e illustrate da Agnese Pagliarini

Abbiamo intervistato l'illustratrice

Un giorno di primavera del 1994, Oretta Bongarzoni torna a casa e annuncia al figlio che scriverà un libro. Ha solo un problema: l’editore lo ha trovato, ma è in dubbio se proporgli un saggio su mistiche e sante del ‘600 o un manuale di ricette letterarie. Il figlio, ad un passo dalla laurea in Storia, le consiglia di optare per le mistiche, non di certo sulle ricette. La madre, alla fine, sceglie proprio quelle.
Nel pieno di un’estate caldissima, Oretta si circonda di ricettari e, armata della sua Olivetti Studio 45 verde pastello, compone le prime bozze, che copierà poi al computer. A settembre il libro è pronto e a novembre fa il suo esordio nel mondo. Nella copia, che dedica a quel figlio che avrebbe preferito leggere di altro, scrive «il libro-sfizio di una madre avariata», ignorando che la sua raccolta di ricette piacerà moltissimo e che a lei resta purtroppo solo un anno di vita.

Oretta Bongarzoni, “Pranzi d’autore. Le ricette della grande letteratura”, illustrazioni di Agnese Pagliarini, minimum fax, 2022
(courtesy: Agnese Pagliarini)

La storia di come nasce Pranzi d’autore. Le ricette della grande letteratura la racconta il figlio, Davide Orecchio, nella posfazione della nuova edizione pubblicata da minimum fax e accompagnata dalle illustrazioni di Agnese Pagliarini, art director e designer, che da tempo collabora con la casa editrice romana.

È Oretta stessa, invece, nell’introduzione al libro, che è rimasta quella del 1994, a specificare che non si tratta di un manuale di cucina, ma di una raccolta — limitata — di ricette scovate, in modo anche piuttosto casuale, tra le pagine di grandi classici della letteratura. I passaggi dei libri, in cui le pietanze vengono menzionate, sono solo un punto di partenza, è stata l’autrice a elaborare le ricette e regalarcele, assieme a curiosità e annotazioni, in questo viaggio che attraversa pagine, tempi e terre lontane. Ecco allora gli antipasti russi da La mite di Fëdor Dostoevskij perfetti per iniziare un pasto, e il timballo di maccheroni da Il gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, un primo piuttosto ricco; per gli amanti del pesce c’è la sogliola alla mugnaia da Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi, per quelli della carne i medaglioni in carne pressata da Triangoli perfetti di Edith Wharton; per accompagnare il tutto, si può preparare del pane al cumino da Una vita di Guy de Maupassant e per concluderlo ci si può viziare con una bella ciotola di gelato al pistacchio da Felicità di Katherine Mansfield o con una gelatina di lamponi da Anna Karenina di Lev Tolstoj.

Sempre nell’introduzione di Oretta, compare anche una citazione di Joseph Conrad, tratta da una prefazione ad un manuale di cucina:

«[…] lo scopo di un libro di cucina è unico e inequivocabile. Non è concepibile che abbia scopo diverso da quello di accrescere la felicità del genere umano.»

Ero curiosa di sapere se lavorare a questo libro aveva provocato in Agnese Pagliarini lo stesso effetto descritto da Conrad, così le ho rubato un po’ del suo tempo per farle qualche domanda.

Oretta Bongarzoni, “Pranzi d’autore. Le ricette della grande letteratura”, illustrazioni di Agnese Pagliarini, minimum fax, 2022
(courtesy: Agnese Pagliarini)
Oretta Bongarzoni, “Pranzi d’autore. Le ricette della grande letteratura”, illustrazioni di Agnese Pagliarini, minimum fax, 2022
(courtesy: Agnese Pagliarini)

Prima di tutto, ho un quesito “tecnico”: so che lavori da tempo come art director e graphic designer con minimum fax e Quinto Quarto Edizioni, ma sbaglio o questo è il primo libro che illustri anche internamente?

No, non è il primo in assoluto. In realtà ho realizzato anche le illustrazioni, molto semplici, di Ti spiego il dato di Donata Columbro, edito da Quinto Quarto Edizioni (2021). E anche quel libro non è stato poi il primo, perché, che fossero illustrazioni di interni o più genericamente di copertine, mi era già capitato di farlo sia per Quinto Quarto che per minimum fax.

In compenso, seguendoti da un po’ di tempo su Instagram, ho scoperto che sei un’appassionata di cibo e cucina.
Conoscevi già il libro di Oretta Bongarzoni, prima di lavorarci?

Ero piccolissima quando è uscito il libro, essendo nata nel 1992. Per giunta, come capita spesso nell’editoria, il libro ha avuto una finestra di tempo piuttosto breve in fatto di rilevanza, per poi cadere nel dimenticatoio. È stato Davide Orecchio, figlio di Oretta e autore di minimum fax con Mio padre la rivoluzione (2017), a riportarlo in auge: erano scaduti i diritti e ha chiesto alla casa editrice se fosse interessata a ripubblicarlo. minimum fax ha pensato allora di non limitarsi solo alla ripubblicazione, ma di ideare un progetto un po’ più ricco rispetto alla sua versione originale puramente testuale e posizionarlo in maniera diversa. Insieme a Patrizio Marini, art director della casa editrice, mi hanno raccontato la loro idea e il fatto che stessero cercando un illustratore. Di rimando, gli ho chiesto se per loro sarebbe stato un problema se mi fossi divertita un po’ io nell’illustrare il libro e, dopo aver preparato due tavole di prova, li ho convinti a darmi anche quella parte di lavoro.
Non è la prima volta che mi proponevo apertamente per un lavoro, era successo anche con Quinto Quarto Edizioni, quando erano alla ricerca di qualcuno che realizzasse loro il logo e da lì non abbiamo mai smesso di collaborare insieme.

(courtesy: Agnese Pagliarini)
(courtesy: Agnese Pagliarini)
(courtesy: Agnese Pagliarini)

Non potendoti confrontare con Oretta, venuta purtroppo a mancare nel 1995, nel lavorare su questo libro, hai provato a farlo con Davide o non ne hai sentito il bisogno?

In realtà non mi sono confrontata con Davide, che non aveva alcuna richiesta specifica riguardo la lavorazione del libro. Davide è inoltre una persona estremamente calma e gentile, per cui qualsiasi cosa illustrata, secondo lui, sarebbe stata la cosa migliore possibile. Si è fidato della casa editrice, ma aveva comunque visto le tavole iniziali e si era detto curioso di vedere il libro finito.
Io e lui ci siamo confrontati per la prima volta su questo libro quando era appena stato pubblicato. Ci trovavamo alla sua prima presentazione durante “Più libri più liberi”, alla Nuvola, a Roma. È stato un bel momento.

Il tuo lavoro comunque come è stato?

Sono stata felicissima di lavorare a questo libro: ognuno ha il suo ricettario di famiglia e questo è quello di Davide. È stato molto bello regalargli una veste nuova.
Quando me lo hanno dato, la cosa fondamentale è stata leggere, per prima cosa, tutte le ricette, e farne una ricerca visiva per sapere qual era la forma di alcuni piatti, perché non tutte le ricette proposte fanno parte della nostra tradizione culinaria.
Il mio obiettivo, per queste illustrazioni — che è anche il motivo per il quale non è stato fatto un progetto fotografico ma illustrativo —, era quello di restituire la sensazione dei personaggi, che idealmente stavano mangiando quel piatto nel racconto o nel romanzo di riferimento, e quindi dargli una mise en place, rispettando la contestualizzazione il più simile possibile a quella presente nel libro. Il tutto con un minimo di creatività, di estetica e anche di licenza poetica: ho scoperto con Davide che anche Oretta si era presa delle licenze poetiche, di preciso nell’insalata di mele e sedano che aveva inventato lei di sana pianta, non essendo affatto citata nel racconto di Carver, se non come una generica insalata. La cosa mi ha rincuorata e fatta molto ridere.

Il bozzetto
(courtesy: Agnese Pagliarini)
(courtesy: Agnese Pagliarini)

È stato divertente e per niente semplice scoprire come fosse fatta la torta di frutta secca da Oblomov di Ivan Gončarov. Quando leggi la ricetta, sapendo cucinare un pochino, riesci ad immaginare cosa stai impastando. Per giunta le ricette di Oretta sono molto “alla Artusi”, dunque estremamente brevi e senza entrare nello specifico del processo. Il problema è che non riuscivo a capire proprio che forma potesse avere questa torta in particolare.
La fortuna è che gioco un pochino in casa: il mio compagno è moldavo e ha influenze russe, perciò per i piatti della tradizione sovietica ho chiamato mia suocera e le ho chiesto aiuto. Per questa ricetta, però, l’illuminazione è arrivata cercando ossessivamente online: per puro caso ho scoperto il kulič, un piccolo panettone russo che veniva preparato usando le lattine come stampo, e guardando gli ingredienti e la sua ricetta ho capito che avevo finalmente risolto l’arcano della torta di frutta secca.

La prima versione della copertina, poi scartata
(courtesy: Agnese Pagliarini)

L’unica cosa che, invece, ho dovuto rifare è la copertina.
C’è una premessa importante: le case editrici, per permettere alle librerie di prenotare i libri, devono preparare diversi mesi prima le copertine delle prossime uscite che vengono raccolte nel copertinario, uno strumento di lavoro dei promotori editoriali e dei librai in cui sono presenti i dati di un libro, la sua sinossi e la sua copertina. Perciò finisci per realizzare alcune copertine senza sapere molto di come sarà questo libro, come in questo caso. Avevo letto qualche ricetta, ma nulla di più, e avevo realizzato una copertina dallo stile illustrativo diverso, il cui concetto non è rimasto comunque invariato: era una mise en place di posate, dove c’erano perciò un coltello, una forchetta e un cucchiaio, ma anche una matita. Erano tutti gli strumenti per mangiare e scrivere di ricette. Chiuso però poi il libro con tutte le tavole illustrate, la copertina non era più quella giusta, perciò ho mantenuto il concetto, dandogli una forma diversa: c’è più tridimensionalità, un tovagliolo a righe — che stringe l’occhio anche a un foglio, le posate sono un po’ più ricche e riflettono meglio lo stile dei romanzi menzionati nel libro.

Oretta Bongarzoni, “Pranzi d’autore. Le ricette della grande letteratura”, illustrazioni di Agnese Pagliarini, minimum fax, 2022
(courtesy: Agnese Pagliarini)
Oretta Bongarzoni, “Pranzi d’autore. Le ricette della grande letteratura”, illustrazioni di Agnese Pagliarini, minimum fax, 2022
(courtesy: Agnese Pagliarini)

Mentre lavoravi al libro, hai provato a realizzare alcune delle ricette?

Se ricordo bene, non credo di averlo fatto.
Ci sono ricette che avevo già preparato, come sarà capitato a molti. Mi riferisco a piatti come la sogliola alla mugnaia. Le altre, invece, sono ricette che hanno dei sapori troppo vecchi, anche se comunque sarei curiosa di sapere che sapore ha il timballo de Il Gattopardo, visto che contiene anche la crema pasticciera.

A proposito di cibo, la passione per la cucina quando nasce?

All’inizio sicuramente non c’era [Ride, ndr].
Il cibo è buonissimo, una cosa incredibile, ma è anche il motivo per cui non mi sento bene con il mio corpo. Per anni ho avuto una relazione con un ragazzo molto dedito alla cucina, ed era lui a cucinare perché io non sapevo fare assolutamente nulla. Ad essere sincera, sceglievo volontariamente di non saper fare nulla, perché mia mamma è casalinga e ho avuto un rapporto piuttosto conflittuale con la cucina, in quanto simbolo di quello che non volevo fare o essere da grande.
Per tutta la mia carriera ho provato a stare il più lontana possibile da quella che era la figura della donna di casa e — fregata come tutti dai “miti” della società — ho puntato a essere la tipica donna in carriera. Perciò esaltavo il fatto di non saper cucinare, ero fiera di riuscire a bruciare tutto.
Poi, dopo la fine della relazione, sono andata a vivere da sola e a quel punto, per sopravvivenza, dovevo cominciare a imparare. È successo però che, nel preparare qualcosa solo per me, ho scoperto che c’era dentro anche un gesto di amore nei confronti di me stessa. Avevo capito che il modo di cucinare di mia madre era più di sussistenza quotidiana che per passione, ma soprattutto avevo compreso che quello che potevo fare io era cucinare ciò che mi piaceva mangiare. Guardando i video di cucina e cercando ricette, entri in quel mondo e scopri che è divertente farlo e che è un altro modo per essere creativi.
Adesso trovo parecchia soddisfazione nel cucinare per gli altri: se sono da sola, non mi cucino più in maniera elaborata come facevo una volta; cucino meglio se c’è anche il mio compagno. Comunque preparo poche cose della tradizione italiana, più invece di quella asiatica. Sia io che il mio compagno siamo amanti dello speziato e del piccante.

(courtesy: Agnese Pagliarini)
Il bozzetto
(courtesy: Agnese Pagliarini)
(courtesy: Agnese Pagliarini)

Mentre ti ascoltavo parlare, ti immaginavo alle prese con il diventare grandi, ma con un alleato speciale: il cibo è stato prima nemico da conoscere, poi mezzo grazie al quale sei riuscita ad imparare ad amare prima te stessa e poi gli altri.

Non l’avevo mai vista sotto questo punto di vista, ma credo tu abbia ragione.

Ti propongo una cosa: ti va di compormi un menù dalle ricette presenti nel libro?

Inizierei, ovviamente, con gli antipasti russi da La mite di Fëdor Dostoevskij; come primo piatto, sceglierei l’okroška da Il duello di Anton Čechov, perciò una zuppa calda che prepara lo stomaco; poi passerei alle triglie fritte all’algerina da Lo straniero di Albert Camus, niente carne, che devo dire si presenta piuttosto complessa e da un gusto molto particolare, nonché la cosa più complicata da illustrare; come dolce, invece, mi piacerebbe preparare la torta di mele da Triangoli imperfetti di Edith Wharton, tra i pochi piatti che mia madre cucina con amore e quindi buoni, e anche la gelatina di lamponi da Anna Karenina di Lev Tolstoj.

Oretta Bongarzoni, “Pranzi d’autore. Le ricette della grande letteratura”, illustrazioni di Agnese Pagliarini, minimum fax, 2022
(courtesy: Agnese Pagliarini)
Oretta Bongarzoni, “Pranzi d’autore. Le ricette della grande letteratura”, illustrazioni di Agnese Pagliarini, minimum fax, 2022
(courtesy: Agnese Pagliarini)

Nella prefazione del libro, Oretta parla ad un certo delle parole “quanto basta”, le definisce «un modo impreciso di fornire le dosi» ma anche «un punto di incontro e di equilibro fra l’azzardo e il limite». Cosa ne pensi tu di queste due parole?

Mentre mi facevi questa domanda, mi veniva moltissimo da ridere: mia suocera cucina molto bene e spesso le chiedo la preparazione di alcuni piatti, ma è sempre vaghissima, e sto cominciando a farlo anche io, quando devo dare indicazioni al mio compagno, ora che vive a Parma e si cucina da solo. Anche le spezie, ad esempio, non le misuro più, perché con il tempo ho sviluppato un occhio nel capire quante ne servono nel cucinare un piatto. Come dice mia suocera: «eeeeh, si vede».
Mi succede anche a lavoro: quando sono ad un uno shooting, ad esempio, mi capita di dare indicazioni alla “quanto basta” per luce o per composizione, ma le persone comunque riescono a capirmi.
Nella vita però è molto più difficile trovare e adottare il “quanto basta”. Delle volte mi sembra che, come un giorno hai voglia di dolce e uno di salato, il “quanto basta” è un’unità di misura randomica che varia da giorno a giorno.

C’è qualcosa di particolare a cui ti piacerebbe lavorare in futuro?

Ogni giorno dalle 10 alle 19 sono un art director all’interno di un’agenzia di comunicazione, una cosa molto distante dal lavoro per questo libro. L’editoria per me è stata un salvataggio incredibile. Certo, non è qualcosa di cui potrei vivere al momento, ma lo faccio per passione. Tutto quello che è il mondo dell’illustrazione, che ho “esploso” con questo libro, mi affascina moltissimo e se potessi farei solo progetti editoriali costruiti: prendere un libro e curarlo fino in fondo. Questo l’ho creato di notte, finendo anche alle 3 o le 4, in poco tempo, forse anche troppo poco, ma ero in una bolla in cui tutto era leggero e naturale.

Il bozzetto
(courtesy: Agnese Pagliarini)
(courtesy: Agnese Pagliarini)
Il bozzetto
(courtesy: Agnese Pagliarini)
Bozzetti
(courtesy: Agnese Pagliarini)
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