Foto: Eye James Mollison

Francesco Franchi: stampare senso

Designer della comunicazione di formazione, si laurea al Politecnico di Milano nel 2006, diventa in seguito giornalista. Francesco Franchi è stato art director al IlSole24Ore e dal 2016 è caporedattore de la Repubblica. Ha lavorato per gli inserti IL – Il Maschile de Il Sole 24 ORE, Robinson e D – la Repubblica delle donne di cui è stato direttore creativo.
In Italia è tra i maggiori esponenti dell’“infografica funzionalista”, un modo di intendere la grafica al servizio di numeri, dati e notizie. Riconosce l’importanza dell’estetica ma è assolutamente poco propenso al decorativismo: il fine ultimo è informare, in un giornale la grafica è sempre funzionale alla notizia, mai il contrario.

Ho incontrato Francesco Franchi a Milano, città dove vive e lavora.

IL – Intelligence in Lifetyle.

La tua tesi di laurea trattava il tema dei giornali, come sarebbe se la dovessi riscrivere ora?

Oggi scriverei una tesi che abbia come tema la fine del giornali di carta, o almeno la fine dei giornali come li abbiamo conosciuti sino ad oggi.

Insomma la crisi si sente.

Sì, si sente molto. Ti faccio un esempio, mi è accaduto qualche mese fa. Un amico andava a New York, gli ho chiesto se poteva procurarmi la copia di un magazine. Quando è tornato mi ha detto che ha fatto molta fatica non solo a trovare la rivista, ma un posto fisico dove vendessero i giornali. Ripeto, a New York, non nella periferia del mondo, a New York!

D – la Repubblica delle donne.

Cos’è cambiato?

I giornali di carta hanno perso il ruolo che avevano un tempo. Credo che uno dei principali problemi abbia a che fare con la routine. Un tempo avevamo una vita fortemente scadenzata: la colazione, il giornale, il pranzo, la cena, la televisione alle 20.30. La routine non esiste più: oggi viviamo nell’on demand più puro. Se vogliamo una pizza la ordiniamo con il cellulare e se vogliamo una informazione non andiamo certamente fino all’edicola a comprare un giornale: quell’abitudine si è persa perché è cambiato il modo di vivere e il modo di concepire l’informazione.
La società è cambiata ma i giornali continuano a seguire le logiche che hanno da sempre, vengono costruiti pensando che l’utente abbia letto i numeri precedenti: danno per scontato che il lettore abbia “già visto tutte le puntate della serie”. Questo forse era vero una volta, ma ora non è più così.

Robinson, inserto culturale di “la Repubblica”.

I costi della stampa sono elevati, e stanno aumentando soprattutto nell’ambito delle carte.

Sì, stampare riviste e giornali costa molto. Oggi si cerca in ogni modo di risparmiare, e infatti spesso si stampa male e con bassa qualità: ad esempio ora non si va più in stampa con il 100% di nero, viene ridotta la percentuale per fare economia sull’inchiostro, o si cercano carte che siano sempre più di bassa gamma. A volte sembra che si voglia dare l’idea di un prodotto che sta morendo.
Mi chiedo perché stampiamo ancora tutti questi giornali e riviste? Penso che dovremmo stampare meno e con una qualità migliore. Noi grafici per procedere in tipografia utilizziamo solitamente la formula “visto, si stampi”, oggi sarebbe necessario che quella frase diventasse “vale, si stampi”: dovremmo stampare solo quello che ha veramente valore.

Chi lavora nell’editoria non può fare a meno di notare lo svuotamento delle redazioni: prima erano composte da centinaia di persone, ora sono semivuote.

Mi è sempre piaciuto lavorare in una redazione perché le redazioni sono sempre state ambienti stimolanti. Lì entravi dentro a conversazioni, idee, dibattiti, litigi con persone straordinarie, capaci, preparate. Nelle redazioni vivevi il giornale, lì mi sentivo protagonista di quello che avveniva: era formativo, imparavi sempre. L’attuale svuotamento delle redazioni ha portato ad un quasi annullamento di questa vitalità. Credo che questa sia una grave perdita che si riflette anche sulla qualità dei giornali.

IL – Intelligence in Lifetyle.

Secondo te questa crisi dei giornali a cosa porterà?

I giornali come li conosciamo oggi andranno a morire. Si stamperà meno, ma meglio, saranno molto più curati, saranno meglio confezionati, l’infografica migliorerà di qualità.
Il digitale utilizzerà un modo di comunicare complementare diverso dal cartaceo: sarà un tipo di informazione più immediata, più vicina all’attualità e all’hard news. Non ci saranno più solo le classiche redazioni ad occuparsi di notizie, ma lo faranno anche le grandi aziende come ad esempio Apple o Amazon: i loro contenuti potranno essere inseriti dentro a servizi generici. Ad esempio ci verranno offerte storie da leggere o ascoltare mentre stiamo guardando Google Maps, magari per approfondire un determinato luogo, per conoscerlo meglio.
Le redazioni saranno popolate da persone in grado di selezionare dalla moltitudine di contenuti che vengono pubblicati quotidianamente: quello che oggi definiamo con il termine “giornale” sarà un brand che mette il timbro sull’informazione che pubblica. Purtroppo ora siamo ancora lontani dall’avere questo, ma ci arriveremo.

Salute, la Repubblica.

Perché un giornale decide di cambiare la sua veste grafica?

La verità è che il restyling di un giornale lo fai solitamente perché te lo chiede la pubblicità: per poter creare e vendere nuovi spazi o anche perché cambiano il direttore e il piano editoriale. Non ho mai sentito nessuno che mi abbia detto cambiamo la grafica perché sono cambiati i tempi. L’obiettivo è prima di tutto commerciale, poi ovviamente viene l’esigenza comunicativa. Una buona grafica aumenta la qualità del giornale, ma quello solitamente viene dopo.

Robinson, inserto culturale di “la Repubblica”.

Lavori da sempre con una quantità enorme di bravissimi illustratori, come li selezioni?

Prima grande questione sono i tempi. Se la consegna è immediata tendo a lavorare con professionisti che conosco: ci si capisce subito, sappiamo già cosa vuole l’uno dall’altro, e soprattutto so che in una o due revisioni posso avere il lavoro finito. Se ho più tempo posso rischiare anche con figure con cui non ho mai lavorato.
Altra cosa, fondamentale è selezionare l’illustratore giusto in base al tema: gli illustratori non sono tuttologi, nella loro carriera lavorativa si specializzano su alcuni temi piuttosto che in altri.
Cè un altro criterio di selezione, purtroppo sempre più presente, quello economico: molti non me li posso permettere.

Insomma la questione economica dei giornali torna sempre.

Sì, è una questione centrale. Figurati che ultimamente mi è stato chiesto se fosse possibile fare delle illustrazioni con l’intelligenza artificiale: questo per farti capire il livello di crisi che stiamo vivendo. Ho spiegato che dietro ad una illustrazione ci dev’essere un pensiero, e quello lo posso avere solo con una persona, un essere umano: l’illustrazione non è decoro ma ragionamento, idee, vissuto. Che poi l’intelligenza artificiale possa servire ad un illustratore per ampliare o sperimentare è possibile, ma non può un software risolverti un problema illustrativo.

Salute, la Repubblica.

Hai insegnato sia in Italia che all’estero: trovi qualche differenza nel modo di progettare?

Assolutamente sì. In Italia puoi permetterti di dire agli studenti “provate a fare”, loro in qualche modo cercheranno la strada per realizzare quello che gli hai chiesto. Spesso all’estero, soprattutto nei paesi asiatici, gli studenti ti chiedono in continuazione di dare una sequenza di operazioni. Qui in Italia c’è un approccio al progetto profondamente diverso, più intuitivo e sperimentale.

Secondo te esiste una grafica italiana? Una grafica che ha caratteristiche diverse dagli altri paesi.

Secondo me esiste una grafica italiana, o comunque una grafica che la gente nel mondo percepisce come diversa. A me è capitato più volte di parlare con colleghi esteri e sentirmi dire “It’s so Italian!” Non so esattamente cosa sia, ma credo che abbia a che fare col fatto di essere un po’ meno simile a tutte quelle cose che si vedono ripetute nei social. Esiste una grafica italiana ma non saprei dirti esattamente quali caratteristiche abbia: siamo un Paese bellissimo con una grande storia artistica e di progetto, questo sicuramente ci ispira anche senza volerlo.

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