Al primo colpo di tosse, avevo sorriso. Un attimo dopo avevo addosso il cappotto. Sarebbe bastata una giacca leggera, fuori la temperatura si era alzata, ma io volevo tenermelo al caldo. Temevo che mi scappasse. Non persi tempo a mettere le scarpe. Le mie ciabatte andavano benissimo. Ero sicuro che fosse lui. Doveva essere lui. Le mie preghiere erano state ascoltate.
Mi ero preparato per bene nei giorni precedenti. Ero stato in tutti i luoghi pericolosi, per quelli della mia età. Al supermercato, ad esempio. Avevo indossato la mascherina per non destare sospetti. L’immagine del povero vecchio con carrellino al seguito era perfetta. Poi fingendo di leggere gli ingredienti da vicino, povero vecchio presbite, avevo leccato la scatola di pelati, avevo toccato tutti i lati dei cartoni del latte dall’alto al basso, avevo lasciato che le gocce di condensa del banco frigo si aggrappassero alla mia pelle e poi mi ero messo le dita in bocca. Le avevo leccate una ad una. Avevo temporeggiato alla cassa fingendo di non capire a che distanza si doveva stare, – Uh mi scusi, dove? Ah, il segno per terra, al di là, qua, ecco, qui… Mi guardavo intorno con aria sperduta, mi veniva bene. Nessuno si aspettava molto da uno della mia età. Un giovane mi aveva guardato con pietà, ma poi era uscito veloce con qualche rotolo di carta igienica sotto l’ascella.
Nel pomeriggio, ero arrivato con molto anticipo dal medico.
– Ha sintomi influenzali?
– No.
– Tosse?
– No.
– Perché è qui allora?
– Fastidiosa unghia incarnita.
– Non si tratta di una cosa urgente…
– Lasci che giudichi la dottoressa. Appena la vede sarà sconvolta.
– Va bene, va bene, prenda posto, ma ci sarà da aspettare.
– Non c’è problema.
Avevo sorriso. Mi ero seduto sulle sedie inspirando profondamente. Come ero felice. Il giorno dopo ero persino entrato al pronto soccorso chiedendo di poter vedere un caro familiare con un nome inventato. Come mi venivano certe idee? Ero molto fiero di me. In un’altra vita avrei fatto forse il detective. La signora alla reception del PS aveva guardato varie volte al computer e sulla lista di carta, aveva cercato di aiutarmi. Mi ero trattenuto il più possibile prima di andarmene, mentre lei mi intimava, – Vada a casa, adesso! E poi le solite cose, fascia a rischio, devo chiamare qualcuno altrimenti, la sua salute, stare a casa.
Ma chi chiami, carissima? Avrei voluto dirle. Le forze dell’ordine, un altro medico, un gruppo di infermieri? Vanno tutti bene per me. Venite! Venite a me! Nonostante i miei sforzi, c’erano voluti diversi giorni, più del previsto. Ero stato alle poste, tre ore di coda, il parchetto dei cani, diversi giri chiamando un Fuffi inventato, la stazione con gli ultimi treni, le mani dentro al distributore di biglietti. Eppure non succedeva nulla. Possibile che restassi così in salute nonostante gli anni? Avevo delle difese immunitarie da giovanotto?
Per sfinirmi e indebolire il fisico, avevo preso a bere avanzi di liquoracci. Ero andato in cantina per cercare le scorte che io e Maria avevamo tenuto in attesa di feste danzanti con molti amici. Quel posto mi metteva i brividi, la luce sfarfallava, le pareti di mattoni sembravano quelle delle segrete di un castello, giuro di aver sentito anche delle voci. Ho sempre avuto un’immaginazione vivida, anche da bambino. Sono risalito in fretta e furia, la scatola degli alcolici in braccio, sono scivolato su un gradino, maledette ciabatte, una bottiglia è caduta e si è rotta in mille pezzi. Poco male. Quello che restava mi bastava. Tanto le feste non sarebbero mai arrivate. Lei era stata male e nessuno voleva venire a casa di una in quello stato. Ci stavano tutti lontani. Erano loro a starci alla larga. Non volevano aggravare la sua condizione e cazzate del genere. Senza di lei, adesso nessuna festa ha senso.
Qualche giorno fa ho smesso di lavarmi e ho dormito pochissimo. Sono stato sveglio guardando le repliche di Don Matteo alla televisione. Ho trovato un vecchio walkie talkie. Ogni tanto lo accendo. I rumori mi fanno compagnia. Capto delle parole, un bambino che parla con suo padre, forse, ma per lo più sono suoni indistinti, niente altro che rumori e distorsioni. Ho preso a mangiare cioccolatini Kinder a colazione, pizze surgelate a pranzo e würstel freddi a cena. Ho ricominciato a fumare. Con fatica, perché avevo perso l’abitudine. Avevo smesso quando lei stava male.
Poi oggi è arrivata la tosse. Ed eccomi pronto al servizio del virus. Grazie per avermi scelto. Non ti deluderò.
Il primo posto in cui vado è la scala del mio condominio, la percorro su e giù tossendo il più possibile. Chiudo le finestre delle scale. I rumori di fuori scompaiono. Sento dei passi avvicinarsi agli spioncini dietro le porte, ma per il resto c’è un silenzio di tomba. Adesso chi è che sta lontano da chi? Appena ho saputo del virus, appena ho visto i cinesi in difficoltà ho capito che era roba seria. Mica li abbatti con poco quelli. Cari vicini, non avete più scampo. Niente di personale. Siete solo l’inizio. Spunto sul tappetino dell’appartamento della stronza numero uno. Lei con quei due bambini che sembrano soldatini, quella che alle riunioni di condominio si lamenta della scarsa igiene e ci ha fatto cambiare cinque aziende per la pulizia delle scale, lì sul suo tappetino del cacchio sputo. È allora che vedo del fumo. Il mio virus trema. Io con lui.