L’arte di starsene a casa

interviste al tempo della Covid-19 — ventesima puntata

In occasione di queste giornate di ritiro domestico forzato, noi di Frizzifrizzi abbiamo pensato di pubblicare una serie di piccole interviste a professionisti e artisti che stimiamo per dare ai nostri lettori un po’ di potenziali consigli per tirare fuori qualcosa di buono da questo periodo buio (e poi perché, semplicemente, siamo curiosi).

In ogni puntata daremo parola a diverse persone.
Le domande sono uguali per tutti.
Gli ospiti di questa ventesima puntata sono: Anna Quinz, Simone Angelini, Elena Campa, Francesco Sambati e Laura Pizzini.

Anna Quinz

franzlab.com
@annaquinz

È direttrice creativa e co-fondatrice dell’agenzia di comunicazione e casa editrice bolzanina franzLAB, specializzata in marketing territoriale, progetti editoriali e text design.
franzLAB pubblica dal 2010 il magazine di cultura contemporanea franzmagazine.com, dal 2015 la guida di viaggio JOSEF The Insider Travel Book to Trentino-South Tyrol e dal 2019 il magazine monografico Moreness.
Con franzLAB e come freelance, cura e sviluppa strategie creative nei settori della moda, del vino, del turismo e della cultura. Collabora su vari progetti con il dipartimento di management dell’Università Ca’ Foscari e ha tenuto diverse lezioni e workshop in altri atenei come Unibz e IULM.

Dove vivi?

A Bolzano, in un grande appartamento pieno di luce. Dal piccolo balcone, vediamo le Dolomiti.

Che lavoro fai?

Sono direttrice creativa, giornalista e copywriter.

Com’è cambiato il tuo lavoro da quando devi svolgerlo da casa?

Molto. Lavorando principalmente con e per aziende/istituzioni del settore del turismo, della cultura e degli eventi, metà dei progetti che avevamo in piedi sono stati cancellati o spostati a chissà quando. E poi, come editrici indipendenti — con i nostri volumi da distribuire e il secondo numero di Moreness da mandare in stampa — ci siamo trovate a dover fermare tutto, vendite, spedizioni, stampa, presentazioni… un disastro.

All’inizio io ero terrorizzata. All’ennesima chiamata di un cliente che diceva «mi spiace ma…» pensavo non ce l’avremmo mai fatta. Poi, dopo qualche settimana ha iniziato ad andare meglio, sono una che si butta super giù, ma poi riemerge. E nel frattempo sono anche arrivate nuove commesse, di clienti che avevano bisogno di sviluppare progetti di comunicazione immediati, per gestire il momento. Quindi alla fine sta andando, per ora.

Per quanto riguarda invece il vero e proprio “atto del lavorare”, non mi piace granché farlo da casa. Ho un bellissimo studio, tutto mio dove ho uno schermo grande, la mia sedia da boss, i miei libri, la stampante, il caffè subito sotto e la mia socia alla porta accanto. A casa non è lo stesso. Le sedie di design che abbiamo qui sono pensate per pranzare, mica per starci 8 ore con la testa bassa sul computer.
Detesto lavorare sul portatile (il fisso di casa lo usa mio marito, per quel che fa è indispensabile), un file word è così piccolo nel suo schermo risicato. Non ho ancora capito qual è il mio posto perfetto quindi sto di base sul tavolo della cucina, ma poi quando la connessione salta mi sposto in sala da pranzo, quando faccio Skype vado in salotto.

Insomma sono un po’ un’anima in pena. Ma ogni giorno va sempre un po’ meglio. La cosa peggiore però, le riunioni. Skype, Google Team, Zoom o “che ne so” sono il mio incubo. Odio vedere le persone filtrate da uno schermo, odio vedermi dentro lo schermo. Ho un fastidio fisico a gestire le call. Cerco di farne meno possibile, invento che non funziona e che è meglio la normale telefonata. Quanto mi mancano le riunioni al bar e gli appuntamenti per parlarsi vis a vis…

Con chi sei in casa?

Con mio marito Fabio. Una gran fortuna. È un uomo molto divertente. Rende tutta questa follia molto più sopportabile.

Cosa fai in questi giorni di reclusione casalinga forzata?

Poco. Non cucino, non faccio pilates, sono negata nei “lavoretti” e nelle faccende domestiche che gestisco al minimo necessario per una vita dignitosa.
Non visito musei online. Non frequento webinar né aperitivi in videochat. Non ho mai cantato dal balcone perché sono negata.
Di base, a parte il lavoro, pascolo per casa, rigorosamente in tuta. Fumo in balcone. Scrivo qualche whatsapp agli amici. Faccio liste della spesa. Scrollo compulsivamente Instagram. Guardo fuori dalla finestra. Guardo film per bambini su Disney +.
Ogni tanto mi fermo e mi rendo conto di cosa stiamo vivendo (e tra tutte le serie tv che guardo, mai avrei pensato di trovarmi a vivere dentro Black Mirror. Avrei preferito Downton Abbey, per dire). Non esco praticamente mai, non cerco scuse per farlo. Il mondo in mascherina (qui da qualche giorno è obbligatorio usarla), diffidente, vuoto, chiuso è talmente brutto che ormai preferisco starmene nel mio limbo domestico. Qui in casa, la combinazione luce e silenzio, tra i miei libri e le mie cose, è molto più rassicurante di una boccata d’aria solitaria là fuori.

Stai usando o hai pensato di usare questo strano periodo come occasione per fare qualcosa che non avevi avuto modo o tempo di fare?

Mi piacerebbe. Ma non sono una da “buoni propositi per il nuovo anno”, non lo ero e ahimè ho scoperto che non lo sono nemmeno ora.
Volevo occuparmi finalmente del mio sito personale, ma non ho tempo perché ho troppo lavoro. Volevo studiare tutti i libri che ho comprato negli ultimi mesi e che sono ancora intonsi, ma concentrarsi in questo strano momento non è così semplice.
Una cosa però c’è: ho imparato a fare le stories di Instagram. Essendo uno spirito profondamente analogico, pure un po’ controcorrente per principio e molto snob, avevo sempre denigrato questo formato. La clausura forzata però mi ha rammollita e ho ceduto.

Qual è il posto che ti manca di più?

Il caffè del mattino, disperatamente. Potrei anche sopportare di stare altri due mesi reclusa, se mi concedessero al mattino 10 minuti per un espresso al banco del bar.
Poi il vagone di un treno e la montagna dove non andavo mai e dove ora vorrei terribilmente andare.

Qualche consiglio per letture, visioni o attività per ammazzare il tempo?

Credo che il libro che tutti dovrebbero leggere ora sia Viaggio in Italia di Giudo Piovene. Una guida-non-giuda attraverso l’Italia straordinaria del secondo dopoguerra. Un viaggio incredibile lungo il nostro paese, tra tradizioni, innovazioni creative e industriali, mutamenti sociali e desiderio di rinascita. Decisamente calzante in questo momento storico, anche per prendere spunti utili ma soprattutto per spostarsi, dal divano, nei più intimi meandri della terra più bella del mondo. Il tutto raccontato con un linguaggio tra il giornalistico e il letterario da cui tutti noi che scriviamo di mestiere, ma non solo, possiamo imparare tanto.

Poi penso che tutti in questo momento sentano la mancanza della natura. Io che sono una (finta) montanara, come dicevo prima sento una struggente mancanza di questo ambiente. Quindi consiglierei letture che portino almeno col pensiero nelle terre alte. Da Dino Buzzati che è sempre straordinario (in particolare la favolosa raccolta di scritti I fuorilegge della montagna), ma poi anche i libri interessantissimi di Antonio De Rossi sulla costruzione delle Alpi, i film di Luis Trenker e i tanti volumi fotografici che raccontano le Dolomiti.
Il tutto ovviamente, propedeutico alla lettura — per chiudere il cerchio o la scalata — di Moreness Above the Tree Line ;-).

Simone Angelini

@simoneangelini_
simoneangelini.blogspot.com

Pescara, 1980.
È un autore di fumetti, illustratore e animatore italiano.
Noto per essere co-creatore e disegnatore del fumetto rivelazione ANUBI, vincitore nel 2016 del premio laRepubblicaXL al Napoli Comicon e del Boscarato come “Miglior fumetto italiano” al Treviso Comic Book Festival.
È attivo sia nel mondo dell’autoproduzione che con realtà editoriali come Panini Comics, Coconino press/Fandango, Editions Rackham, Linus, Il Manifesto, Smemoranda, il Tascabile, Rai.com.
Come illustratore e grafico ha contribuito a cataloghi, mostre e artworks musicali.
Ha messo spesso al centro della sua ricerca e attività artistica la sua città.
Sia nei suoi fumetti che nel 2013 come direttore artistico della sezione fumetto del Festival delle Letterature dell’Adriatico di Pescara e nel 2016 collaborando con l’Espresso sul n.13 della collana Tutto Pazienza, dedicata agli anni pescaresi di Andrea Pazienza e all’esperienza di Convergenze.
È tra i creatori di Zapp!, un festival pescarese sull’autoproduzione nato nel 2018 e inserito nel network del Crack! di Roma.

Dove vivi?

Pescara.

Che lavoro fai?

Faccio il fumettista, l’illustratore e altre cose meno artistiche.

Com’è cambiato il tuo lavoro da quando devi svolgerlo da casa?

La parte ispirativa è condizionata, mentre il lavoro “in studio” è rimasto praticamente inalterato.
Inoltre non ci sono più le ospitate alle fiere e festival in giro per l’Italia, le presentazioni e dediche nelle librerie.
La situazione attuale è che le librerie son chiuse, i siti online vendono a mezzo servizio, gli editori regalano i libri e molti degli autori di quei libri non rientrano nei sussidi del decreto Salva Italia.
Qualcosa non quadra.

Con chi sei in casa?

Sono con Michela, la mia compagna, e con Mia, la nostra gatta. Ci divertiamo.

Cosa fai in questi giorni di reclusione casalinga forzata?

Ne approfitto per dedicare più tempo alla mia famiglia e per recuperare sonno, letture e visioni arretrate. Esco di casa solo per la spesa o altre esigenze.
Mi sono tagliato la barba dopo 20 anni, è stato traumatizzante ma al tempo stesso l’ho usata come scusa per scappare dalle richieste di dirette sui socials, dai salotti virtuali che son nati in questo periodo.
La risposta è stata sempre la stessa: «Se mi volete riconoscibile, tra 30 giorni».

Giorni fa è stata venduta una mia piccola illustrazione per una delle aste di beneficienza di Catawiki del Lucca Comics & Games e ho saputo che con le opere in vendita hanno raccolto un bel gruzzolo che è stato devoluto al Sistema Sanitario Toscano.
Oggi invece ho consegnato la mia pagina per il progetto #ComeViteDistanti un fumetto corale organizzato dall’Arf! Festival per la raccolta fondi a favore dell’IMI Spallanzani di Roma.
Dentro il libro che è già in prevendita ci sono grandissimi nomi del fumetto italiano come Gipi, Toffolo, Zerocalcare, Ratigher e tanti altri.
Per me è stato un grande onore esser coinvolto e mi sono sentito un po’ utile per la collettività.

Stai usando o hai pensato di usare questo strano periodo come occasione per fare qualcosa che non avevi avuto modo o tempo di fare?

Sperimento, cosa che mi mancava da troppo tempo.
Ne scaturiscono storie a fumetti, brevi animazioni e cose ancora indefinite.

Qual è il posto che ti manca di più?

Il Mare, la Montagna, vedere amici e parenti in Città.

Qualche consiglio per letture, visioni o attività per ammazzare il tempo?

Vi consiglio questo tutorial.

Elena Campa

elenacampa.com
@elena___campa

Predilige un approccio multidisciplinare, analogico e sperimentale, prendendo ispirazione dalla natura e dal mondo della stampa calcografica, e utilizzando la condivisione delle idee e l’attività laboratoriale come metodo di ricerca.
La sua attività personale si muove tra illustrazione, grafica, design e tecniche di stampa artigianali.
Nel 2007 fonda Studio Arturo a Roma, un collettivo di ragazze con cui inizia a sperimentare con la stampa e a tenere i primi workshop.
Nel 2015 apre un nuovo studio a Milano, Spazio Florida, dove convivono differenti tecniche di stampa artigianale e dove coordina le attività didattiche attraverso un calendario di workshop e gestisce la parte organizzativa e di stampa calcografica e risograph del progetto editoriale PressPress.
Ha pubblicato La stampa fatta in casa con Terre di Mezzo, un libro che insegna tecniche di stampa sperimentali e DIY. Collabora con istituti di formazione e scuole di design, musei e fondazioni. Attualmente insegna progettazione grafica ed elaborazione digitale all’Istituto Europeo di Design di Milano.

Dove vivi?

A Milano e ultimamente un po’ anche a Lecce, nell’ultimo periodo sempre più con un piede lì e uno qui.

Che lavoro fai?

Domanda difficile. Mi occupo di grafica, di stampa d’arte e di formazione in un modo un po’ sperimentale e trasversale.

Com’è cambiato il tuo lavoro da quando devi svolgerlo da casa?

È cambiato parzialmente, una parte delle attività di insegnamento le svolgo on line, e devo dire che mi piace, non ho grossi problemi e mi sembra pure funzionale per certi versi.
Avevo in calendario molte attività di formazione di stampa analogica che non ha senso portare avanti on line e sono bloccate, in attesa di capire quando si potranno svolgere. Intanto ogni tanto posto su Instagram qualche tutorial del libro che ho pubblicato un paio d’anni fa che si chiama La stampa fatta in casa, in modo da condividere delle idee per intrattenere genitori disperati, appassionati di stampa o dilettanti allo sbaraglio ma anche di cercare di promuovere il libro.

Con chi sei in casa?

Io e il mio compagno e il gatto eravamo a Lecce quando questo casino è iniziato e abbiamo deciso di rimanere qui e non tornare a Milano, quindi sono in una situazione bizzarra ma molto positiva: nella casa di sotto ci sono i miei genitori e ancora più sotto mia nonna che vive da sola al piano terra ed è spesso in giardino. Non trascorrevo un periodo così lungo in questa casa da 15 anni forse.
In qualche modo ci facciamo compagnia e abbiamo anche un po’ di verde.
Ci riteniamo molto fortunati.

Cosa fai in questi giorni di reclusione casalinga forzata?

Come dicevo lavoro un po’ al computer, ma lavoro molto meno di quanto faccio normalmente e ho deciso di usare un po’ del mio tempo per stare un po’ con mia nonna che ha 89 anni, che è proprio una bella tipa e fa delle cose che per lei sono normali e invece sono straordinarie per una donna della sua età, facciamo delle cose insieme e io la filmo, lei un po’ se ne accorge e un po’ no. Ma le piace, ci stiamo divertendo.

Poi vabbè, siccome sono una fricchettona maledetta e qui ho un terreno, ho fatto un orto e sto facendo degli esperimenti con la tintura vegetale con gli scarti della cucina e mi sto dedicando anche allo studio dei fiori edibili e delle erbe spontanee. Sto raggiugendo livelli epici di fricchettonagine con lezioni di yoga on line e ogni tanto qualcuna di pilates.
Ho comunque un sacco di lavoro arretrato, stampare, aggiornare il sito, finire progetti, pensare al futuro. C’è tanto da fare.

Stai usando o hai pensato di usare questo strano periodo come occasione per fare qualcosa che non avevi avuto modo o tempo di fare?

Sì, sto dedicando il tempo a un progetto di vita futura, e anche semplicemente a fare qualcosa con mia nonna. Anche se la lista delle cose da fare, come dicevo, è infinita.

Qual è il posto che ti manca di più?

A dire la verità non mi manca un vero e proprio luogo ma più delle attività. forse io ero in una sorta di quarantena già prima, non lo so.

Non sto soffrendo per la mancanza di chissà quale attività mondana ma mi manca poter fare una cena con gli amici, o una gita o una passeggiata tranquilla.
Mi manca andare in campagna e al mare.

Qualche consiglio per letture, visioni o attività per ammazzare il tempo?

Ovviamente consiglio molto sfacciatamente il mio libro che manco a farlo apposta parla di stampare A CASA e quindi direi La stampa fatta in casa, pubblicato da Terre di Mezzo editore.
Per i più piccoli c’è Ruggge che ogni tanto pubblica sulle storie Instagram dei piccoli tutorial e anche Ilaria Faccioli si sta dando da fare in questo senso.
Ma se si ha voglia di fare qualcosa di manuale il web è pieno di spunti e i negozi di belle arti on line consegnano a domicilio.

Poi con alcuni amici abbiamo iniziato a scambiarci delle mail con contenuti interessanti da guardare, leggere o da cui prendere ispirazione. On line c’è una marea di roba e dipende da cosa vi piace ma secondo me è un’iniziativa da fare con qualcuno con cui si hanno visioni o interessi comuni, che allargano un po’ il punto di vista e usano il digitale in un modo positivo, per creare comunità. Che penso che sia quello di cui abbiamo più bisogno.

Poi non lo so, vorrei dire qualcosa di importante ma rischio di sembrare saccente, sono solo una che fa cose e vede gente e non posso permettermi certo di insegnare agli altri come devono vivere, ma vorrei comunque dire che il momento è importante, che davvero dovrebbe farci riflettere su come usiamo il nostro tempo e i nostri soldi, sul senso e sull’utilità che le nostre azioni quotidiane hanno sul mondo che ci circonda, sugli altri e sulla natura.
Invito ad aprire gli occhi e guardare le cose in modo più approfondito, cercare di capire che ogni minima scelta ha un peso enorme.
Consiglio a questo proposito la visione di un film che secondo me fa capire meglio quello che voglio dire: I Villani, lo trovate su RaiPlay.

Francesco Sambati

francescosambati.com
@francesco.sambati

Nasce a San Pietro Vernotico, in provincia di Brindisi, il 12/02/1981.
Dopo aver concluso gli studi artistici si avvicina alla fotografia, finché, dopo i primi due anni di pubblicazioni, esposizioni, inizia ad affiancare alla produzione digitale l’attività su pellicola istantanea (Polaroid) che diventa la sua produzione principale.
Attualmente collabora con Polaroid per la realizzazione di foto promozionali per i loro prodotti. Vive e lavora a Lecce.

Dove vivi?

Lecce.

Che lavoro fai?

Ho la fortuna di potermi permettere di dedicarmi a tempo pieno alla fotografia.

Com’è cambiato il tuo lavoro da quando devi svolgerlo da casa?

Essendo freelance non è cambiato granché, se non per il punto comune a tutti di non poter andare a scattare fuori casa e purtroppo i progetti fotografici tra le mura domestiche non sono nelle mie corde.
Onestamente, spero di dimenticare presto questo periodo orribile e non voglio ricordarmene attraverso la fotografia (attraverso la mia, almeno) perché non voglio associarlo ad essa e non voglio ricordarmene quando tornerò a scattare all’aria aperta.
Fortunatamente sono riuscito a terminare appena in tempo un lavoro commissionato da Polaroid un paio di giorni prima dell’inizio della quarantena.

Con chi sei in casa?

Con i miei genitori e mia sorella, fortunatamente abitiamo tutti sparsi nel nostro piccolo condominio.

Cosa fai in questi giorni di reclusione casalinga forzata?

““Purtroppo”” (molto virgolettato) faccio a grandi linee quello che già facevo prima della quarantena, dedicare molto tempo ai miei interessi. Diciamo che non sentivo il bisogno di questo “tempo libero forzato” per dedicarmici e alcuni giorni lo percepisco quasi come un obbligo.
Non mi pesa il presente, sono a mio agio nella solitudine, ma penso spesso al “dopo”, mi preoccupa il pensiero di scoprire come saranno cambiati nel frattempo o come cambieranno i rapporti personali quando potremo interagire di nuovo tra noi. 
Sono fortunato ad avere un grande giardino, quando il tempo lo permette passo molto tempo all’aperto.

Stai usando o hai pensato di usare questo strano periodo come occasione per fare qualcosa che non avevi avuto modo o tempo di fare?

Oltre a rimettere mano a vecchie foto accantonate che magari ora hanno acquistato un significato diverso, ne sto approfittando per dialogare molto con altri fotografi o persone interessate alla mia fotografia, per dare finalmente una continuità a quelle chat che per mancanza di tempo sia mia, sia della persona dall’altra parte, avevano assunto una tempistica praticamente da corrispondenza epistolare, con risposte che arrivavano dopo giorni. Se dialogo deve essere, in questo periodo, che sia almeno costruttivo.

Qual è il posto che ti manca di più?

Indubbiamente il mare, la costa, le sue rocce.

Qualche consiglio per letture, visioni o attività per ammazzare il tempo?

Sembrerò eccessivamente geek, ma l’attività che consiglio di più è dedicarsi ai videogames, mia grande passione, visto che molti ignorano il livello cinematografico raggiunto dalle grandi produzioni e non sanno di perdersi grandi storie raccontate dal potente media videoludico. Oltretutto è un’attività che porta via molto tempo, quindi quale migliore occasione per dedicarvisi?
In alternativa, va bene qualunque attività ci permetta di restare lucidi e consapevoli di sapere che questo periodo orribile sia solo una parentesi (personalmente, ascolto molta musica). 

Laura Pizzini

cooperativapuntozero.it
facebook.com/zeroidee
@zeroidee.coop

Nata e cresciuta a Verona. Negli anni in cui ha studiato Filosofia all’università ha capito quanto le piacesse mescolare la dimensione del pensiero astratto con la concretezza della vita. Che cosa questo voglia dire sta ancora cercando di capirlo.
Con Giovanni (sua dolce metà e socio in affari) si è trasferita a Udine dove, insieme a Francesco, Matteo e Joseph passano il tempo a sviluppare progetti, festival, mostre d’arte, workshop, format creativi, produzioni multimediali e installative.

Dove vivi?

A Udine, in un appartamento all’ultimo piano dove fortunatamente posso perdermi a guardare le montagne in lontananza.

Che lavoro fai?

Sviluppo idee e progetti in ambito culturale e artistico insieme ai miei 4 soci.

Com’è cambiato il tuo lavoro da quando devi svolgerlo da casa?

Sta cambiando di settimana in settimana, sempre di più e sotto diversi aspetti.
Inizialmente il cambiamento è stato solo di tipo logistico. Con mio marito (che è uno dei miei 4 soci) dobbiamo darci il cambio per stare con nostro figlio di 2 anni e mezzo, tentando di sostituire il magico mondo dell’asilo nido. Quindi il lavoro a casa è spesso interrotto, sospeso, ripreso.

Con il passare delle settimane sta cambiando anche il lavoro nella sua sostanza. Tra aprile e maggio avevamo in programma una serie di eventi pubblici (Audiobus una performance sugli autobus a Trieste, Terminal un festival urbano a Udine, un simposio con altre realtà che gestiscono spazi creativi in Italia nell’ambito di Microfestival ecc. ecc.), tutte cose che sono “sospese” nell’attesa di potersi concretizzare.
Il venir meno di questi eventi stravolge anche il mio e il nostro lavoro.
In queste settimane ci stiamo concentrando un po’ di più sulla progettazione, in particolare sulla scrittura di un progetto europeo di auto-narrazione femminile per il prossimo biennio.

Con chi sei in casa?

Con mio marito e nostro figlio.

Cosa fai in questi giorni di reclusione casalinga forzata?

Circa una volta al giorno suono il campanello della signora Anna, al primo piano del nostro condominio, lei mi da il biglietto della spesa o gli spiccioli per la settimana enigmistica, o semplicemente mi racconta che cos’ha fatto durante il giorno, spesso mi rispedisce a casa con deliziosi manicaretti che cucina per noi.
Faccio il pane o la pizza.
Mi ingegno per intrattenere mio figlio, ma in questo mio marito vince. Hanno trasformato la casa in un’officina, al posto dei giochi girano attrezzi, colla a caldo, scatoloni, percorsi ad ostacolo.
Faccio moltissime videochiamate e video-conferenze.

E poi penso molto. Mi sorprendo a interrompere un’azione o una frase perché mi metto a pensare. Penso a quello che sta capitando. A quello che verrà dopo. Penso alle persone. A quello che comporta questa situazione per altre e altri. Penso e mi chiedo se saremo in grado di accettare la nostra vulnerabilità, per tornare ad abitare insieme. Penso a come e dove e se potremmo trovare il coraggio di stravolgere l’economia, la politica, la sanità, i confini, stravolgere tutto per creare qualcosa di assolutamente inaspettato.

Stai usando o hai pensato di usare questo strano periodo come occasione per fare qualcosa che non avevi avuto modo o tempo di fare?

Sto usando questo tempo per “contemplare”. Contemplare le persone, la natura, la città immobile. E anche per “sostare”. Inizialmente, per sostare nel disagio, nella mancanza, nella malinconia. Ora, per sostare nelle domande, nei dubbi per il futuro. Ma anche per sostare nel presente, nella casa, nelle risate tra noi, nel tempo illimitato per ascoltarci e guardarci crescere.

Qual è il posto che ti manca di più?

La natura. Ma forse mi manca ancor di più la piazza, popolata di persone e relazioni.

Qualche consiglio per letture, visioni o attività per ammazzare il tempo?

Due libri che ultimamente mi hanno dilatato anima e pensiero: Lettere a un giovane poeta e Dalla misura delle stelle di Rainer Maria Rilke.
L’ultimo libro che ho letto, o meglio, divorato: L’Arminuta di Donatella Di Pietrantonio.
Per questi tempi: L’umanità in tempi bui di Hannah Arendt.
Perché va letto senza se e senza ma: Lettera a una professoressa, Scuola di Barbiana.
Per impegnare mente e corpo in un’avventura incredibile: Queste oscure materie: la trilogia completa di Philip Pullman.
Il libro che sto leggendo ora: Metà di un sole giallo di Chimamanda Ngozi Adichie.
Il libro che devo leggere e rileggere di continuo a mio figlio: Perchè tutto questo traffico? di Tomoko Ohmura.

In copertina: “Sitting by the kitchen stove on a cold autumn day in New England. Near Bradford, Vermont, Orange County”, di Lee Russell, 1939 (fonte: digitalcollections.nypl.org) | elaborazione grafica: Frizzifrizzi.

co-fondatore e direttore
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