L’arte di starsene a casa

interviste al tempo della Covid-19 — diciottesima puntata

In occasione di queste giornate di ritiro domestico forzato, noi di Frizzifrizzi abbiamo pensato di pubblicare una serie di piccole interviste a professionisti e artisti che stimiamo per dare ai nostri lettori un po’ di potenziali consigli per tirare fuori qualcosa di buono da questo periodo buio (e poi perché, semplicemente, siamo curiosi).

In ogni puntata daremo parola a diverse persone.
Le domande sono uguali per tutti.
Gli ospiti di questa diciottesima puntata sono: Antonio Mancinelli, Anna Castagnoli, Emilio Salvatore Leo, Giulia Galeno e Giancarlo “Elfo” Ascari.

Antonio Mancinelli

@antoniomancinelli_

Caporedattore di Marie Claire, è giornalista professionista dal ’91. Ha iniziato con il Corriere della Sera. Ha collaborato con molte riviste e quotidiani, da Vogue a Panorama, da Diario a Elle, solo per citarne alcuni.
Ha scritto e condotto trasmissioni su Radio Tre e pubblicato vari libri: di questi, Fashion Box è stato tradotto in tutto il mondo. Da sempre attento alla moda come riflesso della società e dispositivo politico atto a spiegare le mutazioni culturali, ha insegnato e insegna in atenei pubblici e privati, dall’Accademia di Costume e Moda di Roma al Politecnico di Milano, dall’Università Alma Mater Studiorum di Bologna al Polimoda di Firenze, dall’Accademia della Moda a Napoli all’Università Cattolica di Milano, dalla Domus Academy alla Marangoni di Milano.
È stato chiamato dal Ministero della Cultura a far parte della Commissione Moda come patrimonio culturale italiano. Ha partecipato alla stesura dei cataloghi di importanti mostre: tra le ultime, Romanzo breve di moda maschile, a Palazzo Pitti di Firenze (2019), Italiana. L’Italia vista dalla moda a Palazzo Reale di Milano (2018), fino alla retrospettiva di Rick Owens Subhuman Inhuman Superhuman, alla Triennale di Milano (2017).

(Foto: Patrizia Benincà)

Dove vivi?

Milano.

Che lavoro fai?

Giornalista e scrittore.

Com’è cambiato il tuo lavoro da quando devi svolgerlo da casa?

Paradossalmente, è aumentato. E anche parecchio. Perché lo smart working (sarà poi così “smart”?), ti permette di lavorare in pigiama con la tua tazza di caffè preferito e la tua playlist a palla, ma annulla le differenze tra il tempo del lavoro e il tempo della libertà, in un bizzarro mix di amichevolezza e neo-schiavitù liberista.

Con chi sei in casa?

Sono completamente da solo. Il mio partner vive a Torino e non ci vediamo da quasi un mese in cui ho “scelto” volutamente di auto-recludermi. Esco solo una volta a settimana per fare la spesa.
Volevo provare l’esperienza inebriante della clausura (o quasi, perché poi faccio videochiamate, vedo un sacco di film) per provare a me stesso quanto riuscissi a sopportarmi. Credevo fosse impossibile tollerarmi per più di 48 ore, invece la convivenza forzata con me non sta andando così male come temevo. Un’esperienza da fare, anche se spero di non ripeterla.

Cosa fai in questi giorni di reclusione casalinga forzata?

Lavoro in smart working, vedo moltissime serie che mi ero perso e molti film che rivedo (sono un inguaribile cinefilo), mi faccio consigliare da amici più giovani per ascoltare musicisti che per me sono nuovi. Leggo, anche, ma non nella maniera in cui vorrei: per me leggere non è un ripiego, ma come scelta, e quindi lo faccio poco e con titoli o totalmente lontani dai miei gusti, o invece grandi libri che ho amato anni fa, per vedere se mi emozionano ancora.

Stai usando o hai pensato di usare questo strano periodo come occasione per fare qualcosa che non avevi avuto modo o tempo di fare?

La quarantena, per me, sta diventando il tempo dell’auto-esperimento sociale, usando me come parametro (può suonare egoriferito, ma qui non c’è nessunooooo…).
Tutto, in qualche modo, è nuovo, ma non sono il tipo che inizia a studiare una lingua nuova o s’iscrive al corso Instagram di pilates. La cosa nuova che sto facendo, ed è un sentimento che non provavo dalle medie, è riscoprire, laicamente quello stadio della noia che apre nuovi orizzonti creativi. E infatti sto scrivendo molto di più, e con più entusiasmo.

Qual è il posto che ti manca di più?

Dove abito meglio: dentro l’abbraccio delle persone che amo e che mi amano.

Qualche consiglio per letture, visioni o attività per ammazzare il tempo?

Cercare di conoscersi meglio. E recuperare quei rapporti umani con persone che pensavamo perdute lungo la strada. Farci pace. Fare pace con stessi. Con qualsiasi mezzo riteniate più opportuno.

Anna Castagnoli

annacastagnoli.com
@castagnoli_a
facebook.com/anna.castagnoli
lefiguredeilibri.com
facebook.com/LeFigureDeiLibri

È nata a Versailles da genitori italiani. Dopo un’infanzia a zonzo per il mondo e una laurea in Filosofia, nel 2004 ha iniziato una fervida attività come illustratrice, scrittrice e critica di libri per ragazzi.
I suoi racconti sono stati illustrati da Susanne Janssen, Gabriel Pacheco, Isabelle Arsenault, Carll Cneut, Gaia Stella.
In Italia è pubblicata da Bohem Press, Editrice Bibliografica, Topipittori, Einaudi Ragazzi.
Dal 2008 cura un blog di studi e ricerca sull’illustrazione: Le Figure dei Libri, diventato un punto di
riferimento per gli addetti al settore.
Insegna teoria della percezione e illustrazione allo IED di Milano e Torino, allo Spazio BK di Milano e alla Scuola Internazionale di Illustrazione di Sarmede.

Dove vivi?

A Barcellona, da quattordici anni.

Che lavoro fai?

Scrivo, illustro, studio, colleziono album per bambini e insegno illustrazione.

Com’è cambiato il tuo lavoro da quando devi svolgerlo da casa?

Le prime due settimane di confinamento riuscivo solo a disegnare dal vero un mazzo di fiori che avevo comprato, dormire, guardare film e leggere notizie sul Covid19, il tutto con una leggera ma persistente ansia.
Poi ho iniziato a sentire come un privilegio avere così tanto tempo davanti senza viaggi che interrompessero il ritmo quotidiano e mi sono messa a illustrare un libro che dovevo terminare da tempo, a leggere più costantemente, a scrivere.

Sto anche progettando un corso online per supplire alla perdita dei corsi che avevo in programma, ma faccio fatica a immaginare come insegnare illustrazione senza quell’energia elettrica che si crea in una classe vera.

Con chi sei in casa?

Mio marito. Abbiamo il lusso di avere una bella terrazza e spazi per poter lavorare separatamente: ci siamo organizzati bene.

Cosa fai in questi giorni di reclusione casalinga forzata?

Il sabato e la domenica approfitto del sole e della terrazza con un bel libro o un podcast. L’anno scorso avevamo fatto l’orto, ci restavano dei semi e un po’ di terra e così abbiamo piantato fiori di campo, fragole e fagiolini. Chissà se spunteranno in quarantena o dopo.
Ogni giorno gioco a “numeri” via Skype con un’amica che vive in Italia. Verso le sei, mio marito, che ama cucinare, prepara qualche manicaretto per l’aperitivo, che prendiamo davanti a Skype insieme a amici o parenti. Non siamo mai stati tanto sociali come in questi giorni!
Alle otto di sera c’è l’applauso alla città con i vicini, che va avanti con saluti e sbracciate e grida di «gracias!» e «gràcies!» per almeno dieci minuti, alle otto e un quarto una cantante lirica che vive nel quartiere dà esibizione con qualche aria e segue un altro applauso (i primi giorni di confinamento cantava Va pensiero). Poi guardiamo un film con il proiettore.

Stai usando o hai pensato di usare questo strano periodo come occasione per fare qualcosa che non avevi avuto modo o tempo di fare?

Rilassarmi. Mi godo il tempo, che sembra essere diventato più lento e benevolo.
Una mia parente, spero temporaneamente, ha perso l’olfatto dopo una forma leggera di Covid19.
Esco più volte al giorno sul terrazzo e sniffo la menta, il rosmarino e una pianta di finocchietto selvatico che è spuntata da sola con la sensazione che sia qualcosa di inebriante essere vivi e poter sentire i profumi.

Qual è il posto che ti manca di più?

Un’ora a sud di Barcellona c’è un tratto di costa rimasto selvaggio. Una passeggiata di quattro ore tra i pini costeggia il mare e collega il borgo di Altafulla all’antica capitale romana Tarragona. La percorrevamo sovente nel fine settimana e ci fermavamo a cercare fossili. Mi manca quel momento, mentre spacchiamo pietre gialle alla ricerca di un’impronta di alga o conchiglia, il mare che sciaborda vicino e due milioni di anni nel palmo della mano ancora tiepidi di sole.

Qualche consiglio per letture, visioni o attività per ammazzare il tempo?

Vi insegno a giocare a “numeri”. È un bellissimo gioco di logica simile a Mastermind.
Due griglie di quattro colonne, una per sé, una per l’avversario (l’altro ne avrà ugualmente due sul suo foglio). Ognuno sistema nella prima griglia 4 numeri tra zero e nove e scopo del gioco è indovinare i numeri dell’avversario. Quando è il nostro turno, diciamo ad alta voce quattro numeri per indovinare quelli dell’altro e li scriviamo nella seconda griglia. Come a battaglia navale, l’altro ci indica quanto siamo andati vicini o lontani dalla sua combinazione con: un pallino (per un numero giusto al posto sbagliato) e un quadrato (per un numero giusto al posto giusto). Pallini e quadrati vengono detti senza ordine, cioè non si sa a quale numero in colonna corrispondano. Non si dice nulla per i numeri che non ci sono. Dopo due o tre turni le combinazioni possibili si riducono ed entra in campo la logica. Vince chi trova in meno battute i numeri avversari nel buon ordine.
Buon gioco!

Emilio Salvatore Leo

lanificioleo.it
@lanificio_leo
rubbettino.it

Architetto, titolare e direttore creativo del Lanificio Leo, la più antica fabbrica tessile della Calabria, e direttore creativo delle Industrie Rubbettino.
È particolarmente interessato ai processi produttivi a bassa tecnologia ma con alto potere identitario, alla valorizzazione dell’errore e all’utilizzo non convenzionale della tecnologia. Negli ultimi anni ha partecipato come relatore a numerosi convegni nazionali sul rapporto tra impresa e cultura e sulle dinamiche design oriented come approccio all’innovazione.

Dove vivi?

Vivo “in the middle of nowhere”, come disse, un po’ di anni fa, un’amica tedesca appena arrivata nella valle del Reventino a Soveria Mannelli nel cuore della Calabria. Oppure potrei dire che vivo nel centro del Mediterraneo.
Sempre questi benedetti punti di vista.

Che lavoro fai?

Sono un architetto prestato all’impresa o un imprenditore che pensa come un architetto. Dopo quasi quindici anni ancora direi di non essere riuscito a risolvere la questione, anzi penso di averla aggravata.

Com’è cambiato il tuo lavoro da quando devi svolgerlo da casa?

In realtà da quando l’apocalisse è arrivata, il mio mestiere primario è stato messo in stand-by e con esso la fabbrica storica di cui mi prendo cura.
Da casa quindi svolgo poco o niente di quello che facevo fino a un mese fa. In compenso sto supportando la mia mamma che si occupa a tempo pieno del mio super papà di 97 anni. A fine febbraio ha pensato bene di rompersi il femore, farsi operare con successo e con grandissima forza tornare a programmare il futuro anche in tempi in cui questa parola ci spaventa.

Con chi sei in casa?

Ho la fortuna di avere con me mia moglie Ginevra e i miei due figli (Giuseppe 4 anni e Ellade 11 anni).
Con loro stiamo costruendo una città con i Lego in cui tutto funziona e non si ha paura di niente.

Cosa fai in questi giorni di reclusione casalinga forzata?

Come dicevo prima, proprio per stare vicino al mio papà e supportare mia mamma ogni giorno percorro i cinque 5 km per arrivare in azienda dove abitano ancora i miei. Parte della mia giornata è dedicata a restituire la cura che ho avuto da figlio e un’altra parte è dedicata a fare il papà.
Confesso che la mia reclusione ha tempi e modi differenti rispetto a molti e in un certo senso la vivo come una concessione “fortunata” che mi permette di sentirmi libero anche se dentro un percorso obbligato.

Stai usando o hai pensato di usare questo strano periodo come occasione per fare qualcosa che non avevi avuto modo o tempo di fare?

Sì, fare il badante. A parte gli scherzi, quando la vita riprenderà il suo corso, sicuramente mi verranno in mente le tante cose che avrei voluto fare in questo periodo di fermo e non ho fatto.

Qual è il posto che ti manca di più?

In realtà non c’è un posto che mi manca di più, piuttosto mi manca la libertà di poterci andare, qualsiasi esso possa essere.

Qualche consiglio per letture, visioni o attività per ammazzare il tempo?

Ho ripreso molte letture fondative che avevo fatto ai tempi dei miei studi di architettura.
L’allegoria del patrimonio di Choay Françoise, Le cosmicomiche di Italo Calvino. E a notte tarda sto riguardando le prime due stagioni di Westworld per poi dedicarmi alla terza.
In più ho ripreso assiduamente a disegnare “cose”. Tracciare linee mi viene meglio che scrivere parole.

Giulia Galeno

flickr.com/photos/giuliagaleno/
@galenogiulia
flickr.com/groups/happywhenitrains/pool/

È nata a Frosinone nel 1983. Laureata in Editoria e Comunicazione, dopo aver svolto per anni lavori precari, ha trovato un impiego stabile come sportellista. Appassionata di fotografia, amore trasmesso dal padre, si sta dedicando con un gruppo di amici al recupero dell’analogico, dallo sviluppo alla stampa. Cura insieme agli stessi un gruppo a tema su Flickr Happy when it rains.

Dove vivi?

Vivo a Frosinone in un appartamento da cui, per fortuna, posso godere di un bel panorama. Dal balcone lo sguardo supera i palazzi e le case disordinate fino ad arrivare alla campagna e alle montagne.

Che lavoro fai?

Sono impiegata in un piccolo ufficio postale di un paese vicino.

Com’è cambiato il tuo lavoro da quando devi svolgerlo da casa?

In questi giorni il mio ufficio è chiuso, il tipo di lavoro che svolgo non prevede smart working quindi me ne sto a casa, a parte qualche turno di sostituzione in uffici diversi dal mio.

Con chi sei in casa?

Sono in casa con Marcello e con Mimmo, un gattone amico della polvere e delle corse forsennate per il corridoio.

Cosa fai in questi giorni di reclusione casalinga forzata?

Mi occupo della casa, studio, seguo corsi di formazione a distanza.
Essendo una persona di indole pigra e solitaria, sono abituata a stare in casa e non soffro fisicamente per questa reclusione. Piuttosto soffro spiritualmente e, in certi giorni più tristi di altri, è quasi meglio rimanere dentro che uscire nelle strade vuote e sentire intorno il silenzio; fare surreali file davanti al supermercato; riuscire a vedere la mia amica e i miei genitori solo di sfuggita da sotto la finestra tornando dalla spesa.

Stai usando o hai pensato di usare questo strano periodo come occasione per fare qualcosa che non avevi avuto modo o tempo di fare?

Questo periodo sarebbe un’occasione perfetta per fare delle cose terribili che rimando dal primo giorno: riorganizzare l’armadio e sistemare il balcone con tutte le piante, ma mi limito a guardare tutorial su tutorial sugli argomenti fino a trovare un diversivo per rinviare al giorno dopo.
Ho altre cose piacevoli da fare che sono rimaste in sospeso, ad esempio archiviare i negativi in bianco e nero, sistemare le stampe e le fotografie che ho portato dalla casa dei miei genitori.
Non potendo uscire, ho montato un teleobiettivo sulla reflex per fotografare i dirimpettai e le loro curiose fughe sui balconi e qualche sporadico passante, ancora disorientato.

Qual è il posto che ti manca di più?

Il cinema, il mare e la montagna, in particolare la strada che porta su al campo innevato, lungo la quale si incontra sempre qualche cavallo.
Mi mancano le passeggiate fuori porta con gli amici, dal momento in cui si decide insieme la meta, ai ritardi prima della partenza, al viaggio in macchina, alla malinconia del ritorno.

Qualche consiglio per letture, visioni o attività per ammazzare il tempo?

Ho finito da poco Rose Madder di Stephen King, sanguinolenta ma non troppo terrificante storia di un riscatto femminile, da abbinare all’ascolto dei Madder Rose gruppo degli anni ’90 che non conoscevo e che per un’inquietante coincidenza ho scoperto proprio mentre leggevo il romanzo.

In questi giorni ho recuperato tantissimi film tra cui Tutto il mio folle amore di Gabriele Salvatores, La prima pietra di Rolando Ravello, Lady bird di Greta Gerwig e, per rimanere in famiglia, Storia di un matrimonio di Noah Baumbach.
Consiglio anche un documentario sulla nuova generazione di fotografi russi Snapshot Russia, che si può trovare su Raiplay.

Potrei suggerire altre attività: giocare ai videogiochi; cimentarsi nella danza hip hop seguendo lezioni su YouTube; dare sempre retta al gatto quando vuole giocare evitando così che rosicchi i cavi; tenere un diario, anche fotografico.

Giancarlo “Elfo” Ascari

alterelfo.tumblr.com

È laureato in Architettura al Politecnico di Milano, dove vive. È illustratore e autore di fumetti con lo pseudonimo di Elfo.
Dal 1977 ha collaborato con Alteralter, Linus, Corriere dei Piccoli, Linea d’Ombra, Diario, Il Manifesto, L’Unità, Il Giorno, Alfabeta, La Gola, Domus, Smemoranda, Repubblica, Corriere della Sera, MillenniuM. È stato tra i fondatori della cooperativa Storiestrisce e della rivista TIC. Ha pubblicato Lo statuto dei lavoratori illustrato e le graphic novel Love Stores (Coconino), Tutta colpa del ’68 (Garzanti), Sarà una bella società (Garzanti), L’arte del complotto (Rizzoli Lizard). Ha scritto e disegnato con Matteo Guarnaccia Quelli che Milano e Il Barbarossa (BUR). Ha illustrato La ballata del Pelè di Roberto Farina (Milieu), Che sfiga! Di Micol Beltramini (Centauria). Ha scritto e disegnato con Pia Valentinis: YUM!, ZIP!, GONG!, LALALA!, Leonardo in Festa (tutti per Franco Cosimo Panini), The Green Fingers of Monsieur Monet (Royal Academy of Arts), Ponti non muri (Bompiani), Boldini il grande seduttore (Fondazione Ferrara Arte Editore), Il catalogo delle cose inutili e indispensabili (Clichy). Ha illustrato con Pia Valentinis: Caro autore di Riccardo Bozzi (Bompiani), Fake di Daniele Aristarco (Einaudi Ragazzi), Il dizionario dei luoghi comuni di Gustave Flaubert (Centauria).

Dove vivi?

Milano, quartiere Ticinese.
Un posto fino a poco fa piuttosto vivace. Ora meno.

Che lavoro fai?

Disegno illustrazioni e fumetti, lavoro per l’editoria. Un tempo con i giornali, ora soprattutto libri.

Com’è cambiato il tuo lavoro da quando devi svolgerlo da casa?

È cambiato molto poco, è sempre stato una faccenda solitaria e continua ad esserlo.

Con chi sei in casa?

Vivo da solo, ora anche i contatti con amici, parenti, figlio e nipote sono virtuali.

Cosa fai in questi giorni di reclusione casalinga forzata?

Lavoro a progetti già avviati, ascolto musica, suono la chitarra, leggo riviste, guardo qualche film.
Ho problemi a leggere libri, la concentrazione è un po’ calata.

Stai usando o hai pensato di usare questo strano periodo come occasione per fare qualcosa che non avevi avuto modo o tempo di fare?

No, è una roba tipo il deserto dei tartari, ti passa la voglia di fare altro. Si aspetta di uscirne.

Qual è il posto che ti manca di più?

Il mercato: Milano aveva una rete di mercati di zona in cui trovavi cibo, vestiti, libri, oggetti inattesi.
Il mercato e la chiesa secondo me sono fin dal Medio Evo le fondamenta delle città.
La chiesa non mi manca, ma il mercato era fonte di un continuo e fertile divertimento.

Qualche consiglio per letture, visioni o attività per ammazzare il tempo?

Leggere o rileggere Arbasino e Celati, hanno la giusta dose di ironia amarognola che può aiutare in questi giorni.
E poi i film di Blake Edwards e Billy Wilder, tutti. Come colonna sonora suggerisco i Kinks e un po’ di funk anni ’70 per saltellare in casa.

In copertina: “Living room in home of well-to-do Negro. Chicago, Illinois”, di Lee Russell, 1941 (fonte: digitalcollections.nypl.org) | elaborazione grafica: Frizzifrizzi.

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