Dietro le parole: intervista a Sara Arosio, illustratrice della rubrica Logos

Da qualche mese, curo per Frizzifrizzi una rubrichetta sporadica sui neologismi, cioè quelle nuove parole che entrano nell’uso quotidiano, talvolta senza nemmeno rendercene conto. 
La rubrica è illustrata da Sara Arosio e con l’autunno, abbiamo pensato di serrare un po’ le uscite e illustrare una nuova parola ogni settimana. 
Mi sembra l’occasione giusta per conoscere un pochino meglio Sara.

Sara Arosio

Ciao Sara, raccontaci tutto: chi sei, cosa fai, dove vai?

Che domande impegnative per iniziare una conversazione! Vediamo… Sono Sara e sono illustratrice. Ho studiato pittura a Milano e arti visive a Venezia. A Milano ho lavorato per molti anni nei musei come guardasala, mentre a Venezia ho lavorato come correttrice di bozze e coordinatrice editoriale per lineadacqua, una casa editrice specializzata in storia locale e cataloghi d’arte. Nel 2022 ho lasciato Venezia per iscrivermi al Mimaster Illustrazione, a Milano. 
Adesso passo il mio tempo in studio a disegnare e progettare. Con mio fratello stiamo lavorando per aprire uno spazio-laboratorio nel paese in cui siamo nati e cresciuti, in cui poter tenere corsi e laboratori d’arte per adulti e bambini. Siamo in una fase preliminare ma speriamo di poterlo aprire presto al pubblico!

A cosa lavori principalmente? Dove possiamo vedere le tue illustrazioni?

Beh, sicuramente su Frizzifrizzi! Ho poi collaborato con La Revue Dessinée Italia, Anorak magazine, e altre realtà editoriali. A breve esco con il mio primo albo illustrato e sto già lavorando a un secondo che parla di un animale molto particolare. Uscirà il prossimo anno. 
Oltre a questo, ho qualche altro progetto personale. 

A che genere di progetto preferisci lavorare? Copertine, illustrazioni per i magazine o qualcosa di più articolato?

A dire il vero mi piace tutto. Copertine e illustrazioni per magazine richiedono uno sforzo di sintesi importante, bisogna fare molti schizzi per trovare un’immagine che sia evocativa ma allo stesso tempo immediata, di facile lettura, ma non scontata.
Un progetto più articolato come un albo illustrato o un fumetto richiede anch’esso molto tempo, ma può essere più discorsivo: il suo significato non è affidato a una singola immagine ma a una serie di immagini, come in un film. Un’altra differenza è la possibilità di affidarsi anche alle parole e giocare con l’armonia o il contrasto che si crea tra ciò che esprimono le parole e ciò che esprimono le immagini. Mi piace quando parole e immagini viaggiano su piani diversi fino a che, ad un certo punto della narrazione, si incontrano e creano un cortocircuito eccitante!

Parliamo della rubrica Logos: come procedi quando devi illustrare una parola e soprattutto, come la scegli?

Di solito scelgo la parola in base a come mi sento. Faccio un piccolo schizzo a mente e penso a come potrebbe venire, e soprattutto penso in che modo quella parola mi riguarda. Cerco di renderla familiare, di trovare quel punto in cui la mia realtà si incontra con quella che devo illustrare. Altre volte invece scelgo completamente a caso!
Una volta scelta la parola faccio un po’ di schizzi brutti. Poi faccio una pausa e li riguardo. Quello che mi convince di più lo disegno nuovamente in modo più preciso, dopodiché passo al colore. Anche in questo caso faccio diverse prove finché non trovo la combinazione che mi convince.

Hai une preferenza per i neologismi? Non so, quelli anglosassoni oppure quelli legati alla società, alla tecnologia?

Credo che tutti i neologismi in qualche modo siano legati alla società, perché nascono proprio dalla necessità di dare una definizione a eventi e comportamenti nuovi. Però in generale prediligo quelli che esprimono uno stato d’animo.
Pe esempio, mi sono divertita molto a illustrare goblin mode, in parte perché mi sento anche io un goblin e in parte perché esprime un atteggiamento preciso. 
Se potesse parlare, il mio goblin direbbe: «chissene frega di quello che pensa la gente, io sto bene così e questa è l’unica cosa che importa!». 

Quanto cambia l’illustrazione dal primo concept alla realizzazione finale?

Di solito, quando lavoro ai definitivi, cerco di tenermi accanto la primissima bozza per non allontanarmene troppo, ma finisce sempre che qualcosa cambia. Nel caso di goblin mode, per esempio, ho cambiato la bottiglia di birra con una bevanda analcolica, per rendere l’illustrazione più universale (in alcuni paesi non si possono bere alcolici per strada, e gli appartenenti ad alcune culture nemmeno consumano alcolici). Inizialmente poi avevo previsto di avere alcune persone ben vestite che osservavano il goblin da lontano, ma ho poi deciso di sostituirle con un ambiente metropolitano grigiastro, alla Sironi, per contrapporre i colori allegri del goblin con il piattume della città. Volevo che si percepisse che il “vestirsi a caso” in questa illustrazione ha un valore positivo, una sorta di liberazione.

editorialista
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