L’Italia di inizio anni ’70, che per una parte del Paese equivaleva a leggerezza e voglia di libertà, a un’ingenuità che di lì a poco si sarebbe persa in mezzo al terrore degli Anni di Piombo.
Un’età di mezzo. Una sfumatura. Una parentesi tra la crisi della società borghese degli anni’60 e le contestazioni dei movimenti operai e studenteschi degli anni ’70.
Un’Italia in certi casi ancora “da cartolina”, colorata e chiassosa, tra gite fuori porta e domeniche al mare, gli abitini a stampe floreali delle mamme e delle zie, il segno del costume su abbronzature che ancora avevano i toni naturali della terra e del grano, gli irriconoscibili papà capelloni, barbuti/baffuti e con pipa e borsello nelle foto che oggi tiri fuori dagli album di famiglia. I mobili di design (per chi poteva permetterseli). Le derive psichedeliche. I giradischi. I tascabili e l’editoria di massa, prima della crisi economica che avrebbe ridisegnato il panorama editoriale nazionale.
È proprio in quel mosaico di contraddizioni (dall’aereo idealismo dei viaggi chimici alla pesantezza metallica del lavoro in fabbrica e, appunto, del piombo delle armi; dalla famiglia tradizionale ai movimenti femministi e di liberazione omosessuale; dai viaggi intercontinentali a bordo di grossi jet all’arretratezza delle campagne e della provincia) che il giovane marchio italiano Ortys officina Milano è andato a pescare le ispirazioni per la sua seconda collezione di bijoux, scegliendo però di sposarne l’aspetto più leggero e disimpegnato.
«L’idea iniziale», mi racconta Antonio Neroni, vecchio amico, fondatore e designer di Ortys insieme alla sua compagna Federica, «arriva da un pluripremiato film italiano uscito qualche anno fa ma ambientato proprio in quei primi anni ’70. Si chiama La kryptonite nella borsa ed è stato diretto da Ivan Cotroneo, autore anche del libro da cui è tratto».
Il film (che, ammetto, non ho visto) racconta l’Italia dell’epoca attraverso la storia di un bambino che ha un cugino che si crede Superman. Quando a un certo punto il cugino muore il piccolo protagonista continua a immaginarselo proprio come supereroe.
A colpire Antonio è stato soprattutto l’aspetto estetico. Le stampe, il design, la psichedelia… E da lì è partito per una ricerca fatta di piccoli dettagli, per ricreare attraverso i suoi bijoux quel senso di leggerezza.
«Quando inizio a lavorare a una collezione prima faccio le mie ricerche poi butto tutto su un tavolo — idealmente e materialmente — e da lì inizio a comporre, tenendo però in considerazione un elemento per me fondamentale come la “vendibilità”, che quindi diventa parte integrante del processo creativo: sono un cosiddetto “designer con la calcolatrice”», mi spiega sorridendo.
Ecco quindi collane, bracciali e orecchini dai colori forti, fatti di piume, rafia, materie prime povere abbinate a materie prime ricche.
C’è pure spazio per la frutta. Vera. Fissata per i secoli dei secoli a venire attraverso una composizione di resine, poi assemblata e incastonata nei prodotti della collezione estiva di Ortys (per chi se lo stesse chiedendo, il nome è un omaggio al fiore dell’ortensia) in modo da portare con sé l’effimera bellezza — resa immortale — di un succoso frutto della natura altrimenti destinato a marcire.