Nei primi del ‘900, in Giappone, con la progressiva occidentalizzazione del paese, la produzione delle tradizionali xilografie ukiyo-e era in pieno declino, perlomeno rispetto al periodo d’oro, durato per diversi secoli, dal ‘600 all’800. Popolarissime in patria — dove rappresentavano un fenomeno di massa e avevano tirature da capogiro — nonché capaci di influenzare l’arte occidentale (vedi Giapponismo), le stampe ukiyo-e trovarono un loro ideale proseguimento nel cosiddetto movimento shin hanga. Il termine, che si può tradurre come “nuove edizioni” o “stampe nuove”, venne inventato dall’editore Shōzaburō Watanabe, che negli anni ’10 iniziò a commissionare agli artisti delle opere che riprendessero i temi caratteristici delle ukiyo-e (vita urbana, paesaggi, lottatori di sumo, attori di teatro, cortigiane), influenzati però dalle arti occidentali, introducendo effetti prospettici, ombreggiature e maggiore espressività dei volti.
Watanabe lanciò di fatto il movimento, che dell’ukiyo-e riprendeva anche la modalità di produzione, caratterizzata dal coinvolgimento di molte figure: l’artista, l’incisore, lo stampatore e l’editore a supervisionare il tutto (più o meno parallelamente allo shin hanga, si sviluppò il sōsaku hanga, cioè “stampe creative”, che invece metteva in risalto la figura dell’autore unico, responsabile di ogni fase del processo). Le xilografie shin hanga non ebbero mai lo stesso successo di quelle ukiyo-e, ed erano destinate quasi esclusivamente al mercato estero, principalmente gli Stati Uniti. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale il movimento entrò in declino e di fatto cessò, nonostante un piccolo periodo di ripresa nell’immediato dopoguerra.
Ora una grande mostra, organizzata dall’Art & History Museum di Bruxelles e intitolata Shin hanga – The new prints of Japan 1900-1960, prova a far luce su questo relativamente breve fenomeno dell’arte giapponese. Inaugurata lo scorso 13 ottobre, l’esposizione presenta oltre 200 stampe, provenienti da due collezioni private, oltre a bozzetti, studi ed edizioni che fanno parte della collezione del nipote dello stesso Watanabe. Tra gli artisti protagonisti ci sono Shōtei (di lui abbiamo già parlato qui), Hashiguchi Goyō, Kawase Hasui, Itō Shinsui, Kasamatsu Shirō, Komura Settai e molti altri, tra cui anche autori occidentali, come l’austriaco Friedrich “Fritz” Capelari e il britannico Charles William Bartlett, che pure lavorarono con Shōzaburō Watanabe.
Nove sono le sezioni in cui sono state suddivise le opere, raggruppate in due macro-gruppi: quello relativo alle stampe prodotte prima del Grande terremoto del Kantō del 1923 (una devastante scossa che fece oltre 100.000 vittime e distrusse anche gli edifici dell’editore Shōzaburō Watanabe e gran parte del materiale che c’era all’interno) e quello relativo alla produzione post-terremoto. La mostra rimarrà aperta fino a gennaio 2023. Di seguito una piccola selezione dei capolavori in esposizione.
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