L’arte è come un percorso sulla cresta di una montagna, si può cadere a ogni istante da una parte o dall’altra.
Anselm Kiefer
Penso a queste parole da qualche giorno. Sembra difficilissimo per me non credere di aver trovato finalmente una definizione che si avvicini il più possibile alla verità di quella che ritengo sia arte e un po’ anche la vita. Temo sia il riferimento al mondo della montagna ad avermi fatto capitolare, e in piccola parte ossessionare, di fronte a quanto affermato una volta dal grande pittore e scultore tedesco Anselm Kiefer.
A riportarmele è Giorgio Caione, curatore di una mostra — Vertigine. Visioni contemporanee della montagna, presso Casa De Rodis a Domodossola — che ha inaugurato il 4 luglio e rimarrà visitabile fino al 5 settembre, e che raccoglie i lavori artistici di alcuni artisti contemporanei riguardo il mondo della montagna.
Io e Giorgio ci sentiamo al telefono durante una mattina di inizio luglio. Mentre Roma è rumorosamente alle prese con una classica mattinata lavorativa, mi immergo nella voce dall’altra parte dello schermo luminoso appoggiato sulla mia scrivania. Mi racconta che l’esposizione è una collaborazione tra la Collezione Poscio e l’associazione Asilo Bianco, con cui lui a sua volta collabora, e fa parte di un progetto che si chiama Carnet de Voyage, finanziato da Compagnia di San Paolo e Fondazione Comunitaria del VCO.
Casa De Rodis, essendo sede della Collezione Poscio, non poteva non essere la nuova casa temporanea per le opere in mostra: Giorgio le ha scelte dando il più spazio possibile alla pittura, sia per sottolineare il legame con la Collezione stessa, composta principalmente da paesaggi e vedute dell’800, sia per rendere più “digeribile” il contenuto in sé a chi nella vita non è abituato a rapportarsi spesso con l’arte contemporanea.
Non mancano ovviamente anche installazioni, fotografie e video: dopo un iniziale omaggio a Joseph Beuys, nel centenario della sua nascita, nelle diverse stanze si fa la conoscenza di altri venti tra artiste e artisti. Quattro di loro — Fabrizio Albertini, Simone Geraci, Daniele Giunta e Gosia Turzeniecka — hanno realizzato le loro opere durante una residenza in Valle Anzasca, quella dove sorge il Monte Rosa, sempre organizzata all’interno del progetto Carnet de Voyage.
Gli altri lavori esposti sono di Salvatore Astore, Enrica Borghi, Marta Dell’Angelo e Gohar Martirosyan, Frenzy, Daniele Galliano, Marcovinicio, Irene Pessino, Federico Piccari, Laura Pugno, Pierluigi Pusole, Franco Rasma, Turi Rapisarda, Giovanni Rizzoli, Luigi Stoisa e Velasco Vitali.
Durante la chiacchierata soffoco a forza una domanda, che però a un certo punto faccio, nascondendola tra mille altre. Temo di apparire banale, perché che tra la vertigine e la montagna ci sia un collegamento è piuttosto ovvio, che la si abbia mai provata o meno, ma perché farla diventare il titolo di questa esibizione? Allora arrivano le parole che ho citato all’inizio, o meglio è Giorgio a citarmele, per dirmi che è partito proprio da quella frase di Kiefer quando ha cominciato a immaginare la mostra. Mi parla del rischio, di quanto ci si senta fragili, di quanto si sia in balia della vita, sia quando si guarda giù dalla cima di una montagna sia quando si crea dell’arte.
È un clacson, giù dalla strada, a riportarmi alla realtà e ricordarmi che sono ancora al livello del mare. Lascio andare Giorgio e penso che muoversi tra le sale di Casa De Rodis in queste settimane debba essere qualcosa di simile ad una camminata in una terra alta mai visitata prima, dove a guidarti sono le esperienze creative di altri. Non sapendo se potrò vivere questa esperienza, ogni tanto sfoglio il catalogo, che include un testo di Michele Bonuomo, storico dell’arte e giornalista, e soprattutto quelle parole di Kiefer, nel caso le dimenticassi.
Voi, però, se siete in zona, andate a perdervi dentro Casa De Rodis, da soli, in compagnia o — il 22 luglio o il 7 agosto — insieme a Giorgio per una visita guidata.
L’inaugurazione
foto di Francesco Lillo