(courtesy: la Scuola Open Source)

Un anno di Scuola Open Source, che presenta in questi giorni i nuovi corsi

«L’importanza del progetto sta tutta in una semplicissima considerazione: per determinare il futuro occorre educare il presente», così Alessandro Tartaglia, a fine 2015, mi aveva spiegato l’essenza del progetto la Scuola Open Source, un’iniziativa che all’epoca sembrava pura utopia ma che oggi è una bella realtà dove la didattica si intreccia con la ricerca, dove lo spirito pirata pervade ogni angolino, fisico e mentale, dove le parole chiave sono condivisione, contaminazione, etica hacker, open source, concetti che nella società in cui viviamo appaiono anno dopo anno sempre più “sovversivi”.

Aperta a inizio 2017, la SOS è da poco entrata nel secondo anno di attività e proprio in questi giorni sta presentando il nuovo programma didattico.
Ho quindi chiesto ad Alessandro, che è tra i fondatori, di fare il punto della situazione e raccontare le novità.

* * *

L’ultima volta che qui su Frizzifrizzi si è parlato di voi è stato più di due anni fa, quando cercavate di vincere il bando CheFare. Poi l’avete vinto, la Scuola Open Source è nata e da allora va a pieno regime. Mi vuoi parlare di questi ultimi due anni?

Ciao Simone, innanzitutto ti ringrazio per l’opportunità di fare due chiacchiere (anche se, ripensando a quanto tempo è trascorso da quando FF3300 era un magazine e tu facevi Freshcut, mi sento vecchio).
Veniamo a SOS: la scuola ha aperto ufficialmente il 22 novembre 2016, ed ha iniziato le attività nel gennaio 2017. Da allora abbiamo svolto più di 20 corsi, che hanno coinvolto circa 300 studenti. Di questi almeno il 33% (ma in alcuni casi anche il 50%) è giunta in Puglia da altre regioni.

Luminaria “tuttisanti” realizzata nel Fablab
(courtesy: la Scuola Open Source)

Abbiamo anche realizzato circa 18 eventi gratuiti, 2 progetti di ricerca (di cui uno in corso) e diverse commesse di “produzione” nonostante il Fablab della scuola debba ancora aprire ufficialmente (cosa che accadrà a breve).

Tutte le attività svolte fino ad ora sono state “sostenibili”, ovvero hanno prodotto utili che stiamo reinvestendo. Uno dei prossimi obiettivi è redigere un “bilancio sociale ed economico” della scuola, che ci aiuti a comprenderne l’impatto sul territorio, fornendo al contempo degli indicatori di performance economica.
In particolare, al di là dei dati, ciò che ci interessa che emerga è il processo di generazione della/e comunità attorno alla scuola e il modo in cui queste persone contribuiscono alla pratica di “ri-disegno” iterativo della scuola stessa.

Due esempi su tutti: il primo è la piattaforma che stiamo completando, che sarà un “pilota” per un più ampio progetto di platform cooperativism open source per centri di produzione culturale indipendenti (su questo stiamo lavorando a stretto contatto con altri centri: Macao, Wemake, ExFadda, per citarne alcuni…); il secondo è il fondo borse di studio che abbiamo lanciato alla fine del 2017 e che permette a SOS di raccogliere piccoli contributi (che possono anche essere “vincolati” ad aree tematiche) per erogare borse di studio a chi ne fa richiesta.

Education is slavery
(courtesy: la Scuola Open Source)

Qual è lo spirito del progetto?

Lo spirito è generare nuove possibilità, per quante più persone possibili.
SOS è un luogo precario e instabile, che cambia continuamente nella propria forma (dopo l’abbandono di Isolato 47 ci siamo trasferiti a Officina degli esordi e adesso, finalmente, stiamo per aprire l’hackerspace), ma è anche questa la sua forza: un’entità ubiqua, che si sostanzia più nei legami tra le persone che la animano che nello spazio fisico che la accoglie.

Le reti sono, infatti, il principale asset della scuola: quelle corte (sul territorio) ci permettono di operare a livello locale, quelle lunghe (distribuite) ci permettono di generare valore (soprattutto a livello locale).

Credo che lo spirito sia tutto qui: costruire dei ponti tra le persone, connetterle, condividere e abilitare la condivisione, nella convinzione che questo, alla lunga, possa cambiare il posto dove viviamo, almeno un po’.

Big data
(courtesy: la Scuola Open Source)

Sono entrato in contatto con alcuni dei vostri ex studenti e tutti mi hanno raccontato cose meravigliose (come si intuisce pure dalle recensioni sulla pagina Facebook). Ma visto che tutti sbagliano, soprattutto nelle prime fasi dei progetti, voi che errori avete fatto e cosa vi hanno insegnato?

La buona notizia è che se fai una scuola basata sulla co-progettazione e sull’iterazione, mettendo in preventivo che farai tanti errori e che per questo devi procedere in modo agile, leggero (oltre che sostenibile), allora puoi — anzi devi — fare tanti errori.
La cattiva notizia è che per quanto puoi prevedere di sbagliare, e provare ad agire in modo antifragile, ci saranno sempre aspetti che potranno metterti in crisi.

Nel nostro caso gli aspetti più critici dei primi 12 mesi sono stati:
• in primis l’attrito prodotto dal dover fare tanto, bene, con poco e in poco tempo;
• poi la gestione degli esseri umani (siamo 13 soci, di questi 3-4 vivono fuori o sono impossibilitati a partecipare attivamente);
• last but not least, l’errore più importante, che per fortuna stiamo sistemando, credo sia stata la forma societaria (SRL ndr): abbiamo aperto una società, convinti che questo fosse il modo più agile per procedere. Oggi, dopo 12 mesi abbiamo capito che non è così: una cooperativa ci può permettere di essere più agili e aperti di quanto siamo stati finora. Per questo stiamo lavorando a una trasformazione del soggetto giuridico, che dovrebbe avvenire entro la fine dell’anno.

Ora e sempre resistenza
(courtesy: la Scuola Open Source)

State presentando in questi giorni la nuova programmazione didattica. I temi spaziano dal codice al design, dall’arte murale all’hacking e alla comunicazione. Cosa consigli, e a chi, tra i nuovi corsi che verranno attivati?

Ti ricordi quando facevamo la rivista? Grosso modo i temi sono sempre quelli, con una componente tecnologica più densa e definita.
Inoltre la sopraggiunta condizione di “maturità”, soprattutto per quanto riguarda la visione politica della società, ci ha spinto a fare delle scelte più profonde, probabilmente più radicali, nella definizione dei temi.

Faccio alcuni esempi:
Sociologia dell’algoritmo, tenuto da Massimo Airoldi, è una riflessione sull’algoritmo come oggetto culturale. Un percorso a metà fra sociologia e informatica.
Python 3 + drawbot, tenuto da Roberto Arista, è un percorso sulle competenze ibride — #coding + #design — che possono generare nuove possibilità e figure professionali.

Il corso sul basic design con Giovanni Anceschi presso la Scuola Open Source
(courtesy: la Scuola Open Source)

Attualmente sono stati pubblicati 6 nuovi corsi, ma per i prossimi 10 giorni attiveremo un corso al giorno: qui tutti i corsi.
Un aspetto importante di questa nuova programmazione è che per la prima volta, dopo 12 mesi di attività, abbiamo deciso di svolgere laboratori SOS in altri Centri di Produzione Culturale Indipendente: per ora abbiamo stretto un accordo con Macao e ne stiamo stringendo altri, ad esempio con Wemake (!)

Ho sbirciato nel piano dei possibili futuri corsi. Ci sono alcuni nomi — anche grandi nomi — tra i docenti e un «capire cosa» al posto del titolo del corso. Questo mi fa pensare che consideriate fondamentali innanzitutto le persone, quel che possono insegnare passa in secondo piano.

Senza dubbio il nome del docente è fondamentale per “invogliare” qualcuno ad iscriversi a un laboratorio o a un corso, ma questo è marketing.
Se parliamo di didattica o pedagogia dobbiamo fare altre valutazioni.
Quando dici «considerate fondamentali innanzitutto le persone» hai ragione, ma il criterio non può e non deve essere “la notorietà delle persone”. Il criterio deve essere la qualità, umana prima, professionale poi, dei docenti.

Per spiegare meglio ciò che voglio dire devo scomodare la teoria dei capitali: la scuola, così come qualsiasi organizzazione, non produce solo capitale economico, per intenderci: soldi; produce anche:

capitale culturale > ovvero competenze
capitale relazionale > ovvero connessioni (o se preferite link)
capitale simbolico > ovvero immaginario

La Scuola Open Source @ Macao
(courtesy: la Scuola Open Source)

Semplificando:
• tutti i corsi generano capitale economico, relazionale, anche se in piccola quantità, e culturale;
• tutti i corsi possono generare capitale simbolico;
• la qualità e la quantità del capitale culturale dipendono da diversi fattori, tra i quali: eterogeneità del background dei partecipanti, capacità del docente, morfologia delle attività, ecc;
• il capitale simbolico che possiamo generare è influenzato anch’esso da diversi fattori, tra cui: il nome del docente, il tema trattato, il taglio dell’attività, la modalità di svolgimento e la qualità degli output, oltre che la relativa documentazione.

Premesso che SOS adotta sempre la stessa policy per i compensi, qualsiasi siano l’età, l’esperienza e il grado di preparazione del docente, quando invitiamo un docente ciò che fa la differenza tra una risposta positiva e una risposta negativa è il rapporto tra domanda e offerta degli altri tipi di capitali nella relazione.

La sacra sindone
(courtesy: la Scuola Open Source)

I capitali simbolico (immaginario), relazionale (link) e culturale (competenze) che la scuola genera e condivide ci permettono di coinvolgere nuove persone. Questo processo è iterativo.
In questa logica gli esseri umani rappresentano l’ingrediente fondamentale, il discriminante tra ritenere un’operazione fattibile o non fattibile. La ragione perché le cose accadono o non accadono.

Ecco, noi facciamo questa cosa qui.
E cerchiamo di farla nell’interesse di tutti quelli che prendono parte al processo. Credo che questa sia la ragione per cui le persone che frequentano le nostre attività ci vogliono bene.

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