“TATI by Tati Compton”, di Tati Compton, Sang Bleu, 2017

La regina dei tatuaggi “Stick-and-poke” ha fatto un libro

A un certo punto, a 15/16 anni, “fortissimamente volli” farmi un tatuaggio. Tanto fortissimamente che, pur non avendo né soldi per pagare un tatuatore né, qualora li avessi trovati, lo straccio di un’autorizzazione dei miei genitori per andare da uno serio senza fargli rischiare un denuncia, optai per il fai-da-te.

Era il 1995, internet esisteva già e io ero uno dei pochi fortunati ad avere una connessione. Nonostante navigassi quasi quotidianamente alla “supervelocità” di 14.4k e stessi ore a cercare informazioni su erba e droghe psichedeliche (quella voglia lì arrivò, magicamente, assieme a quella per i segni sulla pelle) dentro a una sorta di wikipedia ante litteram e a un motore di ricerca specializzato — rispettivamente lycaeum.org e yahooka.com, che incredibilmente esistono ancora oggi —, non mi venne in mente di cercare tutorial su come ci si tatuasse senza la macchinetta1.

https://www.instagram.com/p/BUcUu3PgNXC/

Avevo sentito dire che si doveva usare un ago sterilizzato e intingerlo nell’inchiostro ma quando tirai fuori dall’astuccio i rapidograph per un compito di disegno tecnico, scattò la scintilla. Potevo usare quelli. La punta del più sottile assomigliava a quella di un ago, e l’inchiostro c’era già: meno passaggi, minimo sforzo (e fanculo alla sterilizzazione).

I giorni successivi, nascosto nella stanzetta più imboscata della casa, li passai a farmi puntini di prova qua e là. Dopo qualche mese avevo una specie di bracciale sul polso sinistro e due simboli della pace (eh…già) storti, uno sull’avambraccio e una sulla spalla, più vari aborti sparsi qua e là (poi, per la cronaca, a 16 anni il tatuaggio “serio” lo feci lo stesso, mettendo da parte i soldi, prendendo un autobus senza dirlo a nessuno e mostrando al tatuatore un foglietto con l’autorizzazione fasulla dei miei, compresa la firma falsa).

“TATI by Tati Compton”, di Tati Compton, Sang Bleu, 2017

Che quegli obbrobri di un blu sbiadito, che oggi ho ancora e faccio finta di non vedere, si chiamassero stick-n-poke, l’ho scoperto solo anni più tardi, quando questa “arte” da ragazzini in cerca di emozioni e carcerati con tanto tempo a disposizione è diventata l’ennesima tendenza hipster.

Oggi la maestra assoluta dello stick-n-poke è una californiana, Tatiana Kartomten, in arte Tati Compton, tatuatrice e illustratrice, capace di fare miracoli, sia con aghi e inchiostro che con colori e rapidograph (che però lei saggiamente usa per disegnare, non per tatuare).

Di recente la TTT Publishing, casa editrice indipendente che fa parte del più ampio progetto Sang Bleu ed è specializzata in tatuaggi, ha pubblicato una monografia sull’artista: un libro di quasi 200 pagine e oltre 800 illustrazioni intitolato TATI by Tati Compton.

“TATI by Tati Compton”, di Tati Compton, Sang Bleu, 2017
“TATI by Tati Compton”, di Tati Compton, Sang Bleu, 2017
“TATI by Tati Compton”, di Tati Compton, Sang Bleu, 2017
“TATI by Tati Compton”, di Tati Compton, Sang Bleu, 2017
“TATI by Tati Compton”, di Tati Compton, Sang Bleu, 2017
“TATI by Tati Compton”, di Tati Compton, Sang Bleu, 2017
“TATI by Tati Compton”, di Tati Compton, Sang Bleu, 2017
“TATI by Tati Compton”, di Tati Compton, Sang Bleu, 2017

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