Un museo del giocattolo, un collezionista e la sua lotta contro il tempo

A Bruxelles c’è un museo dei giocattoli. Si chiama Le Musée du Jouet e raccoglie oltre 25.000 pezzi messi insieme in 35 anni da André Raemdonck, un anziano signore oggi settantasettenne che ha tutti quei “sintomi” degli accumulatori ossessivo-compulsivi, compresa una certa mania del controllo, mania di cui André è comunque ben consapevole, soprattutto perché si rende benissimo conto di stare invecchiando («Quando hai cinque anni un anno sembra durare per sempre», dice lui, che di bambini ne ha visti tanti, «quando ne hai venti un anno non sembra poi così lungo, quando hai 77 anni un anno dura un mese, un mese una settimana e una settimana un giorno») e quindi c’è da pensare al futuro, quello della collezione e quello del museo.

Le Musée du Jouet, meraviglioso quanto “vecchio stile” per quanto riguarda l’allestimento (oggi siamo abituati a vedere, nei musei dedicati ai più piccoli, un tripudio di nuove tecnologie e di interattività, anche se c’è da dire che Raemdonck, a modo suo, ha pensato anche a quella, lasciando ai bimbi la possibilità di giocare con alcuni dei pezzi raccolti) è dunque in una fase di svolta, una svolta raccontata in questo breve documentario dolceamaro diretto da Sophie B Jacques e prodotto da Harold Beaulieu, un documentario che ha il sapore della nostalgia ma anche dell’inevitabilità del cambiamento e dell’evoluzione.

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André, che ancora gioca ogni giorno coi bambini, a un certo punto pare riassumere tutto—la sua vita, il perché della collezione e del museo—con queste parole: «è piuttosto semplice: un giocattolo è sempre una trasposizione della realtà. Noi copiamo tutto, dai guardaroba delle case delle bambole ai satelliti artificiali, compresa la macchina di papà, i treni, gli aerei, tutto! Un giocattolo è una copia della realtà».

Dopo un viaggio nei confusionari archivi sotterranei in sua compagnia—lui però dice di avere tutto sotto controllo, ogni singolo pezzo—la macchina da presa passa alle sale del museo e poi negli uffici in cui gli altri membri del consiglio di amministrazione con delicatezza ma fermezza cercano di far presente che bisogna cominciare a pensare al domani, a un cambio di marcia, mentre lui, André, che sotto sotto sa che gli altri hanno ragione, vorrebbe che tutto rimanesse com’è ora, ed è in qualche modo commovente che un uomo che ha dedicato la sua vita ai giocattoli e ai bambini abbia lo stesso stato d’animo che più o mano abbiamo avuto tutti nelle fasi di passaggio dall’infanzia all’adolescenza, quando tutto diventa più complicato e vorresti che il tempo si bloccasse, che ti permettesse di galleggiare ancora un po’, ancora un altro giorno, e poi un altro, e un altro, in quel tuo brodo rassicurante, assieme alle tue copie della realtà.

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