Calciatori che corrono poco, che non ci mettono il cuore, incapaci di dedicare la vita a una sola squadra, a una sola bandiera, mercenari che pensano unicamente ai soldi e agli sponsor, che si preoccupano più del taglio dei capelli che hanno in campo che dell’onore, venduti, viziati, buffoni fatti di cartapesta che si tuffano, simulano, piagnucolano per falli ridicoli. Questo e altro si sente dire — da anni — ogni qualvolta la propria squadra (cittadina o nazionale) perde una partita importante.
E il paragone è sempre col passato, coi grandi campioni “con un cuore grande così”, coi mediani che si sacrificano, i difensori silenziosi e fatti d’acciaio, i centravanti che “la sera a letto presto”.
Eppure è negli anni ’70 di Pelè e del calcio totale dell’Olanda di Cruijff, di George Best e di Zico, di Günter Netzer e Maradona, di Zoff, Rivera e della partita del secolo, quell’Italia-Germania 4-3 (gol di Boninsegna, Burgnich, Riva e Rivera da una parte, Schnellinger e Gerd Müller — doppietta — dall’altra), è allora che i calciatori hanno iniziato a diventare superstar internazionali.
Raccogliendo centinaia di foto — alcune celeberrime altre raccolte negli archivi di tutto il mondo — un nuovo volume della Taschen, in uscita proprio in questi giorni, celebra quella che può ancora essere definita come l’età dell’innocenza del calcio mondiale, prima dei luccichini e delle creste ossigenate, dei contratti milionari e dei diritti tv, delle dichiarazioni via social network e delle prime pagine sui giornali di gossip.
The Age of Innocence. Football in the 1970s inizia coi primi mondiali trasmessi a colori in mondovisione (Messico ’70) e si conclude nel ’79, l’anno della Coppa dei Campioni vinta dall’esordiente Nottingham Forest.
Ben 300 pagine per un libro che non racconta solo il calcio ma anche l’estetica, il costume, il design del decennio dei colletti a punta e dei basettoni.