The Mind’s Eye: The Art of Omni

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Erano gli anni ’80 e io, man mano che la mia testa lasciava segni sempre più in alto sulla parete di un muro giù in garage, ogni pomeriggio affrontavo la sfida con gli scaffali più impervi dell’enorme libreria dei miei genitori, riuscendo a conquistare pomeriggio dopo pomeriggio—grazie a madre natura, alla costanza e a una sedia a portata di mano—anche la collezione di Urania che mio padre, lettore onnivoro e rapidissimo (sfogliava e sfoglia ancora oggi le pagine stampate fitte fitte di un romanzo con la stessa rapidità con cui si passa distrattamente in rassegna una rivista sulla tazza del cesso) aveva raccolto per almeno tre lustri, affascinato come molti della sua generazione, specialmente tra i più impegnati politicamente, come lui, da utopie e distopie, paradossi spazio-temporali e leggi della robotica, psicanalisi da inner space e avventure nell’outer space.

Di utopie e distopie, di spazio interno e di spazio esterno, del cyberpunk che giusto in quegli anni stava nascendo, io non ne sapevo niente. Ero appena un ragazzino, affascinato da tutto quello che è giusto un po’ più in là di ciò che è a portata di mano, ansioso di prendere in mano quei volumi sulle cui costole leggevo, dal basso, strani nomi—Dick, Ballard, Lem, Żuławski, Zelazny, Silverberg, Bova, Herbert, Delany, Pohl, Heinlein, Clarke, Sheckley, Matheson, Clarke, Zelazny—accompagnati da ancor più strani titoli, in cui ricorrevano quelle parole (spazio, pianeta, lune, futuro) capaci di innescare in un imberbe secchione solitario come me lunghe e tanto desiderate fughe con la fantasia.

Le copertine poi, quando finalmente quei volumi riuscii a tirarli giù dalla libreria, erano interi mondi che si aprivano. Su quelle stesse copertine, illustrate con maestria da fior di artisti (Jacono, Garonzi, Kaiser, Thole) iniziai a formare il mio immaginario estetico—o almeno l’area interstellare del medesimo (che ancora segretamente coltivo navigando nottetempo su un sito come Mondourania).

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Né io né mio padre all’epoca potevamo saperlo ma in quegli stessi anni, dall’altra parte dell’oceano, nasceva una rivista che ha fatto la storia della fantascienza: Omni.
Fondata nel ’78—un anno prima che venissi al mondo—da Bob Guccione, disegnatore passato alla storia per esser stato anche il creatore di Penthouse, e chiusa nel ’98—quando ero già ben immerso in un altro genere di trip—Omni mescolava tra le sue pagine scienza e fantascienza, informatica e sozzerie soft, astronomia e ufo, raccogliendo attorno a sé autori e artisti già affermati e nuove leve che di lì a poco avrebbero fatto parlare di sé.

Tanto per citare qualche nome, su Omni apparvero i primi racconti di William Gibson, su Omni scriveva Mr. Trono di Spade George R.R. Martin, come pure Burroughs, Clarke e Bradbury.
E le illustrazioni erano affidate ad artisti che come e più di quanto fece Urania in Italia, contribuirono a ri-definire l’immaginario della fantascienza e non solo. Per fare un nome, tra l’altro attualissimo visto che è scomparso giusto due giorni fa, su Omni le copertine le firmava anche uno come H.R. Giger.

Per chi non ha avuto la fortuna di acquistare la rivista fin quando uscì né vuole perdersi in estenuanti ricerche su e-Bay o simili, la casa editrice americana powerHouse Books sta per pubblicare un volume intitolato The Mind’s Eye: The Art of Omni, che celebra il magazine attraverso le illustrazioni uscite nel corso dei suoi vent’anni di attività.
Un libro di 224 pagine e oltre 170 immagini, per continuare a sognare di stelle e di robot, di buchi neri e di mondi impossibili.

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