How can design recharge our city? | Photoautomat

Quattro ragazzi s’infilano dietro le tendine della cabina per fototessere, mettono la moneta nella fessura ed iniziano a ridere mentre l’obiettivo, lentamente, scatta quattro foto, prima di sputar fuori, un paio di minuti dopo, una striscia in bianco e nero.
Appena escono, altri ragazzi sono già lì pronti ad entrare. Per strada, pian piano si forma una piccola coda.

Sono a Berlino, Falkensteinstraße, di fronte ad una delle più vecchie cabine Photoautomat.
Sono lì con Ole Kretschmann, fondatore, assieme al suo amico Asger Doenst, di questo progetto iniziato per pura curiosità e passione per la fotografia analogica, progetto che dallo spirito DIY degli inizi si è trasformato in arte e da arte in business, per diventare poi di nuovo arte.

Oggi Ole è un altissimo ed a suo modo elegante self-made man con mille storie da raccontare e l’incredibile capacità di sputar fuori un milione di parole al minuto ma appena dieci anni fa, quando mise per la prima volta gli occhi su una cabina per fototessere e se ne innamorò, faceva lo scrittore freelance (uno scrittore sgrammaticato, mi ha confessato).

Ole Kretschmann

La storia di Ole inizia a sedici anni, quando abbandona la scuola ed inizia a fare l’apprendista carpentiere. Poi inizia a girare il mondo e si ritrova a fare lo sceneggiatore.
Nel 2003, mentre stava a Zurigo per documentare un progetto artistico, incrocia un vecchio photomaton.
Al tempo la Svizzera era rimasta l’unica nazione ad avere un’azienda di cabine per fototessera analogiche ed in bianco e nero.

Quando tornò in Germania, Ole – insieme al suo amico Asger – provò a contattare l’azienda: i due erano affascinati dall’alta qualità delle foto che uscivano da quelle macchine e volevano sapere come funzionavano.
Scoprirono che l’azienda svizzera era di proprietà di due anziani fratelli, che all’epoca avevano 60 e 70 anni e che furono felici di vendere una delle loro cabine a due giovani entusiasti come Ole ed Asger, ai quali spiegarono per filo e per segno tutte le vecchie tecnologie (risalenti addirittura al 1948) che permettevano a quegli apparecchi di funzionare.

Ole ed Asger impiegarono sei mesi per rimettere a posto e ridisegnare la cabina, dopodiché decisero di piazzarla per le vie di Berlino.
I loro amici, all’inizio, furono scettici: «Chi volete che userà quell’apparecchio in bianco e nero?» dicevano. E pensavano che, tempo un paio di settimane, il progetto e la cabina stessa sarebbero finiti nella spazzatura.
Non un granché come incoraggiamento.
Ma qualche volta le cose (e la vita) prendono una piega inaspettata.

Ole ed Asger misero la cabina in Rosenthaler Platz, nel quartiere Mitte, una piazza di certo non famosa come Alexander Platz ma con una conformazione unica, posta com’è all’incrocio di cinque strade principali ed uno dei punti più caldi per lo shopping e la vita nottura della capitale tedesca.
Neanche a dirlo, fecero centro.
La gente iniziò ad usare la loro macchina per fototessere ed ogni giorno continuava ad arrivarne sempre di più.
Dopo sei settimane la tv parlò di loro e poi i giornali, le riviste.
Il fenomeno Photoautomat era nato.

Inizialmente doveva essere soltanto un progetto temporaneo, chiamato The Berlin Project e mosso soprattutto dalla passione e dalla curiosità di vedere cosa sarebbe successo. Ora Photoautomat è un’azienda con 17 cabine solo a Berlino e altre 10 in giro per l’Europa – tra cui Londra, Vienna, Firenze.
Hanno sei dipendenti ed altrettanti partner in altre città oltre ad un gruppo che va dalle dodici alle quindici persone che stanno dietro al progetto.
La missione dell’azienda è di mettere le proprie cabine negli spazi pubblici, accessibili 24h su 24 e 7 giorni su 7, per 365 giorni all’anno, Natale compreso.

Ma Photoautomat non è soltanto gloria, successo ed articoli di giornale. C’è pure il duro lavoro.
Per mantenere le cabine in un buono stato c’è bisogno di una cura costante visto che vengono spesso vandalizzate e riempite di spazzatura. La gente le ricopre di graffiti, stickers e volantini, le usa come gabinetto pubblico o “stanza del buco”. In pratica ci fanno tutto quello che riesci ad immaginare potrebbe esser fatto dietro ad una tendina, dentro ad una cabina messa per strada.

I Berlinesi, però, in gran parte la adorano. C’è chi esce di casa, si veste bene, si trucca solo per andare a farsi un’autoscatto in una Photoautomat. C’è pure una specie di rito tra i più giovani: mentre si scattano le foto lanciano coriandoli.
Ole non ha idea del perché lo facciano, ma spessissimo lui o i suoi dipendenti trovano le cabine piene di coriandoli, fuori e dentro.

Nel 2003, quando il progetto era appena agli inizi, Ole ed Asger non avrebbero mai potuto immaginare un successo tale.
Ora hanno un lavoro remunerativo, possono “pagare le bollette”, nonostante le grosse spese per l’approvvigionamento di carta fotografica.
Un momento, costa così tanto la carta fotografica?
Sembra di sì. Ci hanno messo due anni per trovare quella giusta, visto che all’epoca la fotografia analogica veniva data per morta.
Nei primi anni ’90 le cabine analogiche vennero sostituite con nuovi sistemi basati sul video e sul digitale e molte delle aziende che producevano carta per foto in bianco e nero chiusero i battenti.

Per fortuna oggigiorno la fotografia analogica vive una seconda epoca d’oro e ci sono molte altre aziende, in tutti il mondo, che hanno lanciato attività simili a quella di Photoautomat.
Dopotutto Berlino è un crocevia di culture e quando la gente se ne torna ai propri Paesi si porta dietro pure nuove idee, tra cui le cabine per fototessere.
Ole ed Asger ricevono continuamente lettere dalla Russia, dall’Australia, dal Perù, di gente che ha aperto una propria attività grazie alla loro idea.

Ora che sappiamo che la carta costa e che le macchinette hanno bisogno di carta per funzionare, come fanno loro a sapere quando è il momento di ricaricarle, di mettere nuova carta?
Si scopre che stanno sperimentando un sistema che funziona tramite sms, con un allarme che arriva direttamente sul telefono.
Ole però ci pensa un po’ su e mi confida una cosa: «le cabine sono come bambini. Quando le costruisci da zero e le fai funzionare diventi un po’ come un padre e a quel punto sai quand’è ora di ricaricarle di carta. In base a dove stanno sai quanta gente ci andrà. Se c’è bel tempo sai che ne andrà di più. Con il cattivo tempo qualcuna di meno…».

Adesso probabilmente ti starai chiedendo – come mi sono chiesto io – quante persone ogni giorno mettono i loro 2€ – tanto costa una strip di quattro foto in bianco e nero – in quelle macchinette.
Ole non sembra troppo felice di rispondere e di rivelare indirettamente i suoi guadagni ma dal modo in cui sorride puoi benissimo immaginare che là fuori è pieno di berlinesi felici di pagare le bollette di Ole mentre si divertono nelle sue cabine.

Ma non di solo divertimento si tratta. Ci sono fior di artisti che le usano per le loro opere, marchi che realizzano interi lookbook dietro alle tendine e fashion designers che creano veri e propri abiti utilizzando le foto, come puoi vedere in questo video.
E, come dice Ole, i soldi pagano le bollette ma lo scopo non è diventare ricchi. A lui e ad Asger interessa più che altro il potenziale creativo della loro idea.

Di sicuro l’arte e le cabine per fototessere non hanno incrociato per la prima volta le loro strade dentro ad una cabina Photoautomat.
Fin da quando apparvero per la prima volta per le strade d’Europa e degli Stati Uniti, brevettate nel ’24 a New York da un siberiano comunista chiamato Anatol Marco Josepho, la gente ha usato le macchine per fototessere per due scopi, paralleli e opposti: confermare l’identità di qualcuno (pensa alle foto segnaletiche della polizia, ai referti medici, alle semplici foto del passaporto o della carta d’identità) o per fare arte (su questo binomio c’è un intero ed interessantissimo libro di Federica Muzzarelli, Formato Tessera, edito da Bruno Mondadori).

Conosciamo tutti Warhol e i suoi autoscatti. Non tutti forse sanno altrettanto bene che pure artisti come Magritte e Bacon, giusto per citarne un paio, utilizzarono le fototessere per le loro opere.
Dunque Photoautomat è un’operazione-nostalgia. Un’operazione-nostalgia di successo. Che ha trovato e costruito la sua strada nelle città contemporanee, specialmente tra i più giovani e tra i creativi.
Negli ultimi nove anni Photoautomat ha raccolto migliaia di scatti (una piccolissima parte la trovi qua), inviati proprio da coloro che hanno usato le loro cabine, ed ora c’è nell’aria l’idea di fondare un museo per raccoglierle.

Nel frattempo Ole ed Asger stanno lavorando ad un libro, che con ogni probabilità sarà pubblicato nel 2014 e che sarà una sorta di compilation di esperienze e prospettive di chi è andato in questi anni a scattarsi una foto dietro alle tendine.
Esperienze e prospettive che quei ragazzi in fila per avere la propria strip in bianco e nero, vivranno di persona nel giro di qualche minuto.

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