Nonostante la maggior parte delle città sia ancora a misura d’auto (o lo sia diventata forzatamente, come la maggior parte dei centri storici italiani, nati a misura d’uomo e snaturati in maniera selvaggia dagli anni ’50 in avanti) il numero di persone che scelgono la bicicletta—chi per motivi economici, chi per fare un favore all’ambiente, chi per rimettersi in forma, chi per moda, chi per pura o semplice passione o, più spesso, un mix di tutti questi aspetti—continua ad aumentare.
Più gente che pedala = più giro d’affari nel settore. E più giro d’affari = più persone che decidono di abbandonare il lavoro che fanno per inseguire una passione e provare, con quella, a portare pure a casa la pagnotta. Ecco uno dei motivi per cui negli ultimi anni, dopo decenni di stagnazione, il panorama dei costruttori di bici artigianali è cresciuto in maniera incredibile, così come quello delle ciclofficine nonché dei designer che provano a misurarsi con la progettazione di un “oggetto” come la bici pressoché immutato da sempre.
Una guida completa, oggi, sulla scena, la cultura, il mercato, i negozi, i personaggi delle due ruote coi pedali sarebbe impossibile da realizzare: anche solo provare a confrontarsi con quel che singoli paesi come gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Francia, l’Italia, la Germania, l’Australia o il Nord Europa hanno da offrire significherebbe riempire decine di migliaia di pagine con storie, indirizzi, immagini e descrizioni.
Un libro come The Bicycle Artisans quindi è da prendere per quel che è, una sorta di “atlante” soggettivo e quindi ovviamente incompleto sul mondo degli artigiani della bicicletta, con ben (o solo) 88 costruttori di tutto il mondo, tra vecchie glorie e nuove leve, raccolti e raccontati in un volume di 288 pagine e oltre 600 immagini, in uscita proprio in questi giorni.