Skinnerboox

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Durante l’ultima Social Media Week milanese, seduto ad ascoltare una bella conferenza sul self-publishing, sono intervenuto per esprimere i miei dubbi riguardo a un meccanismo—quello dell’autopubblicazione—che se da una parte sta davvero trasformando in positivo e dal basso il settore (per ora si tratta di un piccolo fenomeno di erosione ma le potenzialità sono ben più grandi), dall’altra rischia di sovraffollare un mercato già ipersaturo.

Non dimentichiamo che in Italia non si legge, più della metà dei libri pubblicati vende un numero ridicolo di copie e in media il 35% di quanto viene stampato finisce macero. In questo panorama desolante le piattaforme che offrono la possibilità di autopubblicarsi un’opera non fanno che alimentare un’offerta molto ma molto superiore alla domanda. E io, lettore, come mi oriento?

Finora mi sono affidato alle recensioni di giornalisti o blogger dal gusto affine al mio (con l’eterna speranza di non incappare in una marchetta o in uno scambio di favori, sempre in agguato) ma soprattutto ho usato come bussola la linea editoriale di una casa editrice: il lettore non occasionale sa che Adelphi pubblica un certo tipo di narrativa, di poesia e di saggistica, sa il gran lavoro che fanno Coppola alla ISBN o Paolo Repetti per la collana Stile Libero di Einaudi, che per gli albi illustrati con Orecchio Acerbo o Topipittori vai sul sicuro, che se vuoi coltivare la spirtualità c’è Astrolabio e se hai già amato dei libri di Minimum Fax è altamente probabile che amerai anche quelli che pubblicheranno tra un mese o tra un anno.
Ma le piattaforme di self-publishing, di linee editoriali ne hanno ben poche, o addirittura zero. Quindi è facile perdere la bussola.

Ma c’è self-publishing e self-publishing. L’etichetta—grazie anche agli onnipresenti e onnipotenti #—vive un momento di gloria. Bisogna stare però attenti a non confondere un certo tipo di self-publishing, quello delle suddette piattaforme che permettono agli scrittori magari esordienti di pubblicare il proprio romanzo nel cassetto (ovviamente sto semplificando, il fenomeno è un po’ più complesso), e c’è il self-publishing che invece si riferisce alle autoproduzioni e quindi tutte quelle fanzine, quelle riviste, quei libri d’arte realizzati in poche copie, destinate a un mercato di nicchia fatto di veri appassionati, distribuite e pubblicizzate attraverso una rete di canali affini, tra negozi “d’autore”, piccole librerie e siti web che come il nostro cercano di supportare il più possibile questa scena in pieno fermento.

A differenza delle piattaforme per autopubblicarsi le autoproduzioni—quando non si tratta di prodotti isolati, one shot, ma fanno parte di un progetto più ampio, di solito portato avanti da micro-case editrici—una linea editoriale ce l’hanno eccome. E a volte la vedi immediatamente, fin dal primo libro.
È il caso di Skinnerboox, una nuovissima e minuscola realtà che ha debuttato appena qualche settimana fa con due libri di fotografia, ad opera di due bravi artisti italiani.

Il fondatore è Milo Montelli, mio quasi-concittadino, quasi-coetaneo e ottimo fotografo, che seguo e stimo fin da quando mi sono imbattuto in lui praticamente per caso attraverso il nostro gruppo flickr.
Il nome del progetto, mi ha raccontato Milo stamattina su Facebook, «deriva dal lavoro dello piscologo comportamentista B.F. Skinner, che studiò per una vita il comportamento umano e costruì una sorta di scatola che usava per studiare i comportamenti dei piccioni. La scatola si chiamava Skinnerbox. Io ho aggiunto una o, così boox si legge come books. Mi piaceva l’idea di considerare il libro come un oggetto di ricerca, di studio, una “scatola” in cui tutto può accadere».

Lui stesso fotografo d’impronta narrativa, Milo è riuscito con due sole pubblicazioni—I resti del viandante di Giuseppe De Mattia e Thoreau di Alessandro Calabrese—a dare alla sua Skinnerboox un’identità ben definita, investendo tempo e sudate risorse economiche per divertirsi e allo stesso tempo impegnarsi nel dare visibilità a quella che è la sua visione della fotografia, tracciando quindi un percorso personale e innescando tra l’altro un cortocircuito con i due libri pubblicati, ciascuno di essi contemporaneamente diario e mappa di altrettanti itinerari geografici e interiori: alla ricerca di un pattern comune tra corpo, natura, universo e interiorità quello del fotografo barese Giuseppe De Mattia, più incentrato sul rapporto uomo-natura quello del fotografo trentino Alessandro Calabrese (già intervistato quattro anni fa nella nostra rubrica 7am).

Lunga vita alle autoproduzioni d’autore, dunque, ché di bussole ne abbiamo più bisogno che mai.

I resti del viandante | Giuseppe De Mattia
I resti del viandante | Giuseppe De Mattia
I resti del viandante | Giuseppe De Mattia
I resti del viandante | Giuseppe De Mattia
I resti del viandante | Giuseppe De Mattia
I resti del viandante | Giuseppe De Mattia
I resti del viandante | Giuseppe De Mattia
I resti del viandante | Giuseppe De Mattia
I resti del viandante | Giuseppe De Mattia
I resti del viandante | Giuseppe De Mattia
I resti del viandante | Giuseppe De Mattia
I resti del viandante | Giuseppe De Mattia
I resti del viandante | Giuseppe De Mattia
I resti del viandante | Giuseppe De Mattia
I resti del viandante | Giuseppe De Mattia
I resti del viandante | Giuseppe De Mattia
Thoreau | Alessandro Calabrese
Thoreau | Alessandro Calabrese
Thoreau | Alessandro Calabrese
Thoreau | Alessandro Calabrese
Thoreau | Alessandro Calabrese
Thoreau | Alessandro Calabrese
Thoreau | Alessandro Calabrese
Thoreau | Alessandro Calabrese
Thoreau | Alessandro Calabrese
Thoreau | Alessandro Calabrese
Thoreau | Alessandro Calabrese
Thoreau | Alessandro Calabrese
Thoreau | Alessandro Calabrese
Thoreau | Alessandro Calabrese
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