Vissuto tra la fine dell’800 e i primi decenni del ‘900, l’artista francese Georges Valmier ha abbracciato molte delle avanguardie venute alla luce in quel fecondo e turbolento periodo, partecipando attivamente al profondo rinnovamento delle arti visive dell’epoca. Sebbene poco conosciuto, oggi, rispetto a parecchi suoi contemporanei, ha percorso una sua personalissima strada nell’astrattismo e anticipato, per il suo uso di forme e colori, la grafica degli anni ’80.
Nato ad Angoulême nel 1885, in una famiglia che gli trasmise già in giovanissima età l’amore per le arti, Georges Valmier crebbe a Parigi, nella zona di Montmartre, dove i suoi si trasferirono nel 1890. Dopo il servizio militare si iscrisse all’École nationale supérieure des beaux-arts, dove rimase appena due anni, realizzando alcuni lavori pittorici chiaramente influenzati dallo stile impressionista, scoperto pochi anni prima grazie a una retrospettiva su Cézanne.
Nel frattempo stava muovendo i primi passi il movimento cubista, e Valmier, che tuttavia non conosceva ancora l’opera di Picasso e Braque, iniziò per conto suo un processo di sintesi geometrica (quando si dice che “il cambiamento è nell’aria”! Ma dopotutto Cézanne, che tanto aveva colpito il giovane Valmier, è considerato un precursore del cubismo: «il padre di tutti noi», come ebbe a dire Picasso).
Quando, nel 1913, Boccioni presentò le sue sculture futuriste presso la Galerie la Boétie di Parigi, anche Valmier era lì — «che scruta le opere con i suoi inseparabili pince-nez», scrive Raffaella Ferrario nel suo saggio Umberto Boccioni. Vita di un sovversivo —, in un pubblico che comprendeva pure Picasso, Apollinaire e i coniugi Delaunay.
Fu però di ritorno dai campi di battaglia della Prima guerra mondiale — dove combatté nella zona di Toul, in Lorena, e dove ebbe modo di conoscere l’artista cubista Albert Gleizes, che gli fece anche un ritratto — che Valmier iniziò un suo personalissimo percorso artistico.
Supportato dal grande collezionista, gallerista e mercante d’arte Léonce Rosenberg, Valmier organizzò la sua prima personale nel 1920, presso la Galerie de l’Effort Moderne, aperta due anni prima da Rosenberg e presto diventata un punto di riferimento internazionale per l’arte cubista.
Nel 1924, quando la galleria iniziò a pubblicare la sua rivista d’arte, il Bulletin de L’Effort moderne, Valmier fu chiamato a collaborare sia con testi critici che come designer per alcune delle copertine. E quattro anni più tardi, nel momento in cui Rosenberg decise di far decorare il suo nuovo, grande appartamento in Rue de Longchamp da alcuni tra i suoi artisti e designer preferiti — un progetto che avrebbe poi assunto i caratteri della leggenda, visti i nomi coinvolti (tra gli altri, Francis Picabia, Max Ernst, Giorgio De Chirico e suo fratello Alberto Savinio, Gino Severini, René Herbst, il già citato Albert Gleizes) e il fatto che, pochi mesi dopo la fine dei lavori, Rosenberg fece smantellare tutto — Valmier fu scelto per la sala da pranzo.
Intanto l’artista si era avvicinato a un astrattismo sempre più radicale, facendo largo uso di geometrie pure e colori piatti («Con le attuali espressioni plastiche, il colore assume il suo vero significato, una vita propria. Il colore è la sostanza destinata ad esprimere l’intelletto» spiegò lui stesso), che gli aprirono le porte al mercato del design: dai suoi disegni vennero prodotti tappeti e arazzi, e si guadagnò diversi ingaggi come progettista di scenografie e costumi teatrali, anche per la messa in scena delle opere futuriste di Marinetti.
A proposito di palcoscenici, Valmier non disdegnava calcarli usando un altro dei suoi strumenti preferiti: non il pennello, ma la voce. Pare infatti che fosse uno straordinario baritono, oltre che un grande esperto di musica: fu proprio lui a “scoprire” i talenti di un giovanissimo André Jolivet, poi destinato a diventare un grande compositore.
Risale al 1930, quando ormai Valmier aveva completato il suo passaggio al totale astrattismo, uno straordinario portfolio pubblicato dall’editore parigino Albert Levy, prima uscita di una serie, intitolata Collection décors et couleurs, che tuttavia ebbe solo un seguito (firmato da Jean Burkhalter).
Le tavole di Valmier, stampate dal grande incisore Jean Saudé con la tecnica del pochoir, sono un’apoteosi di forme e colori a contrasto, che sembrano anticipare di un buon mezzo secolo l’estetica Memphis e la grafica anni ’80.
Il volume si può vedere (e scaricare) qui, mentre le 20 tavole, digitalizzate, sono raccolte sulla piattaforma Artvee — dove, tra l’altro, si trovano altri suoi splendidi lavori.
Quanto a Valmier, due anni dopo l’uscita del portfolio aderì al gruppo Abstraction-Création, un collettivo nato nel 1931 per promuovere l’arte astratta. Fondato da Auguste Herbin, Jean Hélion e Georges Vantongerloo, ne fecero parte, insieme a Valmier, nomi di primissimo piano come Piet Mondrian, Josef Albers, Wassily Kandinsky, Lucio Fontana, Alexander Calder, Jean Arp, Robert e Sonia Delaunay e Max Bill.
Nel 1937, malato da alcuni anni, morì prematuramente nella sua Parigi.