Ci sono piatti, ma non appetito.
Fedi, ma non scambievole amore
da almeno trecento anni.
C’è il ventaglio e i rossori?
C’è la spada dov’è l’ira?
E il liuto, non un suono all’imbrunire.
In mancanza di eternità hanno ammassato
diecimila cose vecchie.
Un custode ammuffito dorme beato
con i baffi chini sulla vetrina.
Metalli, creta, una piuma d’uccello
trionfano in silenzio nel tempo.
Ride solo la spilla d’una egiziana ridarella.
La corona è durata più della testa.
La mano ha perso contro il guanto.
La scarpa destra ha sconfitto il piede.
Quanto a me, credete, sono viva.
La gara col vestito non si arresta.
E lui quanta tenacia mi dimostra!
Vorrebbe viver più della mia vita!
I versi sono della grande poetessa polacca Wisława Szymborska, che in Museo — pubblicata per la prima volta nel 1962 nella raccolta Sale — parla della caducità della vita e di come gli oggetti che noi stessi inventiamo, fabbrichiamo e adoperiamo ci sopravvivano, diventando infine “cose vecchie”, ammassate, appunto, nei musei: statiche, impotenti, prive della vitalità dell’agire, eppure in qualche modo vittoriose rispetto ai corpi, persino quelli di coloro che sono stati toccati dalla gloria e dal potere («la corona è durata più della testa»).
E chissà che direbbe, o cosa scriverebbe, Szymborska, sapendo i suoi collage — che hanno forse occupato, paradossalmente, una dimensione più intima, rispetto alla poesia, all’interno della sua produzione creativa, essendo stati pensati come doni da spedire ad amiche e amici — esposti proprio tra le sale di un museo, a trionfare «in silenzio nel tempo», tracce superstiti dell’ingegno, dell’ironia, della capacità di meravigliarsi anche di fronte alle piccole cose, del piacere per la giustapposizione e i contrasti arditi, con le immagini così come con le parole, di una delle più grandi intellettuali del ‘900.
«Coltivata in privato a partire dagli anni Sessanta, per Szymborska l’arte del collage era insieme divertimento e dono di amicizia, frutto di talento ed espressione di affetto e stima, con una peculiare natura dialogica, poiché le sue creazioni erano sempre pensate per un destinatario concreto, al quale si rivolgevano con spiritose e ammiccanti combinazioni visuali e verbali» spiegano gli organizzatori della mostra Szymborska, il mondo dei collage, che aprirà al pubblico domani, 27 settembre, presso quella meravigliosa “wunderkammer” che è il Museo di Palazzo Poggi, a Bologna.
L’esposizione, curata da Andrea Ceccherelli, ordinario di slavistica all’Università di Bologna, e organizzata dall’Istituto Polacco di Roma e dal Sistema Museale di Ateneo, in collaborazione con il Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna e la Fondazione Wisława Szymborska, rientra nelle celebrazioni del centenario dalla nascita della poetessa e porta in mostra più di 80 collage, gran parte dei quali finora mai visti dal pubblico, insieme ad alcuni suoi cimeli — la macchina da scrivere, la scimmia portafortuna — e a un libro (un manuale di lingua inglese) che l’autrice illustrò da giovane.
Visitabile fino al 5 novembre, la mostra, come riporta il comunicato, «vuol essere un invito all’Incontro inatteso1, tale da indurre anche i lettori e le lettrici delle sue poesie a dire che la Szymborska che conoscevano e quella che hanno scoperto qui sono “diverse come due gocce d’acqua”2».
Durante il periodo dell’esposizione si terranno anche degli “eventi collaterali”: uno spettacolo, una proiezione e la presentazione del libro Il gatto nell’erba bagnata, una raccolta di racconti firmata da Kornel Filipowicz, che per un quarto di secolo è stato il compagno della poetessa.