Five Cents: il prezzo di vivere nella società capitalistica

«Il capitalismo è quel che resta quando ogni ideale è collassato allo stato di elaborazione simbolica o rituale: il risultato è un consumatore-spettatore che arranca tra ruderi e rovine» scriveva il compianto Mark Fisher nel suo seminale pamphlet Realismo capitalista.
L’immagine descritta da Fisher è già potente di suo. Tuttavia, ci fosse bisogno di una rappresentazione ancora più concreta, basterà guardare Five Cents, un corto d’animazione diretto dal regista statunitense d’animazione Aaron Hughes, che quel “consumatore-spettatore” l’ha disegnato utilizzando nient’altro che penne, bianchetto, guazzo, un po’ di foglia d’oro, qualche moneta e, soprattutto, migliaia di fogli di giornale — più precisamente le pagine economiche di quotidiani come il New York Times, il Wall Street Journal e il Financial Times (qui un breve quanto affascinante “making of”).

La trama è semplicissima, praticamente ridotta all’osso: il protagonista trova un borsellino per terra e poi comincia a spendere, ritrovandosi di fatto intrappolato in una continua necessità di acquistare qualcosa: un paio di occhiali, un ombrello, uno specchio, un giro in scala mobile (gratis all’andata, ma non al ritorno), un salvagente…
Selezionato dai festival di mezzo mondo e già vincitore del premio del pubblico come miglior cortometraggio d’animazione durante la scorsa edizione del South by Southwest, Five Cents è un’evidente critica alla società capitalistica, che crea i bisogni — anche attraverso la coercizione, o inventando problemi laddove non ce ne sono — e poi te li fa pagare sempre più cari.

Piccola curiosità, per chi guarda la serie tv Succession: la voce che il protagonista sente al telefono è quella dell’attore britannico Brian Cox.

Fotogramma tratto da “Five Cents”, di Aaron Hughes
Fotogramma tratto da “Five Cents”, di Aaron Hughes
Fotogramma tratto da “Five Cents”, di Aaron Hughes
Fotogramma tratto da “Five Cents”, di Aaron Hughes
Fotogramma tratto da “Five Cents”, di Aaron Hughes
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