Parole di ceramica: Giada Ricci

Una delle mie più grandi paure è un mondo in cui qualsiasi attività si voglia svolgere, lo si debba fare in un unico modo, quello standard, in cui da punto A si arriva a punto B, seguendo una linea retta che non ha scorciatoie, tappe intermedie o ripensamenti. Mi spaventa perché è un mondo che lascerebbe indietro chi preferisce spezzettare il viaggio per farsi coraggio, chi vuole andare a zig zag anche se fa venire il mal di mare, chi chiede ad un amico di fare un pezzo di strada al posto suo, chi crede che prima di B sia una buona idea passare a far visita a C o che non servano né A, né B, né C.
La realtà comunque non assomiglia alle mie paure, per il momento. La rassicurazione che cercavo l’ho avuta chiacchierando con Giada Ricci, grafica e illustratrice, che realizza oggetti in ceramica, ma non nel modo che vi aspettereste. E ciò che fa è bellissimo proprio per questo.

Giada e la ceramica. Come e quando inizia questa storia?

Ho iniziato circa 5 anni fa.
Ho lavorato per 4 anni in un’agenzia pubblicitaria come grafica e sinceramente stavo diventando matta a passare tutto il giorno davanti al computer nel fare lavori molto commerciali, che non mi facevano particolarmente impazzire. Gli ultimi mesi ho capito che non avrei resistito oltre, che avrei dovuto cambiare qualcosa, per questo ho deciso di seguire un corso di ceramica serale. È durato solo un mese, ma mi sentivo molto meglio e avevo anche ripreso a disegnare [Giada nasce come illustratrice, ndr].
Per farla breve, da lì a poco mi sono licenziata senza avere un piano B. Sapendo di potermelo permettere, mi sono presa un anno sabbatico per cercare di capire cosa volessi fare e l’ho passato a dedicarmi alle ceramiche, un’attività che andava e che va piuttosto bene. Ovviamente non produco solo ceramiche nella vita, infatti dopo quell’anno ho ripreso a lavorare come grafica da libera professionista.
E comunque non sono una ceramista, per quello ci vogliono anni ed anni di apprendimento e pratica, che al momento non ho.

Come funziona allora la creazione dei tuoi oggetti?

Disegno il pezzo e, con la scusa di tornare a casa a Riccione, porto il bozzetto con le misure giuste a Faenza, la patria delle ceramiche. Lì i ceramisti lo realizzano e me lo consegnano grezzo, il cosiddetto biscotto, così che io poi possa disegnarci sopra. Tengo gli oggetti realizzati da loro qui a Roma in cantina, e quando ho tempo dal lavoro, porto su qualcosa in casa e ci disegno sopra. Fatto anche quello, li porto in un forno per la cottura che si trova dopo Casaletto, si chiama Paolelli, uno dei più grandi rimasti in città. Una volta a settimana faccio tappa lì per lasciare le ceramiche da cuocere e portarmi via quelle pronte lasciate la settimana prima.
Ad esempio, per la realizzazione di uno dei miei taglieri, ho disegnato la forma e le misure, e i ceramisti hanno realizzato un rettangolo preciso, che io ho poi modificato perché non avesse i bordi dritti. A quel punto lo hanno cotto e me lo hanno consegnato grezzo, ovvero tutto bianco. Io ho aggiunto poi, disegnandoci sopra, le linee. Ma non è sempre così: nel caso della serie dedicata alle bagnanti, fatta eccezione per la versione con fondo blu, dato l’alto numero di pezzi che vendevo e il tempo molto limitato, ho delegato anche questa parte, lasciando loro una decalco dell’illustrazione da usare sui piatti.

Delegare così tanto ha dei rischi, suppongo. Soprattutto quando si tratta di ceramica, che — sto imparando con queste interviste — fa un po’ come le pare.

Succede continuamente che qualcosa non vada per il verso giusto. Con le bagnanti, ad esempio, delle volte la decalco cambia colore, ma si tratta di cose chimiche che potrebbero succedere anche a me. Con i vasi, invece, è successo che in qualche occasione la cristallina avesse preso un colore giallognolo, e non erano ovviamente più bianchi come avrei voluto, però, provando a venderli, sono stati, con mia sorpresa, molto apprezzati.
Adesso, sto provando a chiedere loro di realizzare le mie tazzine da caffè smaltate, non più con la cristallina come li facevo io, che li rendeva troppo delicati. Per smaltarli però devono essere loro a disegnarci su le righe, e ad oggi i risultati non sono dei migliori. Le prime mandate non vanno mai bene e non sono molto brava a prenderla con filosofia, così come loro sono sempre molto mortificati quando succede.

Perché non cerchi allora di farle direttamente tu queste cose?

Perché non è il mio. A me piace anche il mio lavoro di grafica, e per fare la ceramista dovrei mollare tutto, aprire uno studio, comprare un forno, imparare sul serio a fare le ceramiche da sola. Ci vorrebbe un anno, anche due, e forse a quel punto sono riuscita a fare delle cose in maniera veloce.
Rimane il problema però che nel frattempo devo guadagnare. Per me è molto più utile, tra un lavoro e un altro, prendermi carico di una parte del lavoro, quella che mi riesce meglio. Ed è un lavoro anche quello, non solo realizzare oggetti in ceramica ma anche pubblicizzarli, curare la comunicazione di ciò che si fa sui social, creare contenuti per quelle piattaforme.
E poi mi conosco, se mi dedico completamente ad una cosa, inizio ad odiarla. Non ti nego che anche adesso mi piacerebbe dedicarmi ad altro.

Ti ricordi perché ti aveva attirato tanto la ceramica, tanto da farti seguire un corso?

Volevo provare una cosa nuova che non avevo mai fatto, semplicemente per quello. Mi ispirava, avevo già delle idee in mente. Pensavo che, essendo così stressata e incazzata per via del lavoro, se la sera facevo qualcosa che mi riportava al mio inizio con l’illustrazione, mi sarei rilassata. Avevo bisogno di una valvola di sfogo.
E devo ammettere che ho trovato il mio equilibrio, perché faccio il mio lavoro di grafica, poi stacco e faccio le ceramiche.
Ci sono dei giorni in cui l’agenzia con cui collaboro non mi calcola molto, altri in cui lavoro solo mezza giornata o “a mozzichi e bocconi”, e riempio quei momenti vuoti con le ceramiche. Una giornata passata su una cosa sola, che siano le ceramiche o il computer, sarebbe un incubo per me.

In quello che fai cosa ti ispira?

Sono ispirata da tutto.
Le mie passioni più grandi sono l’arte e i viaggi. Ogni volta che viaggio, scelgo la mia meta in base all’artigianato. Sono innamorata dell’arte fatta a mano.
Se vedessi casa mia, troveresti una gran quantità di oggetti che provengono da quei viaggi, tra sculture, statue, illustrazioni e dipinti antichi. Forse sono più collezionista, e ogni tanto sogno di aprire un negozio in cui buttarci dentro creazioni di questo tipo, sia mie, sia degli altri.
Comunque confermo che non c’è per me una sola fonte di ispirazione, e anche le cose che creo lo dimostrano nella loro varietà: c’è la linea con gli animali e le piante, quella più in stile marino, poi ci sono le croci, che magari uno si chiede da dove spuntino fuori ma che in realtà sono ispirate dal Messico, sono tutti mondi l’uno diverso dall’altro.

A proposito di soggetti delle tue creazioni, come scegli cosa illustrarci sopra?

È tutto molto banale, in realtà. Gran parte delle cose sono nate senza mettersi lì a pensarci.
Le bagnanti, ad esempio, sono nate in maniera molto buffa: era l’ultima serata del corso di ceramica che stavo seguendo, mancava veramente poco tempo e il maestro ci aveva chiesto di realizzare un disegno da inserire sulla nostra creazione, prima di metterla a cuocere; ero lì che non avevo idea di cosa disegnare in circa mezz’ora, e — non so bene come o perché — ho buttato su carta una bagnante che si tuffava. Gliel’ho data e la settimana dopo sono andata a ritirare quello che avevo creato: quando l’ho vista, mi sono detta che era veramente una bella idea.
Anche il mio logo è nato in quell’ultima lezione, ed è stata la prima cosa che mi è venuta in mente in quel momento di fretta. Lo uso ancora oggi per firmare ciò che creo. L’ho sempre presa con molta leggerezza.

Da quando c’è la ceramica nella tua vita, hai notato in te qualche cambiamento?

Sono sempre stata molto serena e tranquilla come persona.
Il cambiamento l’ho notato piuttosto quando lavoravo in agenzia: stavo veramente molto male. L’ultimo anno mi capitava anche di rispondere male, essere scazzata con tutti, cose che non sono nel mio carattere.
Solo quando mi sono licenziata, sono tornata a essere la persona di prima, quella che purtroppo in un ufficio non riesce proprio a stare.
La ceramica ha contribuito a farmi ritrovare la serenità e finalmente anche un equilibrio.

C’è un oggetto in ceramica che non hai mai realizzato, ma la cui idea è lì che naviga nella mente da un po‘, o vivi più le tue creazioni come un “quel che verrà, verrà”?

Decisamente quel che verrà, verrà.
Da alcuni mesi sto lavorando su alcuni vasi grossi per piante, un nuovo prodotto. Anche in questo caso, stiamo trovando la quadra con i ceramisti.

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