Non senza un pizzico di beffarda ironia, il destino sembra a volte mandarci dei segnali. Sta a noi saperli cogliere o farceli sfuggire da sotto il naso. Talvolta li piazza ben evidenti sulle nostre strade, tanto che è quasi impossibile non inciamparvi. Altre è più sottile, e si serve dei mezzi più bizzarri, persino di un ufficio amministrativo.
Ecco così che un giorno, all’anagrafe di Venezia, arriva una famiglia a registrare il nome della propria nuova nata: «La chiamiamo Ilaria». L’impiegato o l’impiegata prendono il modulo, mettono i timbri che vanno messi e fanno le congratulazioni di rito ai genitori, per poi continuare, come ogni giorno, col proprio lavoro.
Passano gli anni, Ilaria cresce, fa la sua vita, impara, conosce, gira, viaggia. Poi un giorno incontra un’altra ragazza. Si chiama Ilaria anche lei.
«Ilaria come?».
«Pittana. E tu?»
«Pitteri!».
Ilaria e Ilaria condividono il 76,92% delle lettere del loro nome e cognome: una quasi omonimia che le due hanno evidentemente preso come un segno del fato, visto che sono poi finite a lavorare insieme a un progetto, Venice in Pattern, che si basa proprio sul cogliere segni e reinterpretarli.
L’una architetto (Ilaria Pittana), l’altra graphic designer (Ilaria Pitteri), le due sono nate e cresciute a Venezia e, entrambe innamorate della loro città, nel 2018 hanno deciso di mettere assieme talenti, passioni e competenze per raccontarla a modo loro, attraverso un bel format che unisce le parole alla fotografia e ai pattern.
«L’iter progettuale per la creazione di ogni elemento — spiegano — si struttura essenzialmente in tre fasi: una di ricerca che si concretizza in un elemento testuale, una fotografica e una di pattern design. Attraverso una frase o una parola chiave viene evocato un concetto/tema che in seguito viene esplicitato mediante l’immagine fotografica, che viene a sua volta sintetizzata in un pattern, il tutto in modo non didascalico».
La miglior spiegazione, tuttavia, è andare a vedere l’account Instagram dove si possono trovare tre differenti “capitoli”. Il primo prende il via dai versi di una poesia di Diego Valeri — «C’è una città di questo mondo, / ma così bella, ma così strana, / che pare un gioco di Fata Morgana / e una visione dal cuore profondo. / Avviluppata in un roseo velo, / sta con le sue chiese, palazzi, giardini, / tutta sospesa fra due turchini; / quello del mare, quello del cielo. […]» —, che un’Ilaria ha poi tradotto in fotografia e che l’altra Ilaria, infine, ha sua volta trasformato in pattern.
Col medesimo meccanismo ecco anche gli altri due capitoli, uno sulle lettere dell’alfabeto (a come antiquarium o come acqua alta, b come bovolo o barbacane, che sono due elementi architettonici), e l’altro — tuttora in corso — sui mestieri tradizionali: i tessitori di panni di lana, i varoteri (cioè i pellicciai e i conciatori), i sartori, i tentori (tintori)…
È assai affascinante scorrere il profilo per perdersi in mezzo ai salti tra un linguaggio e l’altro: sembra di vedere il pensiero in azione, che seleziona, scompone, unisce, tradisce, sintetizza e infine trova uno schema in ogni cosa.
I pattern realizzati finora sono tantissimi, alcuni sono anche “usciti dallo schermo” per finire altrove, in collaborazione con altre realtà. Per esempio sulle bottiglie di birra.
Da qualche tempo, inoltre, Pittana e Pitteri hanno aperto un loro negozio online e iniziato a produrre segnalibri, taccuini e delle tasche “portatutto” in tessuto, continuando, nel frattempo a raccontare la loro Venezia, parola dopo parola, foto dopo foto, grafica dopo grafica.