Fotografo, cineasta, pittore, scultore, pubblicitario, designer, tipografo: l’ungherese László Moholy-Nagy fu una delle figure chiave della prima metà del ‘900 nei molti campi delle arti visive e della progettazione in cui si cimentò, nella teoria come nella sperimentazione e nella pratica.
In ambito tipografico viene ricordato soprattutto per un articolo — all’epoca seminale — e per una mostra. O meglio, un pezzo di mostra.
L’articolo, intitolato Die neue Typographie1, lo scrisse nel 1923 per il catalogo della prima grande esposizione della scuola in cui insegnava, la leggendaria Bauhaus. Nel testo uscì fuori per la prima volta il concetto di Nuova Tipografia — che poi venne ampliato e reso celebre qualche anno più tardi da Jan Tschichold — e incominciava così: «La tipografia è uno strumento di comunicazione. Deve essere una comunicazione chiara nella forma più persuasiva».

La mostra, invece, risale al 1929, quando il Ring Neue Werbegestalter (Circolo dei Nuovi Grafici Pubblicitari) — un gruppo di progettisti grafici d’avanguardia fondato dal grande Kurt Schwitters — organizzò a Berlino un’esposizione dedicata appunto alla Nuova Tipografia e chiese a Moholy-Nagy di curare una stanza dedicata al futuro della tipografia.
Lui riempì le pareti con 78 pannelli nei quali apparivano svariate tipologie di materiali, tra manifesti, pagine di libro, disegni e testi, opera sua e di altri artisti e designer.
Fortunatamente tutti i pannelli vennero acquisiti dalla Kunstbibliothek e uscirono indenni dai grandi bombardamenti della seconda guerra mondiale.
Riscoperti solo di recente, sono stati finalmente messi assieme di nuovo in un vero e proprio remake della mostra, interamente ricostruita ed esposta tra l’agosto e il settembre scorsi presso lo Staatliche Museen di Berlino in occasione del centenario della fondazione della scuola Bauhaus.
Per l’evento, è stato anche prodotto un catalogo, dove per la prima volta si possono vedere tutti i pezzi scelti da Moholy-Nagy per allestire la stanza sul futuro della tipografia.
Pubblicato dall’editore tedesco Kettler, il libro raccoglie in 256 pagine i contenuti originali, accompagnati da un abbecedario di termini e concetti relativi alle opere: dalla A di asimmetria alla Z di zukunftsvision, cioè “visione del futuro”, che Moholy-Nagy dimostrò avere ben chiara, anticipando — come viene spiegato in un bel pezzo uscito su Eye on design — molte delle rivoluzioni che sarebbero avvenute in ambito grafico e tipografico.
Il libro, che si può acquistare anche su Amazon, è a cura di Petra Eisele, Isabel Naegele e Michael Lailach mentre i testi sono stati scritti da designer e critici contemporanei — tra cui due nomi che appaiono spesso qui su Frizzifrizzi: Steven Heller e Erik Spiekermann.



