La prima volta che ho sentito parlare di László Moholy-Nagy è stata all’università, durante il corso di Storia della fotografia, dove veniva descritto come uno dei primi “multimediali”, che utilizzavano cioè molti strumenti e attraversavano le discipline.
Nato nel 1895 in Ungheria e laureato in legge, Moholy-Nagy fu infatti pittore, scultore, fotografo, cineasta, designer, tipografo.
Con una formazione artistica che risentiva molto dell’influsso delle avanguardie, in Ungheria e in Austria collaborò con riviste letterarie, in Germania cominciò a creare collage in spirito dadaista e a dipingere quadri astratti. Chiamato da Gropius al Bauhaus, lì si occupò di fotografia, design editoriale e tipografia, oltre a continuare con la pittura e a interessarsi di scenografia teatrale ed esperimenti cinematografici con la luce.
Morì a Chicago nel 1946, dopo aver vissuto, nonostante la giovane età, svariate vite: soldato nell’esercito austro-ungarico; insegnante nella scuola più influente del ‘900; pubblicitario a Berlino; rifugiato in Olanda (dove collaborò col movimento De Stijl) in fuga dal nazismo; artista a Londra; espatriato negli Stati Uniti, dove diresse il New Bauhaus, che accolse molti ex-docenti e studenti dell’istituto tedesco e contribuì a portare il modernismo oltreoceano.
Nonostante la sua opera sia stata esplorata e approfondita in ogni dettaglio, viste le tante “pieghe” del Moholy-Nagy uomo e del Moholy-Nagy artista, qualcosa poteva sfuggire agli studiosi e, in effetti, è stato da poco ritrovato un cortometraggio realizzato durante i suoi anni londinesi, rimasto “nascosto in bella vista” per ottantasei anni su di una pellicola che finora era stata interamente attribuita a Oskar Fischinger, pioniere del cinema di animazione astratto.
Sono stati due archivisti del British Film Institute — William Fowler e Bryony Dixon — a fare la scoperta.
Realizzato nel 1933, il filmato si intitola ABC in Sound e consiste in una serie di suoni creati a partire da alcuni pattern disegnati o stampati, visibili sul lato destro dello schermo, altrimenti nero (in qualche modo anticipando di decenni le sperimentazioni di Judith Poirier).
«L’ABC di Moholy offre una gamma giocosa che va dalle geometrie alle trame, ai volti dei cartoni animati e alla tipografia, a quanto pare includendo le proprie impronte digitali», scrivono sul sito del British Film Institute.