Oblò n°4 – Adelchi Galloni, Hamelin Associazione Culturale, aprile 2019 (foto: Frizzifrizzi)

Adelchi Galloni e l’ossessione per il disegno

Su gentile concessione dell’Associazione Culturale Hamelin, pubblichiamo un estratto dal quarto numero di Oblò, collana di monografie dedicate a illustratori e grandi narratori per ragazze e ragazzi.

Oblò n.4 è focalizzato sull’opera del grande illustratore Adelchi Galloni, che è anche protagonista di una mostra allestita presso gli spazi di Hamelin, a Bologna, dal 3 aprile al 17 maggio 2019.

Il testo che segue è tratto dall’intervista realizzata con l’autore.

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Oblò n°4 – Adelchi Galloni, Hamelin Associazione Culturale, aprile 2019
(foto: Frizzifrizzi)

IL FATTORE DISCRIMINANTE

Per me il fattore discriminante è che ho sempre considerato dipingere e fare illustrazione come un mio piacere personale. È quasi più un modo di pensare, che di lavorare. Ogni lavoro per me è sempre stato una cosa a sé. Quando disegno non so mai cosa farò. In questo seguo la lezione, con le debite proporzioni, di Picasso. Picasso diceva che puoi avere un’idea generale di base, ma poi è il disegno che deve venire fuori, è l’opera che chiama.

Il disegno ha una vita sua: che sia disegnare un uomo con un cane, uno a letto o uno che corre… Se ha una forza, è il disegno che ti suggerisce una via, che ti dà l’idea. Io non parto mai da un’idea letteraria, faccio solo dei disegni.

Bukowski una volta ha risposto a chi gli chiedeva consigli per scrivere, che se tu, al pensiero di andare la sera a scrivere e di sederti al tavolo davanti al foglio, ti senti male, allora vuol dire che non è il tuo mestiere. È vero. Ma muoversi nel mondo dell’immagine può diventare un’ossessione che ti rovina una vita. Io sono stato un padre pessimo, un marito pessimo, un uomo pessimo, perché è un’ossessione quella dell’occhio. Va da sé anche senza farci caso. Magari sei a Venezia e vedi una cosa viola che pende da una finestra e poi c’è un certo cielo, tu lo incameri e te lo porti nell’occhio. Quando tu fai il vigile urbano e smonti dal lavoro, hai finito, non è che guardi la velocità di quella BMW che arriva da destra. Invece qui è diverso e socialmente diventi un disadattato. Almeno così è stato per me.

Oblò n°4 – Adelchi Galloni, Hamelin Associazione Culturale, aprile 2019
(foto: Frizzifrizzi)

LE TECNICHE

Bisogna captare le cose. La tecnica viene di conseguenza. Ad esempio il gusto del collage mi viene dal cinema. Vedi, l’occhio di questo serial killer è in realtà il bottone del colletto: è ribaltato. Oppure questa illustrazione intagliata nel legno: vedi che questo cane è disegnato solo dall’ombra che fa se la luce arriva da una certa direzione? Oppure questo è fatto con il caffè. A me piace tanto disegnare con il caffè, dà tonalità particolari. Se lo passi su dell’oro ottieni l’effetto di un ottonato antico. Qui invece ho fatto un’illustrazione con i vassoi per le torte. Vedi che clima strano che si crea? Sembra reale e anche no. La cosa importante è che io mi devo divertire, non ho mai conosciuto piacere maggiore di disegnare o dipingere.
Questo lavoro è fatto di curiosità. Il resto è niente. A me fanno ridere quelli che si iscrivono ai corsi del tipo “come imparare l’acquerello”. Non è quello che si deve fare. Per comprare degli acquerelli bastano cinque euro!

Mi fa ridere un illustratore che dice “uso questa certa matita e non quest’altra”. E poi magari si fa ripassare con il pennino. Io magari me lo costruisco, il pennino. Si può disegnare con tutto. La tecnica non conta niente. Questo non è un lavoro che puoi fare solo perché hai una certa abilità di mano. Ci dev’essere il piacere di inventare, altrimenti diventa tutto pesante.
Per questo secondo me l’illustrazione è stata rovinata dal computer. C’è chi lo usa benissimo, ma c’è un guaio di partenza: che tende a omologare. Se ci mettessimo tutti noi a disegnare col computer, faremmo delle cose molto simili. È un colore che sa di plastica.

Oblò n°4 – Adelchi Galloni, Hamelin Associazione Culturale, aprile 2019
(foto: Frizzifrizzi)

I MAESTRI DELL’ILLUSTRAZIONE

Ci sono delle cime anche nell’illustrazione e nel fumetto. E anche lì i grandi sono americani. Senza Milton Caniff non sarebbe mai esistito Pratt, per esempio. Per me il più grande è Chester Gould con il suo Dick Tracy: personaggi essenziali con il vizio che è nella faccia. Mi ricordo che quando arrivarono in Italia – ero a Trento e facevo le medie – per me furono una rivelazione. Un’altra cima è sempre stata Tomi Ungerer, così come Maurice Sendak o Milton Glaser o Seymour Chwast. Tra gli italiani Lorenzo Mattotti è molto bravo. Ma non sono molto informato: devo dire che di italiano ho poco. Certo c’è Jacovitti, che era bravissimo, ma non lo sento nelle mie corde. Altri bravi erano Topor e Folon, e tra i tedeschi Heinz Edelmann.

Una volta l’ho incontrato ad Amburgo. Ero andato con Tognola, con cui facevo dei cartoni animati in Svizzera, e in fondo al tavolo c’era un signore che vedevo con la coda dell’occhio. Si metteva in tasca della roba. Dopo un po’ ho detto: “ma se ne sono accorti che quel tizio lì in fondo sta prendendo accendini e altre cose?”. Glielo dicono e mi dice che non c’è problema: me lo presentano ed era Edelmann. Per me era un mito. Vedi come succede delle volte: con Yellow Submarine si era trovato dentro un tale vortice di lavoro e si era preso un esaurimento nervoso bestiale che si manifestava in questo modo, rubare la roba. Tutti lo sapevano e prima di andare via lasciava tutto. Anche nei negozi dove andava, lo sapevano. Poi l’ho ritrovato guarito a Parigi. Anche lui lo sento vicino, perché passa da uno stile all’altro come me. Non è una sigla, ma un lavoro fatto bene. Come Chwast che passa da uno stile all’altro ma il lavoro comunque viene bene.

Era così anche André François, un altro che mi piaceva tantissimo. Sono andato trovarlo e mi è piaciuto subito perché aveva quattro o cinque gatti. Era nel giardino che cercava di lottare con loro per mettere del filo spinato attorno a un tronco perché c’era un nido sopra. Aveva una casa bellissima piena di trompe l’oeil che aveva fatto lui, con finte scale, nature morte…

Un altro personaggio che mi è rimasto impresso era Savignac. Ho vissuto abbastanza a lungo a Parigi, perché mia sorella abitava lì. Sono andato a trovarlo, abitava dietro l’Opéra e mi viene ad aprire uno con la parrucca mezza storta. Non me l’ero immaginato per nulla così. E dietro di lui vedevo i muri vuoti, completamente bianchi. Tanto che pensavo di aver sbagliato indirizzo. Nell’altra stanza c’erano invece tutti i manifesti, tutto ben ordinato, ben diverso da me…

Oblò n°4 – Adelchi Galloni, Hamelin Associazione Culturale, aprile 2019
(foto: Frizzifrizzi)
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