Progettare il libro-gioco

Su gentile concessione dell’Associazione Culturale Hamelin, pubblichiamo un estratto dal numero 51 della rivista Hamelin, un numero speciale dedicato al tema del libro-gioco e curato dalla redazione del magazine insieme all’associazione Ts’ai Lun 105, che si occupa, appunto, di libri-gioco.
Il testo che segue è firmato da
Emanuela Bussolati, architetto, progettista, illustratrice, scrittrice ed educatrice. Come architetto si è occupata di architettura spontanea. Come progettista è stata direttore editoriale di due case editrici per bambini, una delle quali specializzata in libri-gioco. Come educatrice studia contenuti e modalità di comunicazione.

Il panico da foglio bianco non è che un piccolo spavento, rispetto al panico da foglio di cartone bianco, da cui si pretende che nasca qualcosa di geniale.
Per capirne la portata, dobbiamo fare una similitudine con la situazione più affine: quella di un apprendista sarto che per la prima volta si trovi in quell’attimo sospeso durante il quale, con il gesso o peggio con le forbici, decide di iniziare il taglio di una stoffa preziosa, da cui nascerà la fortuna o il fallimento dell’abito di alta moda.
Il libro-gioco nasce così, da un materiale e da un segno, sia fatto a matita o con una penna a sfera scarica o con un paio di forbici. Un’avventura che parte quasi sempre da un’idea e da un modo originale di realizzarla. Spesso il lampo creativo arriva dalla consistenza del materiale stesso o dall’effetto di un segno su un materiale.
Così però non sono abbastanza esplicita, se non per chi, ben poche persone, ha già sperimentato questi passi e l’emozione che li accompagna.
Parlo di emozione perché in prima istanza è pensando al bambino che giocherà con il libro-gioco, che lo esplorerà, che ne sarà sorpreso, che nasce l’idea e, di conseguenza, il progetto. L’emozione, la complicità, il piacere di sorprendere è quindi alla basa dell’altra emozione, quella suscitata dalla potenzialità dei materiali e dei segni.
Sono convinta che in realtà il libro-gioco, con il suo portato di sensorialità, grafica, colore, movimento possa essere pensato anche per la parte adulta del mondo o per lo meno per gli adulti che amano gli oggetti belli che portano con sé intelligenza e pensieri. Dopotutto, le sculture da comodino di Munari erano libri-gioco per adulti, così come il suo Libro illeggibile bianco, nero e giallo o il suo Guardiamoci negli occhi. Erano per adulti, più che altro, a causa dei materiali inadatti alla esplorazione e al gioco dei bambini più piccoli, perché, per quanto riguarda il percorso, chi potrebbe sostenere che adulti e bambini non possano condividere le stesse gioie sensoriali esperienziali e narrative, anche al di là di un ottimo gelato? 

Sono convinta che in realtà il libro-gioco, con il suo portato di sensorialità, grafica, colore, movimento possa essere pensato anche per la parte adulta del mondo o per lo meno per gli adulti che amano gli oggetti belli che portano con sé intelligenza e pensieri.

Bruno Munari, “I prelibri”, Corraini, 2002
(courtesy: Hamelin)

Non esiste ancora un vocabolo o un giro di parole inglese per definire il libro-gioco. Per questo motivo forse in Italia ancora non si è scoperto e non lo si studia. I fumetti hanno acquistato dignità da quando si chiamano “graphic novel”. I libri senza parole da quando si chiamano “silent book”.
Se si propone un libro gioco a un editore, spesso ci si sente rispondere che non si può fare o che si deve andare in Cina. Per chi ha progettato tanti libri-gioco è uno spaesamento: come non si può fare? Li ho fatti. Perché bisogna andare in Cina e non alimentare la ricerca cartotecnica in Italia, dove è rappresentata da un quasi unico produttore?
Forse perché il mercato del libro-gioco è soprattutto dedicato ai giovanissimi? Eppure, il mercato dei bambini va meglio di quello dei grandi, in proporzione. O forse perché è ancora radicatissima l’idea che sotto i 6 anni non siano interessati all’oggetto libro? La mia esperienza si è sviluppata intorno alla comunicazione con gattonanti e esploratori nudi, quindi su questo ambito posso testimoniare e raccontare.

È la curiosità viva verso i tantissimi aspetti delle persone dette bambini che porta a immaginare, con emozione e allegria come alimentare la loro continua voglia di mettere alla prova tutti i sensi, la loro capacità di stupirsi, il loro desiderio di superare delle prove giocose, di assorbire conoscenza, di allargare gli orizzonti delle proprie capacità fisiche e di comprensione del mondo.
Immaginare significa evocare immagini, portarle fuori da sé, progettare qualcosa che non c’è.
Ecco che allora il libro-gioco ribalta il processo ideativo del libro tradizionale. Nasce prima come oggetto e come percorso sensoriale, poi viene completato dalle illustrazioni e infine viene scritto, se necessario, un testo, che quindi è al servizio del progetto e viene in aiuto ai grandi che propongono il libro-gioco al bambino. Ma ci si può avvicinare, pur piccolissimi, al libro-gioco anche autonomamente, come fa per esempio un gattonante, attratto dalle forme e dai colori di un oggetto. 
È dunque un oggetto il libro-gioco? Senz’altro. Come moltissimi oggetti ha un portato narrativo per la forma che ha, i colori, le superfici, il sapore… Come oggetto libro offre in più la possibilità della voce, il ritmo, la musicalità della parola.

Adrien Parlange, “Le Ruban”, Albin Michel, 2016
(courtesy: Hamelin)

Immaginare significa evocare immagini, portarle fuori da sé, progettare qualcosa che non c’è.
Ecco che allora il libro-gioco ribalta il processo ideativo del libro tradizionale. Nasce prima come oggetto e come percorso sensoriale, poi viene completato dalle illustrazioni e infine viene scritto, se necessario, un testo, che quindi è al servizio del progetto e viene in aiuto ai grandi che propongono il libro-gioco al bambino.

Nel progetto del libro-gioco bisogna tenere presente la mobilità del bambino e delle sue mani. La sua capacità di usare quell’oggetto in maniera imprevista (e cercare dunque di prevedere). Bisogna tenere presente la delicatezza o la forza che riesce a gestire. La facilità o la difficoltà di girare le pagine e di tenerle aperte. La capacità di osservare i particolari, di “leggere” le forme che si presentano lungo il libro. Magari di trovarle anche se sono parzialmente nascoste. L’attrazione fatale dei fori, delle fessure in cui infilare le dita, delle trasparenze colorate attraverso le quali scoprire un mondo filtrato… Il libro-gioco è anche un oggetto di design.
Tutte queste sollecitazioni sarebbero forse troppe in un oggetto solo. I bambini meditano volentieri sulle loro scoperte e amano ripercorrerle più volte. È proprio osservando con vivo interesse i bambini dei primi anni che un progettista arriva a ideare le soluzioni più azzeccate, a dare la forma giusta all’oggetto libro, a dare l’ergonomia giusta all’apertura e chiusura delle stesse o delle finestrelle e dei fori e a dare il ritmo giusto al percorso esplorativo o narrativo che il libro propone. 

Un libro-gioco non è un pop up. I materiali sono totalmente diversi. Le pagine si girano in un modo diverso, l’uso e l’esplorazione sono differenti. L’età a cui ci si rivolge è tutt’altra. 
Non posso mettere in mano a un bambino di due anni un pop-up senza sentire la spinta a interrompere l’esplorazione per timore che le levette si pieghino, la tridimensionalità venga schiacciata, i meravigliosi elementi che saltano fuori dal libro vengano afferrati con curiosità e inevitabilmente strappati. Ma se mi identifico nel pop up invece che nel bambino, ho perso l’occasione di condividere e promuovere una nuova esperienza. 
Il libro gioco invece è in generale confezionato in materiali robusti, resistenti ai movimenti esplorativi e anche alle “prese” irregolari.
I “segni” a cui accennavo all’inizio dell’articolo, sono proprio utili a questo: a non fare strappare via facilmente flap e finestrelle, a offrire pieghe comode e già segnate, permettendo all’adulto di canalizzare le sue energie nel piacere di vedere che cosa fa il bambino e non nel difendere dall’usura o peggio dalla distruzione l’oggetto che ha in mano.
Fustelle, fori, cordonature non sono solo utili a limitare i danni eventuali. Servono ad ampliare la narrazione, a far nascere domande. Un foro può portare lo sguardo oltre la pagina, nello spazio, oppure sulla pagina successiva. O su quella precedente. O su un fondo con un colore o una illustrazione. 
Una fustella (un taglio, per usare una parola non precisa ma comprensibile ai più) può dare una forma diversa a una pagina. Può aiutarne l’apertura, può essere percorsa con le dita dando piacevoli effetti di scivolamento o di solletico o di seghettatura (morbida). Se accompagnata a una cordonatura (il segno che aiuta la piega, come quando si passa una biro scarica su un foglio per aiutarsi a piegarlo) può piegare metà della pagina, sapientemente non incollata alla pagina del quartino successivo e trasformarla in quinta, in un passaggio ulteriore di una narrazione o di una esplorazione cromatica. Oppure, se praticata in mezzo alla pagina, può aprire una finestra che cela una sorpresa.

Fustelle, fori, cordonature non sono solo utili a limitare i danni eventuali. Servono ad ampliare la narrazione, a far nascere domande. Un foro può portare lo sguardo oltre la pagina, nello spazio, oppure sulla pagina successiva. O su quella precedente. O su un fondo con un colore o una illustrazione. 

Hervé Tullet, “Fiori!”, FCP, 2021
(courtesy: Hamelin)

Per chi progetta, la conoscenza dei materiali e dei segni è basilare quanto lo era per Van Gogh la conoscenza dei colori e della loro materia. Da questo nascevano infinite interpretazioni d’arte. Dai segni e di materiali di carta o cartone escono infiniti percorsi progettuali in prima battuta, esperienziali poi.
L’eco che questi segni danno alla fantasia e alle esperienze sensoriali è enorme e non è a caso che le illustrazioni vestono solo successivamente l’architettura del campione bianco. Non è a caso che solo a conclusione del processo progettuale e grafico si mettono delle parole, se lo si desidera.
Azzardo che il concetto di lavoro per aperture, così accettato ora nei libri illustrati, sia nato proprio dal libro-gioco, perché in questo specifico campo di progettazione è indispensabile che la successione delle aperture sia presa in considerazione fin dall’inizio. Questo mi porta a dire che non basta essere un libro di cartone per essere un libro-gioco. Un libro di cartone può benissimo essere un normale libro illustrato, solo stampato su materiale più resistente. Ma se non fa vivere al bambino attraverso la sensorialità e l’esplorazione, esperienze come i cromatismi che cambiano girando una pagina con una certa forma, il tatto che suggerisce un ritmo, lo spazio che si dilata, la figura che si trasforma o si combina con altre figure, la forma che si alza, la sorpresa che si rivela… non ha le caratteristiche di un libro-gioco.

Il libro-gioco può essere un libro d’artista, ma in questo caso ha dei limiti, perché è un prodotto industriale e quasi mai i libri d’artista sono prodotti industriali perché giocano proprio sulla libertà di associazione di materiali diversi, compresi fili, plastiche, vetri, catrame… Il libro gioco è invece un prodotto per il mercato, da diffondere come strumento di relazione con il mondo, con gli altri bambini, con gli adulti. Ha l’esigenza di contenere i costi di produzione e di essere realizzato, anche per motivi etici, industrialmente con delle macchine.
Ecco allora perché ho aperto questo articolo parlando dell’emozione del sarto che dà il primo colpo di forbici alla stoffa preziosa. Ma anche perché un sarto, come chi progetta i libri-gioco, è attento allo spreco. Da una data pezza di stoffa deve ricavare il meglio. Cosa che è altrettanto importante nel libro gioco che non necessariamente ha pagine tutte dello stesso formato, anzi, spesso le combina e le dimensiona con lo scopo di dare il massimo senza sprecare.
Un foglio di cartone è un bene che poi verrà acquistato, sotto altra forma da qualcuno che mette un investimento emotivo in quell’acquisto: donerà il libro a un bambino. Lo sceglie con cura, lo vuole bello e utile, nella migliore delle intenzioni. Poi sarà “giocato” insieme, o lasciato al bambino perché se ne faccia sedurre. È dunque una grande responsabilità quella di chi decide come “tagliare” e impostare le pagine sul foglio di stampa di un libro-gioco.

Katsumi Komagata, “Little Eyes 1 – First Look”, One Stroke, 1990-1992
(courtesy: Hamelin)

Il libro-gioco può essere un libro d’artista, ma in questo caso ha dei limiti, perché è un prodotto industriale e quasi mai i libri d’artista sono prodotti industriali perché giocano proprio sulla libertà di associazione di materiali diversi, compresi fili, plastiche, vetri, catrame… Il libro gioco è invece un prodotto per il mercato, da diffondere come strumento di relazione con il mondo, con gli altri bambini, con gli adulti.

Chi lavora in editoria sa che ogni segnatura è un foglio, piegato e ripiegato e poi refilato.
Nel caso del libro-gioco le pagine o le aperture (a seconda della legatura) possono avere forme uguali o diverse. Sono, a volte, disposte sul foglio macchina quasi come i pezzi di un puzzle, proprio per potere utilizzare al massimo tutto il cartone. Ma questo richiede delle idee. Come uso quella superficie che esce dal formato, se non la voglio buttare? Che senso le do? Scarto la parte che si ricava da un grande foro o la utilizzo? 
Per questo motivo è quasi impossibile far derivare il progetto da un testo. Mentre è necessario il contrario: a seconda di come utilizzo il cartone, nascerà il testo.
Posso decidere che voglio applicare delle superfici tattili o brillanti come l’oro o l’argento. Non potrò metterle a caso perché i materiali con queste caratteristiche hanno degli ingombri massimi ben precisi e desidero che il maggior numero di pagine nel libro possa offrire quella esperienza.
La storia verrà ideata a seconda di come cadono quelle pagine tra le altre.
Altrettanto, se decido di forare le pagine o di aprire delle finestrelle, dovrò decidere come saranno le pagine seguenti e quelle precedenti. Non posso, a meno che lo decida volutamente, mettere due finestre consecutive nella stessa posizione o in posizioni adiacenti. Si sovrapporrebbero creando un foro oppure impedirebbero alla colla che serve ad accoppiare le aperture raddoppiando la robustezza delle pagine, di sigillare il perimetro della foratura, lasciando una parte non incollata nella quale un ditino si infilerebbe anche troppo facilmente.

Tutti i segni tecnici seguono la stessa logica. Prima si studiano quelli e la conseguente successione delle pagine, poi, se la si ritiene utile, nasce la storia.
Ma a questo punto forse è importante fare degli esempi.
Ecco lo schema della stesa di un libro della collana “Storie a sorpresa” della casa editrice La Coccinella. È visibile come la parte “argentata” occupi una fascia ben precisa del foglio di macchina. (La narrazione si è dovuta adeguare alla successione delle pagine comandata da questa superficie oltre che da alcune finestrelle e dal pop up arcobaleno). È visibile anche come, per non buttare il pezzo di cartone che sarebbe stato scartato dall’arco, è stato fustellato un sole, che a sua volta ha comandato la “busta” in fondo al libro, da cui il sole, imperniato all’interno con un rivetto, potesse comparire e sparire. Pop up arcobaleno, sole, argento… ecco che nasce a poco a poco una storia di pioggia e di reazione creativa alla noia. Da qui, nascono le pagine con la torre che si alza, ricavata anche questa dallo spazio rimasto libero sopra all’arcobaleno. 
La legatura è un altro segno non secondario. In questo libro, e in molti altri, tutto è reso possibile dalla legatura a spirale. 
In questo caso, progettista, sceneggiatore e autore del testo coincidono. In altri casi chi progetta è anche chi pensa all’eventuale storia e prepara il layout completo. Questo sarà consegnato a chi illustra, mentre la sceneggiatura della storia sarà la guida per chi scrive.

Ci vorrebbe una rivoluzione nella catalogazione delle biblioteche per mettere in ordine la gerarchia delle attribuzioni nel colophon del libro-gioco. L’autore è, a mio parere, sempre il progettista, accompagnato dai tecnici, poi da chi illustra e chi scrive. E, ovviamente, dalla casa editrice. A La Coccinella il progettista de Il bruco verde, primo libro-gioco della casa editrice, fu Giorgio Vanetti. Dopo di lui Carlo Alberto Michelini progettò moltissimi libri di questa casa editrice, con enorme sapienza e attenzione e in collaborazione stretta con i tecnici che seguivano i processi di fustellatura perimetrale o centrale, delle cordonature delle rubricature, il percorso dei fogli, incollature e legature comprese. I libri gioco, come tutti i libri, sono senz’altro risultato di più collaborazioni e più mestieri ma di certo chi progetta e chi cura gli aspetti tecnici sono le fondamenta indispensabile perché il libro abbia successo.

Emanuela Bussolati

Hamelin 51

Libro-gioco. Infanzia, scoperta e lettura

Associazione culturale Hamelin, aprile 2022
A cura di Hamelin e Ts’ai Lun 105
Copertina: Lucie Félix
Autrici e autori: Manuela Bussolati, Diletta Colombo, Loredana Farina, Grazia Honegger Fresco, Nicoletta Gramantieri, Giulia Mirandola, Elena Nava, Sophie Van Der Linden.
141 pagine
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