Poco più di due anni fa, fecero il giro del mondo alcune fotografie che mostravano una straordinaria collezione, assolutamente sui generis: la Forbes Pigment Collection, un archivio di più di 2500 pigmenti, tra i più rari in assoluto, prodotti dall’antichità ai giorni nostri e ricavati da rocce, animali, vegetali o realizzati in laboratorio, alcuni anche molto tossici, come il celebre (o meglio, famigerato) Scheele’s Green, inventato nell’700 e molto usato soprattutto in età vittoriana, specialmente per gli abiti femminilie e le carte da parati, ma assai tossico per via dell’arsenico che sprigionava (a chi volesse approfondire, consiglio questo libro).
Iniziata nei primi del ‘900 da Edward Forbes, a lungo direttore del Fogg Art Museum, il più antico museo dell’Università di Harvard, la collezione viene utilizzata soprattutto a scopo di ricerca, di autenticazione e di restauro dei dipinti.
Tra gli esemplari conservati ce ne sono di preziosissimi, come ad esempio il blu ricavato dai lapislazzuli afghani, che nel Medioevo valeva più dell’oro, oppure di bizzarri come il pur usatissimo bruno di mummia che, come suggerisce il nome, aveva tra i componenti dei frammenti macinati di mummie umane e feline.

(fonte: atelier-editions.com)
Oggi parte del grande sistema museale degli Harvard Arts Museums, alla Forbes Pigment Collection è stata dedicata una monografia, pubblicata dal piccolo editore californiano Atelier Éditions e intitolata An Atlas of Rare & Familiar Colour.
Le 224 pagine del libro (che si può acquistare anche su Amazon), oltre a mostrare i pezzi più interessanti della raccolta, fotografati da Pascale Georgiev, raccontano anche le storie di alcuni di essi, che mettono assieme arte, scienza, economia e religione.

(fonte: atelier-editions.com)

(fonte: atelier-editions.com)

(fonte: atelier-editions.com)

(fonte: atelier-editions.com)

(fonte: atelier-editions.com)

(fonte: atelier-editions.com)

(fonte: atelier-editions.com)

(fonte: atelier-editions.com)