Durante l’ultima edizione del BilBOlbul, i ragazzi del collettivo Lele Marcojanni erano ovunque.
Giravi per una mostra, ed eccoli là.
Ti ficcavi dentro a un tunnel, al buio, allucinato davanti a una proiezione, ed eccoli là.
Te ne stavi tranquillo a sfogliare fumetti e autoproduzioni e, di nuovo, vedevi spuntare i loro obiettivi pronti a riprendere.
Andavi ad ascoltare una presentazione e loro se ne uscivano fuori dal nulla, inquadravano, giravano e poi silenziosamente andavano da qualche altra parte e magari li ritrovavi nella prossima tappa, e in quella dopo, e in quella ancora dopo…
Roba da guardarti le spalle, per esser sicuro che non ti seguissero, mentre tornavi a casa mezzo brillo e mezzo stordito da immagini e suoni e voci dopo una giornata in mezzo a fumetti e fumettisti.
Alla fine con tutti i chilometri di girato (sempre meno di quelli che hanno macinato a piedi per le strade di Bologna) hanno realizzato il recap finale del festival. Che ne coglie appieno l’atmosfera, soprattutto per quanto riguarda il concetto del “fare”, che è stato forse il cardine delle ultime due edizioni, e mostra a chi non c’è stato tutta la magia di un evento che va avanti da 9 anni, rinnovandosi di continuo, puntando sulla sperimentazione, trovando la forza di rimettersi in gioco edizione dopo edizione.