«Ai miei tempi», raccontava mia nonna, «se non imparavi le tabelline o sbagliavi nel temino di terza elementare o disturbavi la lezione, il maestro per punizione di faceva indossare il cappello di carta con le orecchie d’asino e ti costringeva a restare immobile ed in silenzio per 30 minuti davanti a tutta la classe». L’umiliazione di indossare il ridicolo copricapo doveva avere funzione rieducativa, portarti a riflettere sulle tue azioni ed omissione, evitando in futuro di commettere gli stessi errori.
Io oggi per punizione, o solo per sadismo, vorrei fare indossare i ridicoli cappellini crochet a tema cibo, che vedete nelle immagini, ai tanti/troppi sedicenti foodblogger, ai degustatori sensoriali seriali, a chi fotografa e posta su Instagram ogni suo singolo pasto, a chi mi ammorba sproloquiando di cibo, a chi pronuncia senza sosta le parole “eccellenza gastronomica”…e – credetemi – a molti altri ancora.
Creati dall’artista del tessile Phil Ferguson, un giovane australiano di base a Melbourne, che li realizza a crochet e poi ci si fotografa e li posta su Instagram. Dozzine di enormi cappelli a forma di fetta di pizza, di anguria, bottiglie di vino, piatti di spaghetti, cosce di pollo che, come premesso, io userei come legge del contrappasso.