L’Integrale, una rivista culturale sul pane e sulle piccole e grandi cose: intervista alla direttrice Diletta Sereni

All’interno del primo numero, proprio all’inizio, L’Integrale si definisce così: 
«Questa rivista parte dal pane per parlare di luoghi e di persone, di vicende straordinarie e aneddoti trascurabili. Parte dal pane, perché il pane è così antico che a divagare lungo la sua storia si finisce per ricostruire anche la nostra. Il pane ci farà intercettare narrazioni che spaziano in tutti i campi dell’esistenza, ed esplorare diversi modi di espressione: reportage, saggio, memoir, ricetta, poesia, fotografia, disegno».

E per esperienza posso confermarvi che, da quella pagina lì in poi, ciò che viene dopo è un viaggio su carta, in cui, con il pane a fare da fil rouge, si esplorano piccole — semi, microrganismi, ostie, persone e panifici — e grandi cose — carbofobia, mondo gastronomico, tradizioni e guerra.
L’Integrale è realizzata grazie al supporto di Davide Longoni, esperto panificatore che in ogni numero regala una bellissima lettera dell’editore. Con lui c’è Diletta Sereni, che cura la parte editoriale e supervisiona l’operato del comitato editoriale, di cui fa parte insieme a Gabriele Rosso, Irene Soave e Tommaso Melilli. A occuparsi della direzione artistica e delle illustrazioni è Gianluca Canizzo, mentre il progetto grafico è di Elisa Cusimano.

Insomma, per scoprire di più su come nasce una rivista — ne sono già usciti 5 numeri — che parli di pane per parlare del mondo e dei suoi meccanismi, di noi e dei nostri comportamenti, e in grado di convertire anche l’acquirente da supermercato ad un approccio più consapevole, avevo l’imbarazzo della scelta. Alla fine mi sono ritrovata a chiedere alla sua direttrice editoriale, Diletta Sereni, se era lei quella che poteva sopportarmi giusto il tempo di qualche domanda.

Come è nata l’idea di fare una rivista sul pane?

È nata da me, che dirigo la parte editoriale, Davide Longoni, panificatore milanese e finanziatore della rivista, e l’illustratore Gianluca Cannizzo che ne è il direttore artistico.
L’Integrale nasce da noi tre, come progetto editoriale che avesse al centro il pane, ma avesse un taglio culturale ampio, parlasse a un pubblico trasversale, non solo quello degli appassionati.

Ogni numero ha un titolo. Ad oggi ci sono Attenti al pane, Contronatura, Fuoco, Erotica e Straniero. Cosa rappresentano per voi queste parole nel realizzare la rivista?

Le parole rappresentano il tema del numero: cerchiamo temi che siano abbastanza ampi per poter essere esplorati da diversi punti di vista, diversi generi di scrittura, diversi autori e allo stesso tempo rilevanti per la cultura gastronomica e la contemporaneità.

Perché proprio il pane?

Sicuramente la presenza di Davide Longoni è stata determinante; oltre ad essere il finanziatore della rivista, è anche una figura di riferimento per i panettieri italiani contemporanei, anche per questo era la persona giusta per un’operazione culturale di questo tipo.
Il pane sembra un argomento molto specifico, ma in realtà, per come lo affrontiamo noi nella rivista, è uno dei temi più versatili e flessibili che si possano avere, perché è carico di significati culturali, simbolici, economici e politici. È l’alimento per eccellenza, è tante cose insieme. Di fatto poi parlare di pane ci permette di andare molto lontano dal pane, raccontare storie umane a tutto tondo; non a caso la frase che usiamo spesso per spiegare L’Integrale in breve è «Il pane è orizzonte e pretesto per raccontare le cose del mondo». 
È anche un modo per riscattare l’argomento pane, non più il “pària” della tavola, il prodotto di basso costo che dai per scontato, ma una sorta di porta narrativa che ti permette di accedere a tante dimensioni.

Il pane è sia pretesto per parlare di molto altro, sia un alimento da rivalutare in qualche modo, e proprio per questo mi chiedevo se secondo te c’è un aspetto in particolare di questo alimento che abbiamo sempre sottovalutato.

Solo adesso si sta iniziando a porre attenzione agli ingredienti, e allo stesso tempo le persone iniziano ad essere disposte a pagare di più il pane. Ma c’è ancora molta resistenza: ci è capitato anche durante alcune presentazioni de L’Integrale, quando si parla del movimento di nuovi panettieri, che qualcuno dica che questo genere di pane è molto costoso (in realtà poi se valuti nel complesso scopri che così caro non lo è, perché è un pane che dura una settimana e non ne butti via niente).
Il pane è stato considerato fino a tempi recenti un alimento di poco conto, di poco costo e su cui non ci si potevano costruire sopra tanti fronzoli né sugli ingredienti, né sul gusto. Se si pensa al confronto con il vino, altro protagonista della nostra tavola, ecco, ha avuto sorte decisamente opposta.

Di quale spinta decisiva ha bisogno questo risveglio?

A mio avviso si tratta di processi culturali lenti ma inesorabili: già nelle grandi città è abbastanza depositata questa rivalutazione del pane, piano piano arriverà anche altrove.

Questa attenzione alla produzione del pane, agli ingredienti, alle tecniche utilizzate, pensi sia più una moda o una vera voglia di cambiamento?

Penso siano entrambe le cose.
La base è di cambiamento, come sta avvenendo anche in altre cose come nel vino e nel cibo in generale, molto lentamente. C’è una componente anche di moda, sicuramente, che forse (sottolineo forse) si legge nel fatto che questi nuovi pani, in Europa e negli Stati Uniti, si somiglino a prescindere dalle geografie, quindi hanno tutti levitazioni molto lunghe, l’utilizzo della pasta madre, grandi alveolature, croste molto scure e bruciate. Hanno delle somiglianze che fanno pensare ci sia anche un elemento di moda, ma credo non ci sia nulla di male.

Tu invece che rapporto hai avuto e hai con il pane?

Vengo da una famiglia che faceva molta attenzione al pane perché mio nonno era fornaio. A parte questo, è sempre stato un cibo che mi piaceva molto, come continua ad essere anche oggi, e ne ho sempre mangiato tanto. 
Ho provato a farlo anche io, da alcuni anni mi cimento a ondate nella panificazione domestica con risultati alterni.
Non sono golosa di pane a prescindere dal pane, ad esempio quello del supermercato, fatto con farine iper raffinate e che si secca dopo poche ore che lo hai preso, non mi piace, non lo compro. È un’altra cosa, anche se si chiama pane. 

Ritornando al carattere culturale de L’Integrale, invece, ti suona meglio “cibo è cultura” oppure “cibo e cultura”?

Decisamente “cibo è cultura”. Ovviamente non tutta la cultura deve occuparsi di cibo, ma il cibo è sicuramente un fatto culturale.

C’è un articolo, tra quelli pubblicati fino a ora nei vari numeri de L’Integrale che ti ha colpito particolarmente o su cui ti sei ritrovata a riflettere anche dopo averlo letto?

Sceglierne uno è durissima.
Ce n’è uno che tocca un tema molto interessante e che ricorre spesso ne L’Integrale, ovvero la costruzione della tradizione.
È un articolo — il titolo è Buono da bruciare — di Tommaso Melilli nel numero Fuoco. Tommaso ricostruisce la parabola di popolarità che ha vissuto il grano arso, che per un periodo è andato molto di moda e poi è scomparso; allora lui va a vedere come mai il grano arso ha avuto un successo così improvviso e fulminante, che poi si è sfaldato negli anni seguenti. Analizza il suo ciclo di celebrità e come funzionano le dinamiche di invenzione delle tradizioni.

C’è invece una penna che ti piacerebbe ospitare su L’Integrale?

Anthony Bourdain purtroppo non c’è più, ma sarebbe stata la persona perfetta.
Una firma interessante che concretamente vorremmo coinvolgere è Alicia Kennedy, autrice di una newsletter con un grande seguito e molto brava a cucire collegamenti tra la concretezza del cibo e i suoi significati culturali, politici e sociali, che è quello che proviamo a fare anche noi.

Altri progetti per il futuro?

Uno si sta già realizzando. L’evoluzione naturale de L’Integrale è evidente già nell’ultimo numero, Straniero: stiamo allargando lo sguardo al di là del pane.
Il pane è un cibo con una storia molto antica ed è sempre presente sulla tavola, ma è sempre accompagnato da altri cibi, quindi è naturale accompagnarlo ad altri cibi anche ne L’Integrale. Rimarrà sempre centrale ma ci saranno anche testi che esplorano la cultura del cibo in un senso più ampio.

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