Il nON-bINary font di Ariel Brandolini

Letteralmente forgiati all’insegna della leggibilità e della funzionalità, i caratteri tipografici potrebbero sembrare lontani anni luce dall’attivismo politico e culturale e dai fermenti sociali che si agitano nella nostra contemporaneità. Tutt’altro: nonostante ogni singolo carattere si porti dietro secoli di storia, racchiusi in ogni linea e in ogni dettaglio, la progettazione tipografica si è sempre perfettamente sintonizzata su quello che è lo zeitgeist, lo spirito del tempo, dal costruttivismo di inizio ‘900 al blackletter di epoca nazista, dall’Avant Garde degli anni ’70 all’illeggibilità delle più recenti sperimentazioni tipografiche ispirate al concetto di nuovo medioevo che impregna la nostra epoca.
Negli ultimi anni, sulla scia del grande dibattito internazionale e della crescente attenzione attorno ai temi dell’identità e della fluidità di genere, sono nati molti progetti che mettono in discussione la visione binaria nell’ambito della progettazione tipografica. Tra gli esempi, il Bumpy Typeface dell’italiana Beatrice Caciotti, che si basa su una ricerca sugli stereotipi di genere in tipografia, argomento sul quale la progettista Marie Boulanger ha svolto una tesi di laurea; e poi il glifo gender-neutral inventato dalla designer Sarah Gephart, l’identità visiva per la comunità online LGBTQIA+ Serif, o il font Super Tramp di Vivian Dehning.

(courtesy: Ariel Brandolini)

Il fatto è che in ogni linea e in ogni dettaglio, in ogni grazia o spigolo, oltre a esserci la storia della tipografia c’è anche un retaggio che porta con sé una visione binaria — maschile/femminile — del mondo. Ed è proprio questo rigido schema che il designer Ariel Brandolini — art director dello studio veneto design-associati e ultimamente assai impegnato a disegnare alfabeti, anche in cemento — tenta di rompere attraverso un font in cui le caratteristiche “identitarie” e formali si mescolano, puntando sulla fluidità e sull’inclusività, con un alto tasso di sperimentazione ma senza sacrificare troppo la leggibilità.

Il carattere si chiama nON-bINary ed è frutto di una lunga ricerca, durata diversi anni: «un collage/mix/mashup/mosaico di scrittura geroglifica, ieratica, cuneiforme, ebraica, onciale, calligrafica, cancelleresca, gotica, ideogrammi cinesi, alfabeto latino, fenicio, greco, marchi di muratori del XV e del XVI secolo, simboli bizantini, cretesi, induisti» lo definisce Brandolini, che racconta di essersi ispirato al progetto Pandrogeny dell’artista Genesis P-Orridge, icona della musica industrial (faceva parte della seminale band Throbbing Gristle) che negli anni ’90, insieme alla moglie Jacqueline Breyer ha iniziato a modificare il proprio corpo per assomigliare l’uno all’altra e idealmente “fondersi” in un’unica entità, definita appunto — con un neologismo coniato dalla coppia — “pandrogina”.
Così come due corpi diventano uno, allo stesso modo le lettere di nON-bINary si modellano all’insegna delle somiglianze: «le aste delle minuscole si protraggono con la volontà di diventare maiuscole, e viceversa. Ogni lettera contiene se stessa ed esprime una nuova forma, sempre leggibile, che la rende universale» spiega Brandolini, che sottolinea come il carattere sia in un perpetuo work in progress: «non “è”» dice il designer, «ma “sarà” un font in continuo mutamento, un progetto per discutere, scambiare pareri e coinvolgere altre persone a giocare con le sue forme, modificarle, migliorarle. Perché è solo nel continuo cambiamento che si può migliorare».

(courtesy: Ariel Brandolini)
(courtesy: Ariel Brandolini)
(courtesy: Ariel Brandolini)
(courtesy: Ariel Brandolini)
(courtesy: Ariel Brandolini)
(courtesy: Ariel Brandolini)
(courtesy: Ariel Brandolini)
(courtesy: Ariel Brandolini)
(courtesy: Ariel Brandolini)
(courtesy: Ariel Brandolini)

La ricerca


«nON-bINary è un font che cerca di liberare i retaggi intrappolati all’interno di ogni lettera, rompere la sua gabbia e svelare il suo DNA, cancellarne le tracce dei secoli, l’altezza, la forma, le varianti, le influenze culturali».

La progettazione


«Il type design come genealogia dei simboli: una sperimentazione, una riflessione sulla diversità e sull’integrazione, ma soprattutto un appello a quello che ci rende unici: essere umani».

(courtesy: Ariel Brandolini)
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