ConcreType: le lettere in cemento di design-associati

Chi vive al di fuori di quella che è la realtà quotidiana all’interno degli studi creativi, talvolta si meraviglia della grande quantità di progetti “laterali” che escono fuori dalle menti, dai computer e dalle mani di chi ci lavora. Pur trattandosi di iniziative senza apparenti sbocchi commerciali, di divertissement, di giochi, necessitano infatti di tempo, risorse e fatica; e dunque, «Chi glielo fa fare?» chiederebbe maliziosamente chi proprio non riesce a comprenderne lo scopo.
Il fatto è che, se da una parte allungano il tempo del lavoro, andando magari a occupare quello, sacrosanto, del riposo e dello svago, progetti del genere in realtà quel tempo lo alleggeriscono e lo arricchiscono: sono essi stessi lo svago, uno svago preziosissimo perché poi ha ricadute su tutto il resto dell’attività.

«Sperimentazione e gioco sono due delle caratteristiche che il Maestro Bruno Munari riteneva indispensabili nel mestiere (o professione) del grafico. Nel lavoro quotidiano, presi da scadenze, richieste e tante altre cose, e nel tentativo di apparire sempre logici e razionali agli occhi dei nostri committenti, perdiamo spesso di vista questi due aspetti, che anche per noi sono importantissimi. In fin dei conti metodo e gioco creativo non sono antitetici o escludenti l’uno dell’altro, anzi, sempre secondo Munari, il metodo dovrebbe avere delle regole elastiche e dinamiche, trasformabili continuamente, quindi potremmo dire che il gioco è una fase del metodo» ha scritto il disegnatore grafico Ariel Brandolini in un post su Instagram nel quale presentava una nuova impresa creativa che sta coinvolgendo parte dello studio design-associati, dove lavora come art director: si tratta di ConcreType, una collezione di caratteri tipografici in cemento, pensati come fermacarte, fermalibri o semplici oggetti decorativi da esporre sopra una scrivania o una libreria.

(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)
(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)

Per ora è uscita un’unica lettera, una A, che arriva direttamente da una meravigliosa locandina cinematografica, quella disegnata nel ’60 dal pittore di cinema Sandro Symeoni per il film La lunga notte del ’43, primo lungometraggio del regista Florestano Vancini
«È un film bellissimo e spigoloso» mi ha raccontato Brandolini al telefono, «ed è bellissimo e spigoloso il carattere, con quelle grandi grazie appuntite che si prestano benissimo per il cemento».

La scelta del lettering di un manifesto cinematografico non è casuale: da anni design-associati porta avanti un’affascinante ricerca grafica e tipografica che è poi sfociata in altri progetti di cui ho avuto modo di parlare in passato, tra quaderni, agende e calendari nati dallo studio di caratteri d’archivio e, appunto, dal lettering dei film, o dai manifesti storici, o ancora dalle copertine dei dischi (a proposito di queste ultime: sul sito dello studio si possono scaricare gratuitamente i caratteri frutto della ricostruzione del lettering di The Eternal Idol dei Black Sabbath, di Red Corner dei Matia Bazar e di London Calling dei Clash).

Il carattere

(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)
(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)
(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)
(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)
(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)

Perché il cemento? La “colpa”, spiega Brandolini, è di Oscar Niemeyer. «È il mio architetto preferito» dice. «Nel 2000, appena laureato, prima di arrivare in Italia dall’Argentina, dove sono cresciuto, ho fatto con un mio amico grafico un viaggio in tutto il Brasile sulla rotta delle sue opere. Stavo proprio leggendo un suo libro quando, qualche tempo fa, mi è venuta in mente l’idea di queste lettere in cemento. Lì ho trovato una frase, che mi ha fatto decidere di andare avanti con il progetto».
La frase è questa: «L’architettura è invenzione. Per me il cemento è il materiale naturale per costruire. Le origini dell’architettura — la prima curva, il primo arco, la prima cupola — ovviamente sono importanti, ma il cemento rende possibile qualsiasi cosa. Non riesco a togliermi dalla testa il cemento. Laddove è possibile, lo si deve usare con grande audacia. Ci attendono ancora tanti progressi».

Con lo spirito del grande architetto brasiliano a sorvegliare idealmente l’intero lavoro, Brandolini si è dunque messo all’opera, coinvolgendo due colleghi, il designer Mattia Luise e il webdesigner Luca Mattiuzzo, che si occupa anche di stampa 3D.
Dopo i primi bozzetti e alcune prove andate male, i tre sono finalmente riusciti ad arrivare a un primo prototipo, prodotto utilizzando un stampo in legno verniciato con la catramina (così da isolarlo dall’umidità del cemento, in modo tale da poter riutilizzare lo stampo) e una A stampata in 3D.

Il prototipo

(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)
(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)
(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)
(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)

Dietro c’è un gran lavoro, sia di progettazione che di produzione. «Cercando un po’ sul web ho trovato diversi progetti e tutorial di lettere in cemento, ma perlopiù di esemplari in positivo. Io invece volevo farle in negativo» mi ha detto Brandolini, che ha anche sottolineato una problematica che finalmente stanno riuscendo a risolvere: «Il cemento, asciugandosi, si espande, e non si riesce a tirar fuori intatta la sagoma della lettera così da poterla riutilizzare. Quindi stiamo lavorando a un altro sistema, con un esterno in gomma e un interno in plastica rigida: in questo modo, quando il cemento si è asciugato, puoi prima estrarre la parta rigida che sostiene il tutto, e poi puoi rimuovere agilmente la gomma».

L’intento è di arrivare a produrre una piccola collezione di cinque lettere entro novembre, scelte tra quelle più utilizzate nelle iniziali dei nomi. Ciascuna rappresenterà un carattere diverso e tutte quante saranno frutto di innumerevoli fine settimana passati a tirare linee, smanettare coi software, stampare e poi sporcarsi le mani con cemento e catramina, fino a rifinire il tutto.
«Chi glielo fa fare?». Nessuno, solo la voglia di giocare, e di mettersi in gioco. E — con buona pace di chi proprio non riesce a capire cosa ci sia di buono e di interessante in tutto questo — mi sembra più che abbastanza.

Il lavoro

(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)
(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)
(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)
(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)
(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)
(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)
(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)
(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)
(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)
(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)
(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)
(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)
(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)
(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)
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(courtesy: Ariel Brandolini / design-associati)
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