Per secoli il design dei caratteri tipografici è stato appannaggio dell’occidente — più precisamente del maschio bianco occidentale, come può confermare Yulia Popova. L’interesse per lo sviluppo di famiglie di font pensate per alfabeti e sistemi di scrittura non latini è molto recente, tanto che la prima fonderia tipografica a creare caratteri Unicode1 per la lingua hindi è nata solo nel 2009, si chiama Indian Type Foundry ed è stata fondata dal designer ceco Peter Biľak (che fa mille e mille cose, tra cui questa) insieme a un giovane studente indiano, Satya Rajpurohit.
«Ci sono molti caratteri prodotti in India, ma principalmente per supportare i pacchetti software, e quei caratteri non funzionano al di fuori di tali applicazioni. Aziende come Adobe realizzano software di progettazione da due decenni e parte del loro software è sviluppato in India, ma non è ancora possibile utilizzare Illustrator o Photoshop con gli script indiani (sebbene ora ci siano plug-in di terze parti che supportano l’India). Ciò ha a che fare con la complessità degli script indiani, la convinzione che non ci sia mercato per loro e un alto livello di pirateria. Le aziende più grandi trovano particolarmente rischioso investire di più nella tipografia indiana» dichiarò Biľak in un’intervista uscita nel 2010 su Eye Magazine.

Da allora la società — con sede ad Ahmedabad, metropoli di oltre cinque milioni di abitanti nella regione occidentale del Gujarat — è cresciuta enormemente, ha vinto innumerevoli premi e disegnato caratteri per i principali colossi mondiali, da Apple a Starbucks. Oggi sviluppa e distribuisce font per molteplici sistemi di scrittura, dall’hindi all’arabo, passando per il nostro alfabeto latino, e può contare su una squadra composta da decine di designer da tutto il mondo.
Parallelamente all’attività commerciale, la Indian Type Foundry da anni investe risorse in diverse attività pro bono: la creazione di font per lingue rare e quasi estinte, il fornire gratuitamente i propri font a studenti e studentesse, associazioni no profit e istituti di design, nonché la produzione di caratteri open source (il più celebre dei quali è il Poppins).
Ora quest’ultima attività è diventata un progetto a sé stante che si chiama Fontshare.
Lanciato appena qualche giorno fa, Fontshare è — scrivono da Indian Type Foundry — «un’estensione di questa ideologia, con l’obiettivo di andare ancora oltre e aiutare i marchi e le persone che non hanno il budget ma vogliono comunque accedere a bei caratteri tipografici».
Praticamente un quarto dell’intero catalogo della fonderia è ora liberamente utilizzabile, sia per uso personale che commerciale (prima di scaricare e usare, però, bisogna leggere bene la licenza).
Finora sono 50 i font disponibili, e aumenteranno col tempo. La qualità — trattandosi di una realtà ben strutturata e piena di talenti — è davvero altissima.