108, “in transito”, Press Press, novembre 2018 (courtesy: Press Press)

In Transito, un libro con gli sketchbook realizzati da 108 in 10 anni di viaggi in treno

Non avendo un auto, mi muovo in tre modi: a piedi, perlopiù, e quando cammino guardo e penso, cercando in realtà di pensare il meno possibile e di guardare e basta, guardare le cose, le cose come sono; poi vado in autobus, e lì si traballa e si cozza contro gli altri, che a loro volta cozzano contro di te, e traballando e cozzando guardo e penso, come sopra, ma un po’ più barcollante; per i viaggi più lunghi, infine, prendo il treno. In treno cerco per prima cosa di non lavorare, perché quello è un momento mio e solo mio e quindi mando a quel paese il mio capo — che sono sempre io, ma un po’ più antipatico dell’io che trova le scuse per non lavorare — e mi metto a leggere o a vedere le serie tv della BBC in costume oppure, quando ci riesco, chiudo gli occhi e tento di dormire. Se non leggo, non vedo le serie tv e non dormo, allora guardo e penso, ma a 300 km/h, che è un’altra cosa.

Guardare e pensare a 300 km/h significa soprattutto sbirciare gli altri, l’umanità che sfreccia con te lungo la pianura. Studiare cosa fanno, di cosa parlano, come occupano il tempo che è loro e solo loro, in quella breve parentesi di vita che passano, fermi eppure in movimento, lontani sia da casa che da scuola che dal lavoro (a parte quelli il cui mestiere è proprio star lì dentro), su un mezzo in cui non hai alcun obbligo a parte pagare il biglietto e non occupare i sedili degli altri.

108, “in transito”, Press Press, novembre 2018
(courtesy: Press Press)

La gente in treno parla, innanzitutto. Sempre meno con gli altri che condividono il medesimo, parentetico viaggio e sempre più, attraverso il telefono, con chi sta altrove, fuori dalla parentesi o dentro un’altra che va chissà dove. C’è chi non parla ma sta lo stesso attaccata allo smartphone. C’è chi si fotografa, chi si lamenta su Twitter, chi si lamenta su Facebook, chi legge il giornale, chi si trucca, chi mangia, chi si mangia le unghie, chi si taglia le unghie dei piedi (visto), chi attacca bottone, chi guarda il culo di tutte quelle che passano, chi sfila lungo i corridoi, chi ascolta musica e si addormenta, chi ascolta musica e fa finta di dormire, chi studia, chi lavora, chi sfoglia le riviste, chi sfoglia la rivista che danno in treno, chi guarda i film o le serie tv, chi cerca di far star fermi i figli piccoli, chi gioca col tablet, chi legge, chi guarda fuori, chi guarda fisso davanti a sé (quelli che ammiro di più, devono aver raggiunto una qualche forma di estasi), chi mette la bottiglietta d’acqua sul sedile e poi non lo vedi più perché ha deciso di passare il tempo al vagone ristorante.
Di tanto in tanto c’è pure uno che disegna. Quello (non indicare, non sta bene) è Guido Bisagni.

Guido Bisagni è un nome che ai più dirà poco. Un nome che se lo infili all’inizio di un romanzo e lo metti su un treno, intento a disegnare su un quadernetto, stretto tra una coppia madre-figlia che sta andando a Vercelli dallo specialista e il bancario col portatile che telefona e compila fogli excel, poi puoi fargli fare qualsiasi cosa, al Bisagni: coinvolgerlo in un divorzio drammatico, un rapimento che verrà sventato dal poliziotto seduto qualche fila più avanti, o una spy-story sul confine con la Svizzera.

108, “in transito”, Press Press, novembre 2018
(courtesy: Press Press)

In realtà, però, quel Guido Bisagni lì, quello seduto vicino al finestrino (di nuovo, non indicare), è 108, niente meno che uno dei più interessanti artisti contemporanei che ci siano oggi in Italia, uno che dalla fine degli anni ’90 ha attraversato le discipline e i generi, lavorando a sperimentazioni visive e sonore. Uno che ha contaminato i graffiti con l’astrattismo e — dai muri o con le installazioni, nelle gallerie d’arte come con gli interventi site specific — ha scritto il suo nome nella storia dell’arte internazionale degli ultimi anni.

Quel Guido Bisagni, 108, in treno fa i disegni, quei disegni “che vanno da soli”, praticamente in automatico, in cui non è il cervello che pensa e la mano agisce, ma la mano va perché sa quel che fa, come guidata da un’altra mano invisibile e superiore, e il cervello sta a guardare.
E quando non disegna, 108, sogna. Sognare e disegnare: due modi differenti per raggiungere — almeno per alcuni artisti, e Bisagni e tra questi — alt(r)i stati di coscienza. Una dimensione spirituale che è ben presente nelle sue opere, sparse per l’Italia e per il mondo, nelle quali esoterico ed exoterico, l’interiore e l’esteriore, il segreto e l’accessibile, si intrecciano, ma che esce fuori ancora più prepotentemente in un libro, 108 – In Transito, che raccoglie appunto disegni e sogni (rispettivamente 180 e 17) fatti in 10 anni di viaggi in treno.

108, “in transito”, Press Press, novembre 2018
(courtesy: Press Press)

Pubblicato dalla nuova realtà indipendente Press Press, di base a Milano, il libro — che vanta un’introduzione d’autore firmata da Dr. Pira, caro amico di sogni e di viaggi mentali di 108 — si sviluppa a frammenti, seguendo quasi una matrice onirica.

Prodotto in sole 250 copie numerate, stampato in serigrafia e risograph su carta Favini, con design a cura di Ilaria Pittassi e Press Press, si acquista online oppure, a Milano, presso Spazio Florida.

108, “in transito”, Press Press, novembre 2018
(courtesy: Press Press)
108, “in transito”, Press Press, novembre 2018
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108, “in transito”, Press Press, novembre 2018
(courtesy: Press Press)
108, “in transito”, Press Press, novembre 2018
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108, “in transito”, Press Press, novembre 2018
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108, “in transito”, Press Press, novembre 2018
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