L’hip-hop e l’arte del mixtape

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Se da una parte sarebbe scorretto dire che i mixtape — le compilation registrate un tempo su cassetta e in seguito su cd, prima della odierna e quasi definitiva “dematerializzazione” totale, coi pezzi da scaricare direttamente online — siano nati con l’hip-hop (visto che le cassettine con dentro le proprie personali classifiche o i pezzi da hit parade uno dietro l’altro esistono fin dagli anni ’60), dall’altra è corretto sostenere il contrario, e cioè che sia stato l’hip-hop a nascere coi mixtape.

Negli anni ’70, quando nelle metropoli americane i primi MC improvvisavano le loro rime su basi realizzate con frammenti isolati di pezzi di musica soul, funky, disco e jazz, la musica hip-hop era un genere che si poteva ascoltare essenzialmente dal vivo: per le strade, nei club, durante le feste. Fino al ’79, anno in cui uscirono i primi dischi, tra cui l’ormai mitologico Rapper’s Delight della Sugarhill Gang, l’unico modo per ascoltare hip-hop era trovarsi nel posto giusto al momento giusto — durante la performance di dj ed mc — oppure darsi da fare per trovare le cassette registrate dal vivo durante feste o concerti.

Fu attraverso le “cassettine” che l’hip-hop si diffuse inarrestabile per i ghetti, le strade, le cantine, i campetti, le case degli afroamericani di tutto il paese. Fu attraverso i mixtape che milioni di futuri rapper milionari impararono le tecniche, il sound, gli stili e linguaggi.
E anche quando da genere di nicchia esplose fino a diventare parte integrante della cultura pop e l’industria discografica iniziò a macinare palate di soldi con la musica (e talvolta sulla pelle) degli artisti più famosi, i mixtape non scomparvero: cambiarono semplicemente di ruolo e da bootleg diventarono lo strumento principale in mano ai giovani dj, mc e producer per farsi conoscere e un modo, per chi famoso lo era già, di poter sperimentare in totale libertà, senza le pressioni di manager ed etichette.

E per celebrare l’importanza di questa simbiosi tra mixtape e hip-hop, uscirà nei prossimi giorni un libro, The Art Behind the Tape, frutto di un lungo lavoro di raccolta di materiali, immagini, interviste (sono stati circa 90 i dj intervistati) portato avanti da Dj Mars, che attraverso le grafiche (da quelle super-spartane degli anni ’70/80 alle barocche e spesso tamarre photoshopperie odierne) e le storie di chi li ha prodotti o illustrati, ha raccontato un legame che va avanti da quasi quarant’anni

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