Re-union Veuve Clicquot #1: In viaggio per Goodwood

Come si fa a raccontare in poche parole – uno/due post al massimo – tutto ciò che è successo nei giorni che vanno dal 13 al 16 settembre? In testa ho un caleidoscopio di immagini ed emozioni e colori e luci; descriverlo con chiarezza, senza sembrare più esaltata del solito è difficilissimo.

C’è stata la tanto attesa re-union della mia famiglia Veuve Clicquot. Quelli della Maison Veuve Clicquot ci hanno invitati a sentirci parte della famiglia già nel settembre 2008, durante il primo viaggio che ho fatto in Francia insieme agli altri blogger, e devo dire che ormai è così che ci sentiamo con loro: una famiglia!
Quest’anno, mancava qualcuno e si aggiunto qualcun altro, senza prendere il posto degli assenti (proprio come si fa in famiglia). In buona sostanza ecco chi c’era a parte la sottoscritta:  Jean Aw di Notcot, Ami Kaeloha per CoolHunting, James Davidson editore di WeHeart, Costas Voyatzis di Yatzer, Nima Abassi di Syndicate Media che anche quest’anno si occupato dell’organizzazione, Stephane Gerschel direttore internazionale della comunicazione Veuve Clicquot e via via molti altri ancora di cui vi dirò.

Dei primi due giorni potrò parlare solo tra qualche settimana, quando sarà rimosso il sigillo di segretezza messo dal team Veuve Clicquot, ci hanno concesso un’anteprima mondiale con la promessa che avremmo rispettato il silenzio fino al 14 ottobre.

Quello che vi racconto adesso è invece ciò che ci è successo giovedì 15 e venerdì 16 settembre.
Udite udite, abbiamo partecipato alla Goodwood Revival, una manifestazione per patiti – beh la definizione più calzante sarebbe maniaci – delle auto d’epoca, che vestiti – meglio travestiti! – anni ’40, ’50, ’60, viaggiano a bordo delle loro vecchie, bellissime e scomode macchine per centinaia e centinaia di chilometri e si ritrovano al circuito di Goodwood ad ammirare, farsi ammirare, gareggiare a chi ha la macchina più bella e preziosa (pare ci fosse una Ferrari di 35 milioni di Euro) e perché no anche a correre. Per chi volesse saperne di più consiglio di dare un’occhiata al sito, io non ho intenzione di dilungarmi oltre per ora.

E quelli di Veuve Clicquot come hanno deciso di farci arrivare a Goodwood? Semplice gareggiando in auto d’epoca da Parigi fino a Ouistreham in Normandia e poi in ferryboat fino a Portsmouth.
Ecco a cosa ci servivano i pantaloni bianchi e il giubbotto di pelle nera: erano la divisa per il nostro team!
Quando ho letto il dress code, dettato da Stephane Gerschel, direttore internazionale della comunicazione Veuve Clicquot, per giovedì 15 settembre : pantaloni bianchi e giubbotto di pelle nera o pantaloni beige e giubbotto di pelle marrone, una parte del mio cervello non ha voluto credere a quello che leggeva. Non vorrà sul serio farmi passare una giornata intera vestita di bianco?! Io odio il bianco specie per i pantaloni ed il beige se è possibile è anche peggio.
Ormai però dovrei aver imparato la lezione fondamentale, mai sottovalutare quelli di Veuve Clicquot, con loro non si scherza…

Giovedì 15 settembre, undici macchine d’epoca ed i loro proprietari si sono materializzati sotto i nostri occhi nel cortile interno di un elegante condominio parigino. Essendo noi blogger sprovvisti di auto d’epoca (in alcuni casi proprio sprovvisti di auto), Stephane ha invitato i suoi amici a farci da driver e partecipare insieme a noi alla manifestazione, loro si sono prestati mettendo  a disposizione il loro tempo e le loro bellissime macchine.

Dopo colazione ed un breve briefing a casa di Rebecca Gerschel (moglie di Yves Carcelle presidente di Louis Vuitton), che ha partecipato con noi alla gara, siamo partiti con tanto di via, cronometro alla mano.
Il mio incubo privato si è materializzato alla velocità della luce, in una macchina del 1956, in cui anche entrare è un’arte e non basta piegare le gambe e poggiare il lato B sul sedile, ma si deve scivolare dall’alto ( non voglio immaginare a che tipo di latticino fresco assomigliavo io entrando in macchina inguainata dai miei pantaloni bianchi… una mozzarella che si tuffa nella panna?).

Vabbè dicevo in una macchina anni ’50, con un perfetto sconosciuto, senza cinture di sicurezza, con addosso gli odiati pantaloni bianchi, secondo i loro piani avrei dovuto anche indicare al pilota, seguendo un dettagliato Carnet de Route, le strade francesi in inglese, cercando di vincere oltre alla gara di velocità anche la seconda gara a chi individuava più monumenti tra quelli indicati sul Carnet lungo il viaggio.

Ma siete pazzi? E questo dovrebbe divertirmi?
Dire che sono stata antipatica come poche altre volte in vita mia è un eufemismo. Con il gentile Jerome Auzanneau , il mio primo pilota, ho esordito dicendo: non crederai sul serio che io ti indichi le strade, vero?
E poi sono stata zitta per due ore, mentre la bellissima Austin Healey 100 M del 1956 di Gerome lasciava Parigi alla volta di Lyons-la-Forêt, attraversando Clachaloze, Gommecourt, La Roche Guyon, Le Thil en Vexin e Chaussy posti bellissimi che io non mi sono neanche presa la briga di osservare bene visto lo stato in cui ero.
A ripensarci ora mi chiedo, chi era quella pazza esagitata e spaventata, muta per più di due ore seduta in quella macchina? Quella che al primo pit stop esaltata ha sbraitato a Stephane: avessi saputo che facevi sul serio con la gara, non sarei mai venuta!

Le macchine non mi interessano, questo è certo, non ne possiedo una e non guido. Di una vettura io noto al massimo la comodità dei sedili se il viaggio è lungo, nient’altro. Del resto non amo nemmeno l’ebbrezza della velocità, ma non ne ho mai avuto paura, non sono una che teme di farsi male e soprattutto non lascio mai vedere agli altri quando sono in difficoltà, allora che mi è successo? Che genere di creaturina isterica si è impossessata di me?

Chi ama le macchine d’epoca mi perdonerà per quello che dico, ma forse capirà anche più facilmente il punto. Ero fuori di me: seduta scomodamente (non è come stare seduta su un sedile di una berlina, non vorrete negare l’evidenza!), senza cintura di sicurezza in una macchina decappottabile, bassissima, ogni singola cellula del mio corpo, ogni singolo recettore poteva “sentire” il viaggio. Il rumore assordante del motore, l’odore intenso che ha impregnato vestiti e capelli per giorni, il vento in faccia che annodava i capelli anche se raccolti, il corpo che partecipava tutto al movimento della macchina… insomma tutto troppo per me. Sono andata fuori di testa! (Sorry Gerome, for my awful behaviour!)

Per fortuna e grazie alla bravura di Gerome al volante, nonostante la totale assenza di collaborazione da parte mia, siamo arrivati (secondi) a Lyons-la-Forêt, un pittoresco paesino della Normandia dove abbiamo pranzato all’ Hôtel La Licorne, anestetizzando la mia follia con diversi bicchieri di champagne, mi sono un po’ calmata , godendomi il cibo e la piacevole compagnia.

Non ho mai amato molto gli uomini che prestano troppa attenzione alle macchine, anche perché la loro restante attenzione è rivolta – quasi sempre – a bionde 50Kg x 1,80m… ma devo dire che durante questo viaggio almeno in parte mi sono ricreduta.

Ancora un po’ scombussolata dalla mattinata on the road apprendo che devo cambiare macchina e pilota. Sospetto che sia stato il mio pilota a proporre il vantaggioso (per lui) scambio, avrà pensato chiunque è meglio dell’italiana pazza, muta e nullafacente. Mi si presentano due opzioni la bellissima Jaguar XK120 Roadster – 1950 di Etienne Raynaud o la Innocenti Mini di Gautier Rossignol, opto per la Jaguar coupé. Non voglio stare al chiuso, la mia vena folle non ancora pacata ha bisogno di aria, inoltre è proprio Etienne ad aver scritto il Carnet de Route, non avrà certo bisogno che io gli indichi alcunché!

Il viaggio ricomincia, attraversando Charleval, Pont St Pierre, Amfreville, Herqueville, Les Andelys Venables, Ingremare Hameau e Acquigny arriviamo per primi (e si a questo punto comincio a sentire l’agonismo) allo Château du Champ-de-Bataille, un castello barocco del XVII secolo recentemente restaurato per volontà del suo proprietario l’architetto francese Jacques Garcia (per intenderci l’interior designer dell’ Hôtel Costes a Parigi, Fouquet’s e Le Normandy in Deauville). L’architetto in questione non è certo quello che si può definire un signore dai gusti modesti, da una ventina di anni infatti, si sta facendo costruire uno dei giardini privati più grandi del mondo… al cospetto anche quello della Regia di Versailles temo impallidisca. Troppo! Ai limiti dell’assurdo. Non mi piace per nulla questo posto, l’ostentazione diventa fastidiosa, ma la passeggiata e le risate mi rilassano. Altri due bicchieri di Veuve Clicquot prima di ripartire fanno il resto.

Tornata in macchina sono finalmente pronta a godermi l’esperienza, ci prendo proprio gusto e la paura della mattina si trasforma in adrenalina ed entusiasmo. I panorami mozzafiato delle rive della Senna, il rosso del sole al tramonto, la bellissima Normandia (che vi consiglio di visitare, io spero di tornarci presto, magari senza gare e cronometro) insomma il momento diventa magico ed io mi godo perfino la velocità: il mio pilota vuole vincere ed io finalmente concordo!

Arriviamo per primi ad Ouistreham, cittadina celebre per i fatti della seconda guerra mondiale e porto da cui salpano molte ferryboat per il Regno Unito. Dopo una cena a base di frutti di mare e Veuve Clicquot a l’Hotel le Saint Georges, un brasserie molto nota ad Ouistreham, siamo pronti per imbarcarci, con centinaia di altre bellissime auto d’epoca, su Le Britagne.
Domani conoscerete il resto!

Le foto sono di Xavier Lavictoire.

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