Ritratto di Riccardo Falcinelli (foto e © Piero Gemelli)

Riccardo Falcinelli: giudicare dalla copertina

Il lavoro di Riccardo Falcinelli è caratterizzato da un grandissimo amore nei confronti della parola, soprattutto la parola scritta. È un progettista che si è specializzato nella grafica editoriale, lavorando per alcuni tra i maggiori editori italiani, tra cui Einaudi, Laterza, Harper Collins, Carocci, SUR, minimum fax, Zanichelli. In una qualsiasi libreria è praticamente impossibile non incrociare almeno una copertina uscita dal suo studio.
Molto attento agli aspetti teorici della comunicazione visiva, ha pubblicato diversi saggi, molti dei quali hanno avuto un grande successo di pubblico: tra i quali ricordiamo Critica portatile al visual design” (Einaudi, 2014) o Cromorama: come il colore ha cambiato il nostro sguardo (Einaudi, 2017)

Ho incontrato Riccardo Falcinelli nel suo studio a Roma in una bellissima giornata di febbraio.


Einaudi, Stile Libero, 2021.
Einaudi, Stile Libero, 2019.
Einaudi, Stile Libero, 2011.
Einaudi, Stile Libero, 2015.

Insomma, i libri ti piacciono molto.

Sì, assolutamente. Dico a volte che se non avessi fatto il grafico avrei fatto l’editore. Mi piace l’editoria, amo il mondo dei libri. Alla grafica ci sono arrivato per coincidenze della vita, ma non è un caso che oggi abbia a che fare con l’editoria.

Einaudi, Stile Libero, 2010.

Per il design del prodotto sono fondamentali le figure dei Maestri, professionisti che sono diventati punti di riferimento importanti, spesso imprescindibili. Tu hai dei “maestri” nel campo grafico?

Trent’anni fa avrei potuto dire di avere dei maestri, oggi non è così: ho delle figure importanti a cui faccio riferimento ma sono diventati sicuramente meno presenti. Per me “maestri” sono stati Saul Bass e Milton Glaser per il mondo dell’illustrazione, sono stati poi importanti gli scritti di Munari e per l’editoria i lavori di Germano Facetti. Fondamentale poi è stato Pierluigi Cerri, poco conosciuto dai non addetti ai lavori, ma è stato un gigante: lavorava sul dettaglio, sui piccoli elementi, ed è per questo che risulta ai nostri giorni poco seduttivo, è per questo che non viene capito.
Oggi si preferisce la grafica ad effetto, mentre lui lavorava su un’idea visiva strettamente editoriale, elegantissima.
Ad ogni modo credo che i maestri servano soprattutto quando sei giovane: e io non lo sono più, quest’anno compio cinquant’anni.

Laterza, Economica, 2017.

A proposito di punti di riferimento, la scuola svizzera è stata una filosofia progettuale importantissima per la grafica: è nata nel secondo dopoguerra e ha richiesto ai designer di produrre elaborati chiari, di facile leggibilità, razionali. Secondo te questi principi sono validi ancora oggi?

L’idea che quella fosse la forma più efficace di comunicazione è un falso, la scuola svizzera aveva un approccio presuntuoso alla progettazione: può funzionare per alcuni progetti molto molto specifici ma non per tutti. Ad esempio la scatola dei corn flakes Kellog’s è certamente più bruttina dei lavori “svizzeri” di Müller-Brockmann o Vignelli, ma rimane più efficace per quel tipo di prodotto e per il contesto in cui si inserisce.
La grafica razionalista in fondo chi la usa più? Se uno va in strada e guarda i manifesti, o su Netflix o nei supermercati, dove sta la grafica svizzera? Non c’è.
È stato uno stile forte che corrispondeva ad un determinato momento storico. Il malinteso è stato pensare che il razionalismo fosse veramente razionale, seguiva invece il gusto di un’epoca e l’idea puramente teorica di una società che non esiste nella realtà.

Einaudi, Stile Libero, 2004.

E infatti alla fine del secolo scorso si è messo in discussione questo approccio rigoroso al progetto grafico: si riconosceva alla scuola svizzera di essere stilisticamente ineccepibile ma la si accusava allo stesso tempo di non emozionare. Alcuni grafici hanno sperimentato approcci più autoriali, più speculativi. L’obiettivo questa volta era emozionare. Illustri esempi sono stati David Carson o Stefan Sagmeister.

Sagmeister e Carson hanno un approccio diciamo molto “artistico” alla grafica: ci sta ed è una delle possibilità espressive che la disciplina ti permette. Sia per la scuola svizzera che per questo modo performativo di intendere la grafica l’errore è credere che esista un tipo di progettazione che vada bene per tutto. Ogni grafico sceglie la sua grafica ma anche ogni grafica deve corrispondere ai suoi committenti e ai suoi clienti.
Con il metodo di Sagmeister non ci puoi fare tutto: se lavori per la farmaceutica non puoi permetterti quel tipo di linguaggio. Allo stesso modo non puoi utilizzare la grafica svizzera per fare la pubblicità dei thriller per Netflix.
L’errore, ripeto, è credere che la grafica sia una cosa sola, che esista un approccio migliore di un altro e che quello possa rispondere a qualunque forma di comunicazione.

Laterza, Solaris, 2015. Illustrazione di Boris Hoppek.
Laterza, i Robinson, 2009. Illustrazione di Riccardo Falcinelli.
Laterza, i Robinson, 2011.

Tu oggi potresti mai lavorare per clienti o prodotti dei quali non condividi le idee?

È successo, gli ho detto che non avrei progettato per loro. Mi avevano ad esempio chiesto di fare un catalogo di armi: ho rifiutato. Questo non vuol dire che io lavori solo con chi la pensa esattamente come me, anzi. Però cerco di relazionarmi con quei committenti con cui mi trovo a più mio agio.

Eleuthera, 2019.
Eleuthera, 2017.

Per secoli i libri non hanno avuto copertine, erano anonimi con al massimo il titolo inciso. Oggi a cosa servono le copertine dei libri? Perché hanno assunto così tanta importanza?

Le copertine servono prima di tutto ad orientare i lettori: ogni anno in Italia vengono pubblicati migliaia di volumi, il pubblico a colpo d’occhio riconosce, senza concettualizzare, qual è un saggio filosofico, un libro di cucina o un thriller, solo dal tono grafico, senza neppure leggere i titoli, e così all’interno di una libreria si orienta.
In secondo luogo i libri servono a far intravedere quello che può raccontare un libro, la storia, l’atmosfera.
E infine la copertina serve anche a costruire un oggetto per abbellire delle case: pochi lo tengono in considerazione, ma se il libro è un oggetto allora la grafica editoriale è anche una forma di arredamento.

Sur, BigSur, 2016.
Sur, BigSur, 2015.

Per fare una copertina è meglio prima avere letto tutto il testo o è invece meglio averne solo una traccia?

Dopo tanti anni posso dirti che la cosa migliore è non leggere tutto lo scritto. Fondamentale è invece parlare con una persona che il libro lo conosce bene, può essere l’editor o il direttore editoriale: la cosa più importante è che te lo sappia raccontare, sappia quindi trasferirti la temperatura del racconto, che ti faccia capire l’atmosfera. Quel tipo di mediazione è la cosa che produce le copertine migliori.

L’editor quindi, non l’autore dell’opera?

Esatto, l’editor. Colui che ha scelto e seguito il libro è molto meglio dell’autore nel fare sintesi e dirti le cose fondamentali sui contenuti.
Al grafico serve una suggestione veloce e gli autori spesso non sono in grado di tirarla fuori, sono troppo dentro alla storia che hanno scritto. Non hanno la capacità di condensare la loro opera in un’unica immagine.
Questo vale anche per me. Quelle volte che avevo già letto i libri prima di progettarli non ho prodotto la grafica migliore, soprattutto quando il libro mi ha coinvolto molto: spesso mi sono innamorato di un particolare che ho messo in copertina ma che non era così importante nel contesto generale.

Carocci, Quality Paperbacks, 2015.
Carocci, Bussole, 2014.

Il Garamond è il carattere in assoluto più utilizzato nei testi di narrativa. Mi spieghi il perché? Cos’ha questo carattere rispetto agli altri?

Il lettore per poter leggere senza fatica ha bisogno di consuetudini consolidate. Se tu vuoi leggere una cosa come I fratelli Karamazov, ti devi trovare comodo, e da questo punto di vista il Garamond è l’equivalente di una pantofola: le persone lo conoscono bene, sono abituate a quelle “scarpe” e per questo lo leggono velocemente. Possiamo dire che i lettori forti sono tipograficamente molto conservativi, amano utilizzare le pantofole che hanno da sempre.
Ci sono poi delle questioni tecniche, ci sono diverse famiglie di Garamond ma generalmente hanno un numero sufficiente di irregolarità che permette una forte facilità di lettura. Ad esempio la “b” e la “d” non hanno lo stesso disegno rispecchiato come invece capita con tanti lineari.
I Garamond hanno tante variazioni e poco contrasto. Il Bodoni ad esempio è un carattere bellissimo, ma è talmente contrastato nel rapporto tra le aste e le grazie che risulta più faticoso da seguire. Attenzione però, al primo posto rimane sempre l’abitudine: amiamo il Garamond perché siamo abituati a leggerlo.

Minimum Fax, Sotterranei, 2013.

E qual è secondo te la possibile evoluzione del libro di carta?

Per ora l’evoluzione del libro cartaceo è il libro cartaceo. Il libro di carta sta andando benissimo, non se ne sono mai comprati e letti così tanti come in questi anni: la carta rimane per ora il miglior supporto dove leggere.

Einaudi, Stile Libero, 2014.
Einaudi, Stile Libero, 2017.
Einaudi, Stile Libero, 2020.

Sto andando in giro per cercare di capire se esiste una grafica italiana. Secondo te esiste? E se esiste che caratteristiche ha rispetto ad altri paesi?

Quando ero a Londra per il lancio di Cromorama in inglese, i grafici di Penguin hanno visto le mie copertine e mi hanno detto: “eleganti, si vede che sono italiane”. Evidentemente hanno notato delle cose che io non vedo perché ci sono troppo dentro.
Quindi la mia risposta è sì, esiste sicuramente una grafica italiana, ma se vuoi qualcuno che ti spieghi le caratteristiche, che ti dica da cosa si distingue dalle altre, dovresti chiederlo ad uno straniero, a qualcuno che guardi da fuori.

Grazie Riccardo.

Grazie a te Tommaso.

Einaudi, Stile Libero, 2016.
Harper Collins, 2020.
Sur, BigSur, 2017.
editorialista
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