Still Life: una meditazione in forma di animazione sul dualismo soggetto/oggetto

Il corto è stato realizzato usando solo antiche incisioni, poi digitalizzate e rese disponibili a chiunque

C’è un aneddoto che racconto spesso, e riguarda un’epifania che ho avuto prendendo in mano un paio di occhiali. Non degli occhiali qualunque, ma quelli appartenuti a Giorgio Morandi. Era un freddo giorno di gennaio del 2016 e io, Pietro Corraini e Germana Luisi eravamo a Crevalcore, a casa di Carlo Zucchini — che fu amico personale del grande pittore ed è garante della donazione Morandi presso il Comune di Bologna — a fotografare gli oggetti che sarebbero poi finiti nel libro Una straordinaria normalità, che ho avuto l’onore di curare.
Stavamo destreggiandoci tra sfondi e luci, e avevamo già scattato foto a vasi, bottiglie, scatole di latta, tubetti di colori a olio, bicchieri, posacenere, quando iniziò una sorta di escalation di oggetti personali: un orologio da taschino, un rasoio Gillette, e poi loro: gli occhiali.

Ricordo chiaramente Carlo che li passava con fare noncurante (chissà quante volte li avrà tenuti in mano) a Pietro, il quale, accorgendosi cosa aveva appena stretto tra le dita, si irrigidì visibilmente, cambiando la presa, impostando inconsapevolmente ogni muscolo del suo corpo in assetto “cautela” e fissandoli quasi come se lì, poggiati sui palmi delle sue mani, avesse non dico il Sacro Graal, ma almeno il martello da carpentiere di Yosef, Giuseppe, il padre di Gesù.
Avevo appena finito di fotografare una scatola di colori con su scritto a matita un grande “1942”1, e Pietro si avvicinò e disse semplicemente «guarda».
Guardai, e ci volle un attimo perché quegli occhiali, da semplici occhiali da vista tondi, dalla montatura rossa, consunti dal tempo, apparissero per ciò che erano veramente: “gli occhiali di Morandi”, che lui, proprio lui aveva indossato, attraverso i quali aveva guardato il mondo, dipinto alcuni dei più grandi capolavori del ‘900, realizzato meravigliose incisioni. Gli occhiali con cui leggeva, quelli che la sera si toglieva e metteva sul tavolo prima di coricarsi su quel suo lettuccio troppo piccolo.
In quel momento si illuminarono. Un’aura li avvolse, e mi fu finalmente chiara tutta la questione degli “strati di significato” che si depositano sugli oggetti, e la loro intrinseca potenza — «il soggetto è fragile, non potendo che desiderare, mentre l’oggetto si fa forte proprio dell’assenza di desiderio» scriveva Baudrillard in Le strategie fatali.

Pensando agli occhiali di Morandi io non visualizzo solo dei dispositivi per correggere i difetti della vista. Dentro di me richiamo ciò che so di colui che li aveva indossati, i suoi quadri, la mappa mentale che ho fatto del suo studio (ricostruito perfettamente a Casa Morandi), tutte le storie che mi aveva raccontato Carlo su di lui e la sua famiglia, e ovviamente il puro valore economico di quella reliquia. Richiamo, insomma, un insieme di oggetti e di relazioni, a loro volta simboleggiate da altri oggetti, i quali rimandano ad altri oggetti ancora, e così via, in un vorticoso flusso di connessioni.
Ciò che facciamo, è pensare continuamente agli oggetti, e per oggetti.
«Un mondo di oggetti vive dentro di noi» dice il giornalista e filmmaker statunitense Conner Griffith, che ha recentemente prodotto un corto d’animazione sperimentale che si chiama Still Life, uscito poche settimane fa su Vimeo.

«La nostra capacità evoluta di dare un senso al nostro ambiente ha plasmato la nostra esperienza percettiva, chiedendoci di dividere il mondo in “byte” intelligibili distinti. Man mano che la tecnologia ci ha spinto attraverso la modernità e oltre, gli oggetti della nostra vita sono stati sepolti da strati di significato, astratti fino a quando la nostra esperienza intersoggettiva condivisa è diventata il nostro unico senso della realtà. Still Life adotta un approccio poetico per esplorare queste idee. […] Il film è un tentativo di lavorare con l’insieme degli oggetti come una sorta di linguaggio, per raccontare una storia di coscienza» spiega il regista, che ha costruito la sua opera utilizzando unicamente antiche incisioni del ‘700 e dell’800, provenienti da diverse fonti e pubblicazioni — tra cui la Iconographic encyclopaedia of science, literature, and art di Johann Georg Heck (sulla quale aveva già lavorato pure Nicholas Rougeux), The Complete Encyclopedia of Illustration, sempre di Heck, l’infinita collana Dover Pictorial Archive della casa editrice Dover Publications, che da decenni raccoglie in volumi tematici illustrazioni ormai libere da copyright, The Deberny Trpe Foundry, il Webster’s Illustrated Dictionary e il celebre manuale di anatomia ottocentesco Gray’s Anatomy, illustrato da Henry Vandyke Carter — e poi digitalizzate.

Sono oltre 1000 le singole immagini impiegate, e la cosa particolarmente interessante è che poi Griffith ha deciso di rendere disponibili a chiunque le scansioni che ha realizzato. Le ha messe in una cartella che si può liberamente scaricare, scrivendo «tutte queste stampe sono di pubblico dominio e possono essere utilizzate per qualsiasi cosa vi venga in mente. Spero che questo set di oggetti sia utile per un’ampia varietà di approcci creativi».

Fotogramma dal corto “Still Life”, di Conner Griffith, 2022
Fotogramma dal corto “Still Life”, di Conner Griffith, 2022
Fotogramma dal corto “Still Life”, di Conner Griffith, 2022
Fotogramma dal corto “Still Life”, di Conner Griffith, 2022
Fotogramma dal corto “Still Life”, di Conner Griffith, 2022
Fotogramma dal corto “Still Life”, di Conner Griffith, 2022
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