Molte delle tecnologie e delle antiche tradizioni del Giappone — la produzione della carta, la xilografia, la scrittura per logogrammi, solo per citarne alcune — sono state importate dalla Cina attraverso la penisola coreana.
Anche l’abaco ha seguito il medesimo percorso, sebbene con qualche tappa in più. Presumibilmente di origine mediterranea, questo strumento si è diffuso in Cina già a partire dal IV secolo a.C., conosciuto come suanpan. Attorno al ‘300 giunse nella terra dei samurai e degli shōgun, dove prese il nome di soroban, letteralmente “vassoio di conteggio”.
Rimasto per molto tempo a uso quasi esclusivo dei mercanti e degli amministratori, il soroban entrò in maniera più capillare nella cultura giapponese nel ‘600, restando per quasi quattro secoli il principale dispositivo di calcolo, tanto nelle scuole quanto nelle cancellerie e negli uffici delle aziende. Pian piano furono sviluppati metodi di calcolo differenti da quelli cinesi, e la struttura stessa dell’abaco cambiò fino a raggiungere la forma attuale, costituita da un numero dispari di colonne (in genere sono minimo sette), ciascuna con cinque anelli (solitamente a forma biconica), quattro dei quali valgono uno, e uno, separato dagli altri da una barra, di valore cinque (qui c’è un video che spiega bene come funziona e come si fanno delle semplici addizioni sul soroban, mentre già nel ‘600 venivano pubblicati libri che illustravano i vari metodi di calcolo).
Con la fine del sakoku — le politiche di autarchia e isolamento internazionale che tennero il Giappone separato dal resto del mondo fino alla metà dell’800 — e con l’introduzione di nuove tecnologie dall’occidente, il soroban conobbe un lento declino, senza tuttavia diventare mai del tutto obsoleto. Ancora oggi, infatti, viene utilizzato. Soprattutto in ambito scolastico, dove è riconosciuto come uno strumento capace di favorire lo sviluppo di grandi capacità di calcolo mentale, e non solo.
Come per molti degli strumenti tradizionali giapponesi, anche l’abaco ha contribuito alla nascita di un artigianato altamente specializzato e di relativi distretti di produzione. L’odierna prefettura di Nagasaki fu la prima a dedicarsi alla costruzione dei soroban. Successivamente fu la città di Otsu — molto vicina a Osaka e soprattutto a Kyoto, che fu la capitale del paese fino al 1868 — a vantare le maggiori e più rinomate aziende e botteghe di abachi.
Oggi le zone dedicate alla costruzione dei soroban sono due: la piccola cittadina di Okuizumo, nella prefettura di Shimane, dove si produce il cosiddetto Unshu soroban, e Ono, prefettura di Hyogo, celebre, invece, per il Banshu soroban. I due modelli si distinguono tra loro principalmente per le essenze legnose usate e per i metodi di realizzazione.
Un video, prodotto da Aoyama Square — negozio e galleria di Tokyo che da anni promuove il meglio dell’artigianato giapponese — mostra le varie fasi di tutto il lavoro che c’è dietro a un Bashu soroban.
Come per tutti i filmati di questo genere, ne consigliamo caldamente la visione.