È ora di mandare in tilt il concorso per illustratori di Tapirulan

C’era una volta Peppe. Che in realtà non si chiamava Peppe ma Michele, però tutti lo chiamavano così perché Peppe era il nome di suo padre (che a sua volta non era esattamente Peppe ma Giuseppe), e tante volte capita, nei paesini, che a forza di «chi è quello?», «è il figlio di Peppe», «chi è quello?», «il figlio di Peppe», alla fine diventi Peppe pure se ti chiami Michele. A lui stava bene: a scuola era Michele, a casa era Michele, ma fuori diventava Peppe, il personaggio con l’aria sempre sorridente, il cuore gentile, i polpacci da ciclista e doti innate da showman. Persino i suoi, raccontava, talvolta confondevano l’alter ego pubblico con il Michele privato, un Michele che forse nessuno di noi, al circoletto del paese, ha mai conosciuto davvero.

Peppe aveva qualche anno meno di me (ce li ha ancora, ma racconto tutto al passato perché da anni ci vediamo poco, lontani un paio di centinaia di chilometri come siamo, e soprattutto perché ho sempre pensato che lui — e con lui intendo Peppe, non Michele — stesse meglio dentro a una fiaba che nella realtà).
Peppe, dicevo, aveva qualche anno meno di me ed era un drago a flipper. Il migliore che avessi mai visto, e fino a oggi non ne ho mai conosciuto uno al suo livello. Nessuno sa di preciso come e quando cominciò la sua ascesa all’olimpo dei flipperisti, ma un certo punto i record erano tutti i suoi, e le partite che giocava diventarono degli spettacoli, tutti riuniti lì attorno a vederlo accumulare punti su punti, alle tre del pomeriggio come alle undici e mezzo del sabato sera. Stavi al bancone a bere una birra, sentivi lo stack secco di quando il flipper ti dà un vita in omaggio, e sapevi che era Peppe che stava giocando dietro alla lunga porta a soffietto che separava la stanza dei videogiochi e del biliardino dal resto del circolo.
Lui, concentratissimo ma pur sempre mattatore, era capace di intavolare conversazioni, cantare, fare spettacolini mentre nel frattempo dava filo da torcere a circuiti e lucine. Con una sola moneta poteva andare avanti ore (non di rado, se aveva altro da fare, usciva dalla porta a soffietto annunciando di aver lasciato 4, 5, 6 vite lì ad attendere il prossimo o la prossima che avesse avuto voglia di giocare) e, per quanto ne so, non lo faceva solo nel nostro circolo ma anche “in trasferta”.

L’abilità di Peppe, oltre a capire immediatamente “la storia” del flipper (ciascuno ha la sua, con le relative regole) e ad avere una coordinazione occhio-mano di livello superiore, stava nel tilt. O meglio, stava nel non mandare in tilt la macchina.
Come chiunque sa, basta davvero poco — inclinarlo, colpirlo con troppa forza — per mandare in tilt un flipper, ma Peppe era in grado di assestargli i colpi nel punto giusto e con la forza giusta per deviare la palla senza far spegnere tutto. Colpetti di mano, di polso, d’avambraccio, di ginocchio, d’anca. Tac, tac, tac. In certi momenti sembrava una danza.
Era, la sua, me ne sono reso conto solo molti anni dopo, una silenziosa lezione di vita. Quel sorriso e quel modo leggero e sincero di prendere le cose erano parte dei motivi per cui eccelleva a flipper, che tra le sue mani diventava metafora dell’esistenza: stare concentrati senza prendersi troppo sul serio, osservare bene per capire come funziona, e dare una bottarella e qua e là, precisa e decisa ma non troppo traumatica, per evitare di andare in tilt.

Perché racconto tutto questo?
Due motivi: il primo è perché in tilt mi è capitato di andarci diverse volte. È sempre in agguato, nel lavoro come nella vita privata, e quando capita non puoi far altro che aspettare che le cose ripartano. Pure Peppe, le rarissime volte in cui gli succedeva, non cedeva alla rabbia: tirava fuori un sorriso e ricominciava.
Il secondo è che tilt è il tema del grande Concorso per illustratori di Tapirulan, arrivato alla diciottesima edizione, con in palio una mostra collettiva per 52 opere selezionate, un premio di 2500 Euro per quella vincitrice e di 500 Euro per quella scelta dalla giuria popolare. Ogni anno partecipano centinaia di artiste e artisti di tutto il mondo e, secondo me, soprattutto in periodo come questo, in cui sembra che tutto congiuri per mandarti in tilt, la storia di Peppe può essere d’ispirazione per qualcuna o qualcuno di loro.

C’è tempo fino al 10 novembre 2022 per partecipare.
Qui ci sono tutte le informazioni.

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