Bisticci | Facciata

C’è stato un tempo in cui il foglio protocollo era la misura di un bel po’ della mia vita: quanti ne consumavo durante il rituale periodico dei compiti in classe mi dava velocemente il senso della possibile buona riuscita della verifica.
Quanti fogli di brutta erano la misura dell’impegno in generale, poiché contavano quanto tempo avessi impiegato per davvero a controllare nuovamente i calcoli o gli errori di scrittura, quanti fogli di bella erano la rappresentazione istantanea dell’avvenuta sintesi, o della copiosa grafomania.
Facciata dopo facciata, procedevo verso quello che sarei diventato, e verso un’epoca in cui di fogli se ne vedono sempre meno.

La parola che vi propongo, cari lettori, e il bisticcio in cui la inserisco, è proprio questa: facciata. E sta qui non tanto a ricordare il bonus del 110% per le ristrutturazioni edili che tante antiche facciate sta imbottendo di polistirolo, bensì a celebrare il percorso umano che di foglio in foglio, e di craniata in craniata, porta a scoprire nuove cose e, sostanzialmente, a crescere.

Voglio essere più preciso: con questa parola voglio celebrare il design (e qui il nostro Tommaso Bovo dovrà sopportare le mie imprecisioni), e quella ricerca specifica che è fatta di anni di falsi positivi, strade sbagliate, ore passate a tracciare idee e buttar via tutto per ripartire da capo.
Una facciata di un foglio di brutta, una frase scritta di getto che diventa di una campagna pubblicitaria mondiale, 10 linee a biro che possono trasformarsi in un oggetto iconico o stimolare un modo del tutto nuovo di produrre vestiti, o palazzi.

Celebro gli appunti, i falsi positivi, i guizzi del cervello, gli errori di riporto nel far di conto, le biro scariche e i retri di fogli già stampati. Celebro tutte le volte che sbattiamo la faccia contro qualcosa che credevamo giusto, e invece era sbagliato.

E poi fatemi celebrare le facciate che la nostra piccola bimba tira involontariamente sul petto a me e Roberta ogni volta che la teniamo in braccio con la testa verso l’alto: ancora scoordinata come tutti i bebè, e con i muscoli del collo non troppo abituati a sorreggere la scatola cranica, si muove e finisce con far cadere la faccia in avanti. Noi sentiamo il suo naso schiantarsi contro di noi, e capiamo che sarà solo attraverso quei tentativi, protetti da noi che le stiamo affianco, imparerà a tenere alta la testa. Imparerà, speriamo, ad abbassarla il meno possibile.

POST SCRIPTUM. Questo bisticcio è andato alla Reber R41, azienda storica che produce i caratteri trasferibili che uso per fare il miei quadretti. Hanno rilanciato il proprio store online (che trovate qui) da cui potete acquistare oggetti di una bellezza rara e i font digitali di Aldo Novarese.

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