Cresciuta in un mondo in cui fotografare significa usare uno smartphone — o schiacciare il bottone di una reflex o una compatta digitale — e poter scattare un numero potenzialmente infinito di volte, la nuova generazione che ha riscoperto la fotografia analogica lo ha fatto mossa da una reazione all’immaterialità del digitale, alla ricerca di un processo più fisico, più limitante, più lungo (celebrare la materia e ridare valore al tempo è il minimo comun denominatore di tutti i “ritorni” al passato che vanno per la maggiore: la tipografia, la ceramica, i long form delle riviste cartacee e, appunto, la fotografia analogica).
Ma a contribuire a questa rinascita c’è anche un altro fatto: nella maggior parte delle case c’è almeno una vecchia macchina fotografica a pellicola rimasta in un cassetto o su una mensola a prender polvere. È così che hanno cominciato in molti — fammi vedere ‘sto apparecchio. E una volta presi nella rete della curiosità, prima, e della passione, poi, tanti vanno avanti e non si fermano più, continuando a sperimentare con i rullini e ad accumulare fotocamere comprate nei mercatini o in rete.
Capita spesso, quindi, che i fotografi diventino collezionisti di macchine fotografiche, acquistate per essere utilizzate e non tenute in una teca. Ed è proprio ad appassionati e collezionisti che si rivolge un libro come Retro Cameras, pubblicato da Thames & Hudson.
Scritto e curato da John Wade, fotografo, giornalista (è stato per sette anni direttore della rivista inglese Photography) e collezionista, Retro Cameras raccoglie più di 100 modelli del passato, andando a coprire quasi un secolo di storia e tecnologia, e spaziando tra 13 formati, dalle reflex 35mm alle fotocamere istantanee.
Oltre alle informazioni storiche e tecniche, accompagnate da tante immagini realizzate appositamente per il libro, Retro Cameras presenta anche dritte per collezionisti e consigli per fotografare.