Progettato dall’allora designer freelance Max Miedinger, l’Helvetica ha compiuto 60 anni l’anno scorso. Non fosse un carattere tipografico — e per giunta uno che da decenni è tra i più utilizzati in assoluto — sarebbe quasi in età da pensione, avrebbe uno stuolo di nipotini (quelli, effettivamente, ce li ha) e se ne starebbe serenamente a invecchiare in qualche amena località di provincia.
Ma che aspetto avrebbe un font segnato dal tempo che passa? Hanno provato a immaginarlo i designer dello studio inglese Spin, che per il secondo numero della loro omonima rivista di avventure e sperimentazioni tipografiche (qua abbiamo parlato del primo numero) hanno pensato all’Helvetica passare le sue giornate, come una sorta di Dorian Gray, «in una soffitta polverosa di Zurigo. Sbiadendo delicatamente in un antico cassetto in legno pieno di caratteri per Letterpress, invecchiando costantemente nel corso degli anni, diventando avvizzito e consumato. Sempre più esaurito dall’abuso sconsiderato e incurante di ogni designer e dall’uso incessante».
E questo è solo l’inizio, perché nelle 52 pagine del magazine, in cui le lettere vengono disegnate dai corpi e dalle teste, dal nastro adesivo e dalla polvere, Helvetica è anche protagonista di un altro servizio nel quale, come novelli dottor Frankenstein, i designer di Spin sezionano i caratteri e ne riassemblano le “membra” per riportarli in vita in forma mostruosa, dimostrando come anche una disciplina seria e rigorosa come il type design possa tirare fuori cose davvero molto interessanti anche grazie all’ironia e a un pizzico di follia.

(fonte: Unit Editions)

(fonte: Unit Editions)

(fonte: Unit Editions)

(fonte: Unit Editions)

(fonte: Unit Editions)

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(fonte: Unit Editions)

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