La storia di Printed Matters l’ho già raccontata qualche mese fa, in occasione dell’uscita del primo numero: un designer britannico, John Coe, affascinato da un progetto fotografico sui cosiddetti maker, decise di iscriversi a un corso di tipografia e di mettersi a studiare tutti i processi di stampa, a scavare in quel mondo complesso e meraviglioso, decidendo infine di dedicare una rivista a questa sua nuova passione.
«Questo magazine», scriveva Coe nell’editoriale che apriva la prima uscita, «è il risultato di tanto scavare. Un esercizio di coraggio, di non esser spaventati nel fare anche le domande più ovvie — alcune delle quali hanno portato a sincere amicizie e collaborazioni ed hanno aiutato a gettare una luce su alcuni favolosi stampatori locali e internazionali».
E dopo l’ottimo successo del numero d’esordio, ecco il secondo, in cui si parla, tra le altre cose, di cianotipia, di letterpress, di come vengono prodotti i colori, con tante interviste ad artisti e impressori, approfondimenti sulle tecniche di stampa e splendide foto che fanno venir voglia di sporcarsi le mani di inchiostro.








