Sacromonte © Sandra Azzolini

Benvenuti al Grand Hotel Sacromonte

«Guarda il profilo Instagram di quest’amica», mi ha scritto qualche giorno fa una mia ex-studentessa, Monica Evola. «Secondo me è molto brava, ma lei non lo sa».
Quel ma lei non lo sa mi ha colpito. In più di dieci anni che faccio questo lavoro non ne ho incontrate molte di persone brave che non sapevano di esserlo (capita più spesso il contrario, lo sappiamo tutti), e quelle poche erano molto brave.

Seguendo il suo consiglio, sono andato a vedere.
@hotelsacromonte: pochi post, un titolo, SACROMONTE, tutto in maiuscolo; Lost and found bureau / Wunderkammer, la descrizione.
Poi sono stato preso da una strana sensazione. Un sentimento che alcuni definiscono saudade, ma la saudade ha molte sfumature. La parola esatta — coniata qualche anno fa da un certo John Koenig, autore di un blog intitolato Dizionario dei sentimenti oscuri — è anemoia: la nostalgia per qualcosa che non si è vissuto.

Sacromonte
© Sandra Azzolini

Un classico caso di anemoia è il guardare vecchie foto, scattate anche molto prima della propria nascita, magari a migliaia di chilometri di distanza, e provare nostalgia. Quasi come se si fosse stati lì.
È un tipo di nostalgia che non vale solo per il passato ma anche per il futuro, o per momenti, persone, luoghi che non sono mai esistiti ma in qualche modo sono riusciti a uscire da un libro, da un film, da una serie tv.

Quasi come se un frammento di tempo altro si fosse innestato nella propria mente e questa avesse cominciato a ricamarci sopra elementi, suoni, odori, altre immagini al di fuori della cornice, creando una linea temporale nuova che, chissà perché, si sente di aver intersecato ma ci si rende conto di non poter più raggiungere.

Sacromonte
© Sandra Azzolini

Le foto di SACROMONTE, la scelta dei soggetti, delle carte (che sembra quasi di poter toccare, sotto ai polpastrelli) a cui sono abbinati, della composizione dell’immagine, dei richiami a canzoni e band piazzati qua e là nelle didascalie: tutto è familiare e, allo stesso tempo, tutto disorienta. Come se quei glitch che deformano le fotografie siano la conseguenza di un disturbo nello scorrere del tempo.

È successo qualcosa? Deve ancora succedere? SACROMONTE, o meglio Grand Hotel Sacromonte, è una porta aperta su un universo parallelo?
Non credo sia fondamentale saperlo. L’importante è sentirlo.
E sapere com’è nato il progetto, invece di togliere la poesia, ne amplifica la potenza.

Sacromonte
© Sandra Azzolini

«Mia madre partì dalla Croazia, mio padre dalla Sicilia: entrambi lavoravano nello stesso hotel, si sono incontrati lì», mi racconta Sandra Azzolini, l’autrice.
Quell’hotel si trovava a Sacromonte di Varese — da qui il nome dell’account — e lei da piccola è cresciuta ascoltando le storie dei suoi, «di clienti bizzarri, di amicizie che poi sono diventate storiche, di colleghi e fratelli alle prese con il mito della vita al nord».

Parallelamente alle storie, Sandra sfogliava i vecchi album di famiglia, dove scopriva piccoli particolari che restavano fuori dai racconti: la zia che metteva le minigonne solo dopo aver lasciato il paese, i capelli lunghissimi della madre, il padre che i suoi li aveva persi fin da giovanissimo…

Sacromonte
© Sandra Azzolini

Di base a Palermo, Sandra abita vicino a un mercato delle pulci e la domenica mattina gira tra le bancarelle ad acquistare foto d’epoca. Lei non ama definirsi una collezionista. In generale credo che non ami proprio le definizioni, perché mi scrive che «un’altra definizione che non amo è Graphic Designer: ho iniziato da autodidatta, poi mi sono lanciata nel mondo del lavoro, successivamente ho scelto di studiare ma sento che quest’etichetta non mi appartenga. Voglio poter oscillare tra mezzi e tecniche che non si riducano a puri virtuosismi di pixel».

Ad ogni modo, quando sfoglia tra i libri e fruga tra le fotografie, comincia a immaginare le storie, e quando queste diventano un po’ più nitide — dice proprio così, nitide — le ospita nel suo hotel inesistente.
Se quelle che non ama sono le definizioni, ciò che ama, invece è la carta: Sandra ha i cassetti pieni di carte e il suo luogo delle meraviglie è un piccolo negozio, la rilegatoria dei fratelli Barone, di cui mi linka anche una foto dell’ingresso con la serranda chiusa.

Sacromonte
© Sandra Azzolini

«È un posto incantato, fermo a 100 anni fa, gestito da due anziani gemelli che hanno appreso l’arte dal padre. I ritagli di carta invadono lo spazio: ci sono carte vecchissime, le più belle sono quelle marmorizzate che usano per rivestire le copertine dei libri», spiega Sandra.

Unendo tutti gli elementi e andando — come racconta — col pilota automatico, senza stare a pensarci troppo su, pubblica il risultato su Instragram, «come fosse l’account di un’utente che vive negli anni ’40 e invece di pubblicare foto di uno spritz applicando un filtro rimane incantato dalla sua ragazza in riva al mare e le fa una foto. Poi accosta una carta o un glitch per sostituire un processo digitale con un diretto intervento manuale».

Sacromonte
© Sandra Azzolini

Sì, di vecchie foto è pieno il web e, sì, pure di vecchie foto ritoccate in ogni modo possibile, se è per questo. Però qua, anche se il Grand Hotel Sacromonte è appena nato, anche se per ora ci sono pochi post, anche se di sicuro non tutti potranno trovarci la magia che ci ho trovato io, qualcosa di speciale ce lo vedo.

Paradossalmente mi viene in mente la parola naturale. Sono fittizie le storie, modificate le immagini, l’hotel non esiste ed è tutto su Instagram: in teoria l’apoteosi dell’artificialità. Eppure l’impressione è quella di autenticità.
Sarà l’anemoia di cui parlavo prima. Sarà che, come confessa Sandra, «sono storie inventate, ovviamente, ma per me sono vere perché è questo quello che vedo».

Sacromonte
© Sandra Azzolini
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