a cura di Slideluck Napoli
Slideluck è un’organizzazione artistica, internazionale e no-profit, che si dedica alla creazione e al rafforzamento del senso di aggregazione attraverso il cibo e la fotografia. Dal 2000 Slideluck ha organizzato eventi in oltre 100 città in tutto il mondo, che uniscono slideshow multimediali a cene creative. L’organizzazione funge da vetrina per l’esposizione di progetti innovativi e si rivolge a fotografi, curatori, collezionisti ed editor, in un contesto creativo.
Roberta Fuorvia e Teodora Malavenda, art e local directors di Slideluck Napoli, hanno lanciato, insieme a Francesca Bellino (curatrice dell’account @slidelucknaples) e Sasha Taormina (responsabile ufficio stampa) cinque contest con cui propongono ogni settimana un tema differente, invitando i fotografi a condividere i propri scatti con l’hashtag dedicato. A conclusione di ogni settimana viene scelta la foto più attinente con l’argomento proposto.
La fotografa scelta per la quarta settimana, con il tema #peopleinthecity , è Benedetta Ristori, che è stata intervistata da Roberta e Teodora.
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Raccontaci lo scatto con cui hai vinto il quarto contest Instagram indetto da Slideluck Napoli con il tema People in the city.
La foto con cui ho partecipato a People in the city è stata scattata a New York, era sera inoltrata a Times Square, nel 2013. Il mio hotel era nei dintorni nella piazza quindi mi ritrovavo a passarci ogni sera; nel suo essere caotica e rumorosa quello che mi affascinava erano le luci e i colori che le decine di schermi e pannelli riflettevano sui volti delle persone, creando anche sfondi astratti e intangibili. Con questa foto ho voluto creare un vero e proprio “fermo immagine” a suoni e movimenti, mantenendo però la dinamicità e la vivacità dell’atmosfera.

Raccontaci il percorso che ti ha avvicinato alla fotografia.
Ho cominciato ad avvicinarmi alla fotografia durante gli ultimi anni di liceo, anche se non mi sono accorta da subito che avrei potuto mutare quella passione in un lavoro. Ho intrapreso gli studi universitari e mentre ero al primo anno di Lettere e Filosofia ho cominciato a pensare alla fotografia in maniera più concreta, cominciando a mettere insieme le prime foto e proponendole a concorsi e gallerie per possibili mostre.
Nel 2008 ho fatto la mia prima mostra collettiva, ma la decisione di dedicarmi esclusivamente alla fotografia è arrivata nel 2011, con la prima mostra personale a Milano. Da lì ho iniziato la gavetta presso uno studio fotografico di moda ed ho abbandonato la carriera universitaria; contemporaneamente ho studiato da autodidatta la storia e la teoria fotografica, cominciando la mia ricerca stilistica.
Inizialmente mi sono concentrata su lavori di ritrattistica e moda, ad oggi sto cercando di dedicarmi quasi totalmente ai miei progetti personali documentaristici.

Dando uno sguardo al panorama fotografico contemporaneo, consigliaci i nomi di tre giovani fotografi da tenere d’occhio.
Kent Andreasen, Rafal Milach e la coppia Rob Hornstra e Arnold van Bruggen.

Vogliamo conoscerti meglio, capire cosa ruota intorno al tuo pensiero artistico e sapere da te il titolo di un libro, di un film e di una canzone a cui sei particolarmente legata.
È difficilissimo per me scegliere solamente un nome, perché sono una grande amante del cinema e avrei un elenco molto lungo, ma dovendone scegliere uno, il primo su tutti è 2001: Odissea nello spazio di Kubrick.
Un libro a cui sono molto legata è Aut-Aut di Soren Kierkegaard, mentre una canzone Are you alone di Majical Cloudz.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Attualmente mi sto concentrando su due progetti fotografici documentaristici: Lay Off e East.
Il primo è un reportage sui lavoratori notturni cominciato in Giappone, il secondo è un viaggio “on the road” dei Balcani che attraversa quella che fu la Yugoslavia e le nazioni limitofe, cercando di cogliere gli elementi di unione/distacco tra passato e presente. Ad oggi le nazioni che ho immortalato sono la Bulgaria, la Bosnia Erzegovina e la Croazia.

Cosa rappresenta per te la fotografia e qual è il genere e lo stile che prediligi?
Oltre ad essere un mestiere la fotografia è una parte di me in immagini. È un legame molto intimo e profondo, che va al di là dei tecnicismi e della teoria.
A livello stilistico sto scegliendo di scattare quasi esclusivamente in analogico, lasciando l’uso del digitale solamente per gli scatti notturni.
Ho un legame empatico con la pellicola. Da quasi due anni mi sto confrontando con la fotografia documentaristica, cercando di creare un mio stile di reportage che si distacchi dal classico fotogiornalismo.

Ci sono degli autori specifici a cui fai riferimento?
Traggo ispirazione da fotografi americani come Stephen Shore, William Eggleston e Alec Soth. Ammiro molto i lavori di Lise Sarfati e Alessandra Sanguinetti. Luigi Ghirri con le sue Lezioni di Fotografia è stato sicuramente un maestro, e Bernd e Hilla Becher hanno segnato la mia visione delle simmetrie e dell’inquadratura.


